Questi ultimi tempi non sembrano proprio favorevoli ai “counselor” non psicologi.
L’ennesima sentenza (16562/16) conferma il reato di abuso di professione di psicologo per un “counselor”. Giunge così un altro duro colpo al ‘counselor’ non psicologo e a tutti coloro che insistono nell’affermare che il counseling non è attività psicologica.
Cosa afferma la sentenza
Una sedicente “psicomatista di impresa” (ma possiamo inventarci qualsiasi termine, meglio straniero, per coprire il fatto di svolgere attività psicologiche) è stata condannata ex art. 348 del codice penale (esercizio abusivo di professione) nonostante avesse sostenuto che:
- svolgeva “..l’esercizio della distinta attività di counseling..”;
- “… in caso di insufficienza del semplice counseling aveva indirizzato i propri clienti a psicologi iscritti all’ordine…”.
Nonostante queste rassicurazioni, per condannarla è stato sufficiente riconoscere che
i clienti si rivolgessero alla ricorrente a causa di disturbi di natura psicologica (ansia, ricadute emotive dell’obesità, ecc.), ottenendo, sulla base di sedute fondate sul dialogo, una guida comportante l’indicazione dei rimedi volti alla prevenzione del disagio e/o alla guarigione della paziente.
Infine, alla richiesta della counselor di non essere punita per “la particolare tenuità del fatto”, i giudici rispondono che i fatti “per continuità, onerosità ed organizzazione” dimostrano che la counselor svolgeva “attività professionale posta in essere da persona con competenze specifiche e regolarmente abilitata”, ribadendo che il reato non può essere considerato tenue.
Punti di interesse
La sentenza è della Corte Suprema di Cassazione, quindi quanto pronuncia diventa molto rilevante perchè ha valenza giuridica e orienta la giurisprudenza nazionale.
Counseling o psicomatista, indipendentemente dal termine utilizzato quello che conta è il motivo reale per cui i clienti si rivolgono ad un’altra persona: se è per disturbi di natura psicologica allora siamo già in ambito psicologico, naturalmente. Anche se poi si afferma che in casi particolari si indirizza a uno psicologo. Ma c’è di più.
I “disturbi” sono specificati non tanto in senso diagnostico (ad es. da DSM) ma in senso lato; infatti negli esempi riportati in sentenza si fa riferimento all’ansia (non meglio specificata) e a ricadute emotive. Proprio quest’ultimo termine indica che
non deve per forza essere presente un disturbo psicologico franco ma è sufficiente che il cliente richieda di intervenire sulle conseguenze emotive dovute a qualche elemento esterno/oggettivo (in questo caso l’obesità).
Altro elemento di interesse è la descrizione dell’attività.
Interventi basati su sedute fondate sul dialogo nei quali si guida la persona indicando rimedi per prevenire o guarire il disagio come sopra descritto sono sovrapponibile agli interventi dello psicologo.
Infine, se vi sono più sedute e queste sono a pagamento, è presente un’organizzazione degna di un professionista (la counselor aveva un sito internet per promuoversi) allora siamo di fronte a un atto professionale di una persona competente in materia e regolarmente abilitata, quindi si esclude che il reato sia tenue o superficiale.
Cosa sta accadendo in questo periodo al counseling?
Due elementi hanno fatto sì che il tema del counseling passasse dalle discussioni informali tra gli psicologi al confronto formale, strutturato e sostanziale:
- AltraPsicologia inizia a dirigere alcuni Ordini degli psicologi (in Lombardia fino al 2014 poi nel Lazio, Marche, Piemonte).
- L’emanazione della legge 4 del 2013 che punta a riconoscere altre professioni oltre a quelle ordinate.
L’arrivo di AltraPsicologia alla direzione degli Ordini degli Psicologi ha permesso finalmente alle nostre istituzioni di ampliare la visione limitata alla psicoterapia (prevalentemente ospedaliera o a livello universitario) ponendo in primo piano la psicologia e allargando agli psicologi liberi professionisti.
Questo ha posto la questione del counseling non psicologico all’ordine del giorno e ha permesso di intervenire anche formalmente sulla questione.
