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10428686_946863992005597_4663298475699887994_nLo scorso 17 Gennaio AltraPsicologia ha deciso di partecipare al presidio “L’unica malattia è l’omofobia” nato come protesta verso il convegno “Difendere la famiglia per difendere la comunità”, patrocinato dalla Regione e fregiato del logo Expo.
Il motivo per cui AP scende in piazza non ha certo a che vedere con le scelte rispettabilissime di chi predilige i cosiddetti “valori tradizionali” e/o aderisce ad un credo religioso.
AltraPsicologia è scesa in piazza per ribadire un’evidenza scientifica a tutta la comunità: l’omosessualità non è una malattia e pertanto non richiede alcun genere di cura.

E questo non ammette deroghe, men che meno si voglia argomentare che sia la persona stessa a richiedere questo genere di intervento o “riparazione”.
10922594_10205755604234370_7907768638193697860_nMi sono trovata così, insieme a molti colleghi, a partecipare alla manifestazione con l’intento di informare la cittadinanza su quale sia la posizione degli psicologi sul tema dell’omosessualità.
Com’é andata?
Di questo pomeriggio graziato da un sole inatteso sono molte le cose che mi rimangono.
Prima di tutte la compostezza, la mitezza, il senso di appartenenza pacifica e sincera, i toni poco rivendicativi e molto rappresentativi.
Sorrisi, colori, mani nella mano.
Impagabile aggirarsi in mezzo alla folla senza avvertire tensioni, senza sentire pericolo, come talvolta nelle manifestazioni mi accade. Grande serenità, ognuno a raccontare, spesso con molta ironia, il proprio modo di rappresentare e descrivere questo modo di stare al mondo, che nemmeno dovrebbe avere bisogno di questo tipo di manifestazioni.
Bello incrociare sguardi di ogni età e di ogni provenienza.
Sono tante le persone che ho incontrato mentre distribuivo il nostro materiale informativo, per esempio diversi colleghi sotto il cappello di altre associazioni, non di categoria, che mi dicevano: “ah che bello che siate qui, poi passo a trovarvi” e altri che mi hanno chiesto quale fosse esattamente la posizione dell’Ordine sulle terapie riparative, e: “cosa succede ai colleghi che le praticano, vengono ‘radiati?'”.
Andando incontro ai vari gruppi c’è chi ha preso il materiale con compiacente indifferenza come i tanti volantini che ciascuno riceveva; chi alla parola “siamo psicologi” ha avuto quasi un moto di diffidenza come a voler dire: “non è che sotto sotto qui c’è scritto che un po’ ci volete curare?”, diffidenza che presto si trasformava in un sorriso compiaciuto, quando davo loro spiegazioni.
154458055-e1a90afe-b29a-4456-8edf-58a0a211de5bC’è anche chi ha risposto un po’ stizzito: “perchè lo dai a noi? Qui lo sappiamo tutti che non è una malattia!”. In effetti, ad aggirarmi fra quegli slogan e quei volti scevri da tensioni, un po’ ce l’avevo la sensazione di “vincere facile”, ma allo stesso tempo rispondevo: “sei proprio sicuro che qui lo sappiano davvero tutti tutti che l’omosessualità non è una malattia e che questo lo dice anche la scienza?”, allora il passo si fermava e la mano si allungava a prendere il foglio, a voler leggere, perchè in realtà anche l’ovvio non è un’ovvietà nel 2015 a Milano. E questo l’ho capito specialmente incontrando i molti giovani e giovanissimi che accoglievano le mie parole e il nostro volantino con un sospiro di sollievo, qualcuno ha affermato: “questo dovrebbe leggerlo mia madre”. Sono arrivati sul tardi, i giovanissimi, spesso in ampi gruppi, senza stemmi e senza bandiere, seduti ai margini della manifestazione, ed è in mezzo a loro che più di tutti ho trovato il senso più vivo della nostra presenza. Un giovane, entusiasta e stupito, l’ ha messo in parole: “cioé voi siete psicologi e siete venuti qui alla manifestazione per dire che l’omosessualità non è una malattia, per questo? Oh, finalmente, perchè bisogna proprio che le dite queste cose, perchè si sentono cose troppo terribili in giro. Grazie psicologi, grazie davvero!”
E quando finivo i volantini e dovevo tornare alla base a prenderne altri, cercavo quella mano bianca nel cerchio rosso in mezzo alle tante bandiere che coloravano la piazza, cercavo quella mano aperta che sembrava dire “ci siamo, siamo qui”; ed è proprio questo il messaggio che ho desiderato potesse arrivare alla comunità: ci siamo per voi, per portare gli argomenti che conosciamo, per informarvi, per migliorare il vostro benessere, la vostra comunicazione, le vostre relazioni con voi stessi e con gli altri”!