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L’ennesimo convegno ‘in difesa della famiglia tradizionale’ suscita lo sdegno della stampa nazionale. Il perché è presto detto: ancora una volta si condisce il tema con il velleitario e grottesco proposito di curare l’omosessualità.

Dal Fatto Quotidiano a Repubblica, dall’Huffington Post alle testate locali lombarde, tutti scattano quando si scopre che il convegno porta il logo di Expo2015 e della Regione Lombardia, e che parteciperà anche Roberto Maroni.

Lui abbozza una difesa, sostenendo che non c’è nulla di male nel difendere la famiglia tradizionale. E fin qui posso anche essere d’accordo: tu difendi il tuo modello di famiglia basato su uomo-donna-figli, io difendo il mio basato sulla famiglia allargata non nucleare, quell’altro difende il suo diritto di vivere pienamente il rapporto uomo-uomo o donna-donna, altri difendono il valore pieno delle famiglie di seconde nozze, c’è chi sostiene la poligamia e chi la vita da single. Che problema c’è?

E invece il problema c’è. Perché come spesso avviene in questi casi si usa la tecnica del trojan-horse: inizio sostenendo il valore della ‘famiglia tradizionale’ ma poi ti infilo l’idea che gli altri modelli – che pure esistono felicemente su questa terra di 7 miliardi di abitanti – andrebbero curati. In primis l’omosessualità.

Mica perché sono malati, eh. No, vanno curati perché sono infelici della propria condizione! E alla fin fine, proprio sullo sfondo, c’è pure qualche ramo secco della psicologia che dice che è così, che si deve curare l’infelice condizione di chi – poverino – non ha avuto la fortuna della ‘scelta’ eterosessuale.

Perché qui non ci si limita a dichiarare apertamente che è solo questione di ideologia, ma usando  il distintivo della scienza un po’ a casaccio si sta tentando di sostenere quelle che sono solo ideologie e opinioni locali sulla vita, collocate sia storicamente che territorialmente in un contesto ben preciso e prive di qualunque pretesa universalità.

Immagino, ma non viene mai specificato, che per ‘famiglia tradizionale’ ci si riferisca alla quella di matrice cattolica formata da nucleo maschio-femmina-figli, passata come unico modello organizzativo familiare, come il mattone elementare su cui organizzare la società. Che è un punto di vista morale rispettabilissimo, per carità. Non ha nulla di scientifico ma è rispettabilissimo. Diventa meno rispettabile nel momento in cui ci si spinge oltre, sostenendo che andrebbe curato chi non vive con quel modello. Omosessuali in primis.

Che poi si giochi sulle sfumature, affermando che non si intende curare i gay che sono felici, ma gli omosessuali che non lo sono. Oppure che si cerca solo di sostenere chi è un po’ in dubbio e ondeggia di qua e di là, o che si vorrebbe agire dove non c’è piena serenità nel vivere la propria condizione omosessuale… beh, diciamo che mi pare si stia annacquando una medicina amara per renderla un po’ meno disgustosa.

Una supercazzola, per capirsi.

 

Alla mal parata la si butta in caciara: tutta colpa delle lobby gay. Che a pensarci bene è proprio lo svelamento delle carte: la questione viene alla fine riportata nell’alveo di una dialettica sociale fra gruppi, fra comunità che incrociandosi sul tappeto della convivenza sociale finiscono per fare scintille a causa delle differenze dei loro modelli di vita.

In mezzo a tutto questo, le persone. A cui dovremmo il rispetto liberale per l’individuo che tanto rivendichiamo nella nostra cultura occidentale contemporanea. E che invece finiscono per essere denotate come malate o sane a seconda della posizione ideologica di questo o quel gruppo sociale, tirate in mezzo ad un discorso che di scientifico ha ben poco.

In mezzo a tutto questo, la nostra professione. Gli psicologi dovrebbero fermamente prendere posizione. Non dovremmo lasciare nulla di sospeso, nulla di non detto.

Ce lo aspettiamo dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia e dal Consiglio Nazionale. Come è stato fatto in passato. Come è stato fatto dall’American Psychological Association nel suo rapporto sull’argomento (pagina 66), che non ha usato mezzi termini e ha dichiarato INAPPROPRIATO che gli psicologi avvallino l’idea che l’orientamento sessuale si possa cambiare come un cappotto.

Provate a immaginare di svegliarvi domani, e di trovare la vostra ABITUALE VITA DA ETEROSESSUALI al centro della cronaca perché a Milano qualcuno intende aiutarvi, e per questo ha organizzato un convegno dal titolo ‘Difendere la famiglia omosessuale, difendere la comunità’, e professa di voler aiutare ‘le persone ferite nella propria identità sessuale, in particolare per tendenze di natura eterosessuale‘. Probabilmente vi fareste due risate perché suonerebbe grottesco, e pensereste che quelli di Expo 2015 e Maroni hanno preso un granchio.

Il fatto che invece a nessuno venga da ridere quando si parla in questi termini di omosessualità, è il segnale che la ferita è ancora in carne viva, che l’accettazione serena e incondizionata di cose che esistono da sempre nella vita dell’homo sapiens è ancora di là da venire. Speriamo che i visitatori internazionali di Expo 2015 non se ne accorgano, che qui in Italia siamo per la ‘tradizione’.