La legge 4 ha indotto il counseling a uscire allo scoperto dalla sorta di nebbia nella quale prosperava per confrontarsi con le istituzioni degli psicologi in modo più franco, condizione necessaria per intraprendere una discussione sul tema. Ad esempio, il tentativo dei counselor di darsi una norma in sede UNI ha richiesto a loro stessi di doversi definire e descrivere le attività e le modalità con le quali le esercitano. Già in quel momento noi psicologi abbiamo assistito al balletto dei vocaboli utilizzati per evitare di definirsi come gli psicologi.
La direzione è tracciata, al momento stiamo assistendo al decadere una dopo l’altra dei presupposti sui quali si fondano le motivazioni di coloro che affermano che il coubseling non sia attività degli psicologi.
Una bella chiarificazione. Tuttavia diventa sempre più urgente che la categoria definisca chiaramente le competenze distinte di psicologo e di psicoterapeuta. Nella sentenza che si cita si parla di “psicologo” ma i diturbi di cui si tratta non sarebbero competenza psicoterapeutica? E le competenze del dottore in psicologia?
Sembra altra questione, ma la confusione di queste figure al nostro interno, apre una breccia nella trasparenza e chiarezza, in cui si incuneano molte questioni e confusioni, come le vicende counselor. E i coach? perchè ancora nessuno se ne è occupato?
Sacrosanta necessità. Da psicologo che fa coaching consiglio maggior cautela nella strategia di affronto del coaching rispetto al counseling. Se in quest’ultimo caso la sovrapposizione è palese (colloqui, parola, setting, disagio/disturbi, aiuto, ecc…queste le aprole chiave) per quanto riguarda il coaching siamo su un terreno molto diverso.
Non è una relazione di aiuto, è paritaria, è fondata sulla filosofia del training e del management, non ha nulla di clinico, anzi, spesso il cliente è parecchio funzionante, spesso più del coach stesso ! (ma con meno esperienza, o meni network, o meno strategia). Spesso i coach sono professionisti che si danno al training dopo 20+ anni di carriera all’interno di aziende o società, quindi sanno di cosa parlano molto più di uno psicologo nel loro ambito specifico.
Questione peculiare riguarda il life coaching, che in Italian non ha ancora preso nessun piede, checchè se ne voglia dire. Lì direi che una laurea in psicologia sarebbe d’obbligo, altrimenti si rischia di vendere frasette motivazionali che ti portano nel baratro. Attenzione anche qui però: il life coaching non è clinico, non è assolutamente terapia: è una sorta di psicologia cognitivo comportamentale per raggiungere obiettivi di vita e lavoro, e spesso affronta temi che agli psicologi tradizionali nemmeno passano per la testa: money&financial coaching (quanti disastri esistenziali dovuto all’incapacità di gestire le proprie finanze personali?, quanti matrimoni saltati?), time management, ecc. scusate i termini inglesi, ma sono d’obbligo perchè quasi tutto ciò che è nuovo nel nostro mondo dell’italia provinciale parla inglese…
Quindi, attenzione a lotte senza quartiere contro il coaching sullo stile counseling: capiamo bene chi sono i professionisti coach in giro, e cosa fanno realmente. Un ex HR manager che fa business coaching spesso ha una conoscneza concreta e ottiene risultati buoni lavorando 10 ore con un cliente facendo cose che uno psicologo, per training fatto e mentalità acquisita, nemmeno si sogna.
Esiste anche la Sociaety of Coaching Psychology con sede a Roma che lavora nella direzione di conoscere e promuovere questo tipo di psicologia, che nelle università italiane è ignota mentre il mondo del lavoro ne è affamato. ve lo dico per esperienza.
Io credo che ci sia tanta confusione nel trattare la questione:
1. lo psicologo non è solo clinico. 10 anni fa c’erano già 4 rami alla facoltà di psicologia, tra cui quello del lavoro e delle organizzazioni.
2. Non dubito sulle competenze delle singole persone (conosco colleghi con master e specializzazioni e zero clienti), ma non può essere questo il punto. Ci sono muratori più competenti e pratici di alcuni architetti, ma un progetto è in regola solo se firmato da un architetto!
3. La gestione del tempo e del denaro è uno dei temi cardini della psicoanalisi, su cui ci sono fiumi di letteratura, e che DEVE essere trattato in un percorso terapeutico, anche breve.
