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C’è questo messaggio che serpeggia viralmente nei gruppi whatsappmamme di ogni ordine e grado‘, e che recita esattamente così:

“Vi invito ad andare a firmare il referendum abrogativo x la legge LA BUONA SCUOLA (che se non abrogata partirà da settembre) che c’è in comune e che ha scadenza a breve. Se non lo trovate bisogna sollecitare il sindaco affinché lo metta a disposizione x la firma. Io vado domattina.
Nessun politico ammette l’esistenza della teoria Gender ma la chiama teoria di Genere. Questa teoria mira alla destrutturazione dell’identità dei singoli insegnando ai NOSTRI FIGLI che al di là del proprio sesso biologico possono decidere autonomamente di appartenere ad un altro Genere (bisex omo lesbo misto chi più ne ha più ne metta) includendo in questo Genere anche il Genere pedofilo!”

…e avanti così, per un buon migliaio di parole, che a leggerle tutte sull’iPhone si entra in trance mistica.

Ora, va premesso che questo referendum è una bufala, come lo sono le notizie riportate nel comunicato. Il disegno di legge a cui ci si riferisce è QUESTO, e gli stralci più peccaminosi recitano così:

Art. 1 (Introduzione dell’insegnamento dell’educazione di genere)

1. Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro delegato per le pari opportunità, d’intesa con le regioni e con le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, adotta i provvedimenti necessari a integrare l’offerta formativa dei curricoli scolastici di ogni ordine e grado con l’insegnamento a carattere interdisciplinare dell’educazione di genere finalizzato alla crescita educativa, culturale ed emotiva, per la realizzazione dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e piena cittadinanza nella realtà sociale contemporanea.
2. In attuazione di quanto disposto dal comma 1, i piani dell’offerta formativa delle scuole di ogni ordine e grado adottano misure educative volte alla promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza e sopprimere gli ostacoli che limitano di fatto la complementarità tra i sessi nella società.

Art. 2. (Linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere)

1. Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro delegato per le pari opportunità, d’intesa con le regioni e con le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, definisce linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, tenuto conto del livello cognitivo degli alunni, i temi dell’uguaglianza, delle pari opportunità, della piena cittadinanza delle persone, delle differenze di genere, dei ruoli non stereotipati, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, della violenza contro le donne basata sul genere e del diritto all’integrità personale.

Si capisce che in un paese come l’Italia, in cui il riconoscimento dei diritti civili delle persone omosessuali è ancora un sogno fantapolitico, possono attecchire facilmente queste teorie del complotto ordito da una rete di pedo-bi-gay-lesbo-trans ai danni dei nostri figli. Pure quando il disegno di legge incriminato parla di tutt’altro.

Il problema è che intanto il mondo corre. Che l’orientamento omosessuale non sia una malattia mentale lo sappiamo dagli anni ’60 del secolo scorso, cinquant’anni circa, e direi che lo diamo per scontato.

Sull’inesistenza di una teoria Gender che starebbe assaltando il mondo della scuola, l’autorevole AIP – l’associazione italiana di psicologia che riunisce il mondo accademico degli psicologi – ha assunto una posizione ufficiale inequivocabile: è una minchiata.

L’ENPAP, Ente nazionale di previdenza degli psicologi di cui sono Vicepresidente, ha assunto una posizione altrettanto chiara, con il riconoscimento del diritto all’indennità di genitorialità per parto, affidi e adozioni, indipendentemente dalla composizione di genere della coppia.

Non mi preoccupo della fantasiosa ‘ideologia gender’. Semmai mi preoccupo che i miei figli vivano in uno dei pochi paesi europei in cui ancora si negano diritti elementari, come il matrimonio, a persone che pagano le tasse, lavorano, vivono come chiunque altro. Stiamo in coda in Europa, su questo tema: tanto perché non sia considerata una notizia di parte, cito Avvenire

“Sono 21 i Paesi nel mondo nei quali è possibile il matrimonio fra persone dello stesso sesso. L’Irlanda, a seguito del referendum del 22 maggio, diventerà il 22esimo. Si tratta di Olanda, Belgio, Spagna, Norvegia, Svezia, Finlandia, Portogallo, Islanda, Danimarca, Francia, Regno Unito, Lussemburgo, Canada, Stati Uniti, Argentina, Brasile, Uruguay, Sudafrica e Nuova Zelanda. L’ultimo a riconoscerlo – e il 13esimo in Europa – è stata lo scorso marzo la Slovenia.

Inoltre in Israele, ad Aruba, Curacao e in Sint Maarten, pur non essendo consentito alle persone aventi lo stesso sesso di accedere all’istituto del matrimonio, vengono registrati i matrimoni fra persone dello stesso sesso celebrati altrove. In altri Paesi, infine, si può accedere a unioni civili, come in Germania. Dei 28 paesi della Ue solo nove – Italia, Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria e Romania – non prevedono nessun tipo di tutela per le coppie omosessuali.”

In Lussemburgo il premier Xavier Bettel ha sposato il suo compagno, mentre in Italia il premier Matteo Renzi sta raccattando a fatica i voti da mesi, per capire se si può dare la reversibilità della pensione piuttosto che l’eredità. La parola ‘matrimonio’ pare un tabù.

Ecco, di questo mi dispiace: che i miei figli vivano in un paese che non riconosce pienamente la cittadinanza di tutte le persone. Altro che gender. Su questa mentalità arretrata si sta costruendo un’arretratezza anche economica, perché è indubbio che un paese pieno di nevrosi da diversità non può certamente aprirsi a nuovi modi di fare mercato.