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Questi ultimi tempi non sembrano proprio favorevoli ai “counselor” non psicologi.
L’ennesima sentenza (16562/16) conferma il reato di abuso di professione di psicologo per un “counselor”. Giunge così un altro duro colpo al ‘counselor’ non psicologo e a tutti coloro che insistono nell’affermare che il counseling non è attività psicologica.

Cosa afferma la sentenza

Una sedicente “psicomatista di impresa” (ma possiamo inventarci qualsiasi termine, meglio straniero, per coprire il fatto di svolgere attività psicologiche) è stata condannata ex art. 348 del codice penale (esercizio abusivo di professione) nonostante avesse sostenuto che:

  1. svolgeva “..l’esercizio della distinta attività di counseling..”;
  2. “… in caso di insufficienza del semplice counseling aveva indirizzato i propri clienti a psicologi iscritti all’ordine…”.

Nonostante queste rassicurazioni, per condannarla è stato sufficiente riconoscere che

i clienti si rivolgessero alla ricorrente a causa di disturbi di natura psicologica (ansia, ricadute emotive dell’obesità, ecc.), ottenendo, sulla base di sedute fondate sul dialogo, una guida comportante l’indicazione dei rimedi volti alla prevenzione del disagio e/o alla guarigione della paziente.

Infine, alla richiesta della counselor di non essere punita per “la particolare tenuità del fatto”, i giudici rispondono che i fatti “per continuità, onerosità ed organizzazione” dimostrano che la counselor svolgeva attività professionale posta in essere da persona con competenze specifiche e regolarmente abilitata, ribadendo che il reato non può essere considerato tenue.

Punti di interesse

Usare-il-cellulare-come-lente-di-ingrandimentoLa sentenza è della Corte Suprema di Cassazione, quindi quanto pronuncia diventa molto rilevante perchè ha valenza giuridica e orienta la giurisprudenza nazionale.

Counseling o psicomatista, indipendentemente dal termine utilizzato quello che conta è il motivo reale per cui i clienti si rivolgono ad un’altra persona: se è per disturbi di natura psicologica allora siamo già in ambito psicologico, naturalmente. Anche se poi si afferma che in casi particolari si indirizza a uno psicologo. Ma c’è di più.

I “disturbi” sono specificati non tanto in senso diagnostico (ad es. da DSM) ma in senso lato; infatti negli esempi riportati in sentenza si fa riferimento all’ansia (non meglio specificata) e a ricadute emotive. Proprio quest’ultimo termine indica che

non deve per forza essere presente un disturbo psicologico franco ma è sufficiente che il cliente richieda di intervenire sulle conseguenze emotive dovute a qualche elemento esterno/oggettivo (in questo caso l’obesità).

Altro elemento di interesse è la descrizione dell’attività.

Interventi basati su sedute fondate sul dialogo nei quali si guida la persona indicando rimedi per prevenire o guarire il disagio come sopra descritto sono sovrapponibile agli interventi dello psicologo.

Infine, se vi sono più sedute e queste sono a pagamento, è presente un’organizzazione degna di un professionista (la counselor aveva un sito internet per promuoversi) allora siamo di fronte a un atto professionale di una persona competente in materia e regolarmente abilitata, quindi si esclude che il reato sia tenue o superficiale.

Cosa sta accadendo in questo periodo al counseling?

Due elementi hanno fatto sì che il tema del counseling passasse dalle discussioni informali tra gli psicologi al confronto formale, strutturato e sostanziale:

  1. AltraPsicologia inizia a dirigere alcuni Ordini degli psicologi (in Lombardia fino al 2014 poi nel Lazio, Marche, Piemonte).
  2. L’emanazione della legge 4 del 2013 che punta a riconoscere altre professioni oltre a quelle ordinate.

logo-APL’arrivo di AltraPsicologia alla direzione degli Ordini degli Psicologi ha permesso finalmente alle nostre istituzioni di ampliare la visione limitata alla psicoterapia (prevalentemente ospedaliera o a livello universitario) ponendo in primo piano la psicologia e allargando agli psicologi liberi professionisti.
Questo ha posto la questione del counseling non psicologico all’ordine del giorno e ha permesso di intervenire anche formalmente sulla questione.

La legge 4 ha indotto il counseling a uscire allo scoperto dalla sorta di nebbia nella quale prosperava per confrontarsi con le istituzioni degli psicologi in modo più franco, condizione necessaria per intraprendere una discussione sul tema. Ad esempio, il tentativo dei counselor di darsi una norma in sede UNI ha richiesto a loro stessi di doversi definire e descrivere le attività e le modalità con le quali le esercitano. Già in quel momento noi psicologi abbiamo assistito al balletto dei vocaboli utilizzati per evitare di definirsi come gli psicologi.

La direzione è tracciata, al momento stiamo assistendo al decadere una dopo l’altra dei presupposti sui quali si fondano le motivazioni di coloro che affermano che il coubseling non sia attività degli psicologi.