Se basta l’esperienza e l’inclinazione personale per costruire professionalità in questo campo, mi può stare bene, a condizione che che tuttti partano dalla stessa base: non è possibile che chi studia 10 anni venga equiparato a chi fa un corso dopo il diploma (nel migliore dei casi).
Chi glie lo dice all’economista, che la “gestione del denaro” è di competenza dello psicanalista o che lui non può definirsi “business coach” o “consulente di marketing”? Di questo passo va a finire che gli psicologi rivendicheranno pure di fare gli allenatori di calcio, in quanto è un ruolo che presuppone una relazione d’empatia tra coach e allenati, e di stimolo al raggiungimento di obiettivi specifici. Per fortuna gli incoraggiamenti, e le frasi di esortazione, non sono ancora stati brevettati da una categoria professionale.
Mi permetto di segnalare che, credo, non esista niente di più lontano dal coaching della psicoanalisi. Siamo proprio agli antipodi per impostazione filosofica, teorica, di setting, di paradigma e di antropologia. Con tutto il rispetto per la psicoanalisi e gli psicoanalisti, il punto 3) mi fa rabbrividire. Il coaching è spesso 8gistamente) tacciato di avere un approccio beceramente aziendalista e performance-oriented, ma di qualche psicoanalista che conosco mi par bene di vedere che l’unico money coaching che conosce sia quello del proprio conto in banca. (senza offendere nessuno, davvero, tutti dobbiamo mangiare e pagare bollette).
Mi sembra Francesca sia un pò fuori strada, ma è normale che lo sia: come dicevo nel mio precedente intervento, l’ideologia formata negli studenti durante il cdl in Psicologia è qualcosa di granitico, negli anni mi sono accorto essere più inattaccabile (dalla spirito critico) di quella di tanti ingegneri, ed è tutto dire!
Ripeto, il coaching è altro, non applichiamogli categorie aliene per far vedere che “è comunque nostro” con la stessa facilità del counseling. Saremmo proprio fuori strada. Saluti.
Gentile Luca,
Il suo ragionamento ha solo una piccola falla. Nei corsi di counseling o coaching che siano si tende a dare una informazione parziale e distorta su ciò che sia la psicologia o la psicoterapia: cioè lunghissime terapie che durano anni, che sono costose, che non sono orientate ad un obiettivo, che gli psicologi patologizzano tutto che se ho solo un problema mica vado dallo psicologo e così via per luoghi comuni. Tutto ciò era forse vero per una certa psicologia degli albori (e per certi professionisti che ahimè non si sono aggiornati). Sono almeno 30 che la psicologia si evolve anche in altre direzioni. E per la cronaca posso dirglielo io che ho una specializzazione in quel senso: lo psicologo cognitivo-comportamentale é effettivamente quello che voi definite coach, molto lontano dalla psicoanalisi tradizionale e che fa anche terapie brevi focalizzate su obiettivi precisi. Molte tecniche (spesso la totalità in alcuni casi) che vengono insegnate nelle scuole di counseling o coaching sono tecniche di terapia cognitivo comportamentale che noi usiamo da decenni (obiettivi smart, “cambiare i pensieri negativi”, assertività, tecniche di rilassamento ecc ecc).
Quindi si, per usare le sue parole, il coaching é comunque nostro, o almeno appartiene a quella parte di psicologi che dopo aver conseguito una laurea di 5 anni di psicologia ha anche fatto una scuola quadriennale di psicoterapia ad indirizzo cognitivo comportamentale riconosciuta dal ministero della pubblica istruzione. Questa é una formazione solida da coach, il resto sono chiacchiere.
Articolo chiaro. Vorrei fare alcune osservazioni personali intorno al tema.
Bisogna capire il senso di ciò di cui si sta parlando. La questione va ben oltre il “chi può fare “cosa”. Sarebbe bene che gli stessi psicologi riconoscessero la differenza tra l’agire clinico, terapeutico, che mira a far emergere i significati di una condizione di disagio (altrimenti sarebbe solo riabilitazione del sintomo) e l’agire non clinico, dove è il cliente a sapere già in linea di massima ciò che vuole (che POI possa diventare clinico o viceversa, nessuno ne dubita).
Credo che già questa semplice distinzione potrebbe se non altro iniziare a scremare tutto quel marasma di personaggi che (s)vendono a destra e a manca tecniche per “diventare” felici o trovare un senso alla vita, psicologi, counsellor, santoni che siano. La “tecnica” ha in vista un obiettivo, e l’obiettivo dev’essere ben definito, NON può essere il senso stesso della vita. È però chiaro come il sole che il mondo della psicologia e di tutto ciò che le ruota intorno pulluli di queste falsissime promesse.
Perchè ho fatto questo discorso? Credo che questa premessa possa far comprendere come il “chi” possa fare “cosa” rimanga una questione importante, ma che si fonda su un’altra. Il counselling e il coaching non avrebbero senso di sussistere qualora lo psicologo si occupasse anche delle “loro” tematiche”. Diversamente, significa che lo psicologo non le conosce, non le maneggia.
Ma quali sono queste tematiche? Perchè se si parla dei “5 passi per raggiungere la felicità”, di cui, volenti o meno, il mondo del counselling e del coachin letteralmente PULLULA (e pure della psicologia eh), allora é chiaro che questa “roba” debba restare alla larga non solo dalla psicologia, ma da qualunque professione che sia alla ricerca di uno statuto dignitoso e sensato.
Non so se questo messaggio sarà condiviso o meno, me lo auguro. Prima ancora di intavolare scontrose discussioni, cercherei di capire da che parte si vuole andare a parare. Il Dio denaro è sempre in agguato, cerchiamo almeno di riconoscerlo e coglierlo in flagrante
Gentile Markk,
capisco il suo pensiero, e lo condivido in gran parte. Riesco a condividerlo perchè sono del settore, ma se mi metto dal punto di vista dell’uomo della strada, ossia dei nostri clienti, mi sento un pò confuso.
Dal punto di vista della percezione dei clienti, la psicologia è ancora quella di 30 anni fa, se non peggio perchè più affollata di pseduo-professioniste o topine di 25 anni che con una laurea aprono lo studio coi soldi del papi e iniziano a fare danni. La piccole (e sono piccole mi creda) differenze tra la psicologia professionale di 30 anni fa e quella di oggi le notiamo noi generazione giovane (io ne ho 38, non so le) perchè ci siamo dentro. Gli altri là fuori, nel mondo reale, non ne sanno nulla, le info non passano. La percezione dell’uomo della strada, ripeto, è della terapia di anni (1-2-5) dove gonfi il conto del professionista avendo, se ti va di lusso, qualche piccolo miglioramento, si spera non troppo momentaneo. Davvero.
Altra cosa. Se lei ha dovuto laurearsi in psicologia e poi farsi anche 4 anni anni di psicoterapia per poi, nel mercato, proporsi come “coach” credo che debba un attimo verificare la sua traiettoria professionale. Non mi fraintenda, mi spiego. L’etichetta “coach”, in Italia, è praticamente già bruciata ancora prima di farsi strada veramente. E’ troppo sovraesposta. Almeno la PNL si è bruciata dopo 20 anni, il coaching non è ancora nato e già in giro si sente “ohhh, basta con sto coach!”. Si figuri, mercato italiota che tutto brucia perchè popolato da cialtroni.
Detto questo, essere un terapeuta formato e definirsi “coach” è un pò farsi lo sgambetto. Il terapeuta fa clinica, punto. La mentalità del clinico è esattamente l’OPPOSTO di quella del coach. Ci sono innumerevoli libri amerciani, di ottima qualità, che spiegano di stare mooolto attenti quanto, da terapeuti, si vuole lavorare come coach. Due universi.
Quello che lei attribuisce al “coaching” sono cose che io, da psicologo coach, non ho neanche mai pensato di proporre. Gli obiettivi sono quelli del cliente, smart o non smart, i pensieri negativi non si devono cambiare, a volte c’azzeccano più di quelli positivi, l’assertività è spesso da ridurre nei clienti coachati, per rilassarti si va a correre di solito, visto che molti sono tipologicamente impiegatizio/sedentari….
Continuo a pensare che siamo fuori bersaglio. Continuando di questo passo con “è tutto psicologia”, gli psicologi mostrano solo di essere come quelle specie animali che forzano la loro nicchia ecologica perchè la popolazione è sovradimensionata nel numero. E’ ora di un bel numero chiuso all’università e soprattutto nella scuole di psicoterapia, di formazione seria, e di curarsi questa piccola nevrosi attribuzionale che vede tutto come “di proprietà dello psicologo.” E’ propriamente una nevrosi professionale, ogni professione ha le proprie. Manoi psicologi, in quanto tali, dovremmo sapere tenere a bada le nostre con migliori risultati degli altri.
Grazie se mi ha letto fin qua, ogni tanto mi scappa la tastiera…buon lavoro.
Gentile Luca, mi permetta, non mi sembra che lei sia sufficientemente formato in terapia cognitivo comportamentale per commentare. Assertività, ristrutturazione cognitiva (il cambiare i pensieri negativi definito in modo tecnico), gli obiettivi smart (che restano effettivamente quelli del cliente, penso che forse non sappia che Smart é in realtà un acronimo se no la sua obiezione non si spiega) e via dicendo sono tecniche estremamente valide che vengono usate in terapia cognitivo comportamentale e che andrebbero usate un po’ in tutte le terapie perché se no, per l’appunto, si scade nella terapia vecchio stampo di cui sopra. Ovviamente queste non sono le uniche tecniche che utilizzo era per dare l’idea di come molte tecniche sbandierate dai counselor sono in realtà retaggio di un preciso orientamento psicoterapeutico.
Io non mi presento né come coach né come counselor ovviamente, il lavoro che faccio però a seconda del paziente e delle sue problematiche può eventualmente assomigliare da lontano a quello che fanno i coach di stampo americano o i counselor, ma questo non perché cerco di scimmiottarli bensì perché la mia preparazione mi porta a fare un certo tipo di lavoro con le persone e ad utilizzare tecniche diverse con buona pace dei libri che può aver letto lei (riferito ai presunti rischi che gli psicologi correrebbero a fare i counselor). D’altra parte per me non esiste neanche la distinzione tra psicologo e counselor visto che noi agiamo anche nell’area di intervento che i counselor e i coach ritengono essere la propria, solo che agiamo meglio perché siamo meglio preparati.
Il discorso che condivido semmai é che purtroppo l’immagine dello psicologo presso il grande pubblico é quella che descrive lei. La colpa é di vecchi pregiudizi, é un po’ mostra perché evidentemente non sappiamo comunicare bene, di ignoranza di fondo che porta le persone a essere diffidenti verso le scienze ufficiali (la stessa dei movimenti anti-vaccinisti per fare un esempio), di chi si é formato troppo tempo fa e non ha avuto voglia o non ha saputo andare avanti ma non da ultimo non dimentichiamoci di chi profitta del business delle scuole di coaching e di counseling che ha l’interesse di far passare la psicologia per qualcosa che non é. E la cosa che mi fa rabbia é che spesso sono anche psicologi. Ecco per me questi individui andrebbero radiati dall’albo.
Detto questo la soluzione non é sicuramente aprire scuolette private che rilasciano titoli senza alcun valore legale e che formano counselor e coach. La soluzione semmai è migliorare quello che non va nelle facoltà di psicologia e nelle scuole di psicoterapia e non da ultimo nell’ordine (anche se non si può dimenticare che ci sono anche cose buone).
Gentile Markk, preciso solo alcune cose. Se vuole le legga, se non mi ritiene all’altezza di ricevere la sua attenzione, passi pure oltre.
Già il fatto che le chiamo “paziente” chi si rivolge a lei, saprà che ha ricadute a cascata potentissime su tutto il suo mindset, il setting, paradigma, prassi, metodi e esiti presunti del lavoro che fa. Questo lo sa, vero?
E’ chiaro che lei è liberissimo di fare ciò che meglio crede con chi meglio crede, ma il fatto di essere formato come terapeuta non la qualifica come “Dio in Terra” che tutto può fare, basta solo che voglia o che ne veda il caso. La terapia non è coaching. Io credo che lei rischi di confondere i clienti, se usa cose così diverse messe dentro un calderone. Abbia pazienza.
Lo so che il terapeuta è la formazione più alta tra quelle disponibili a lavorare sull’umano, ma spesso questo porta fuori strada. Io considero il rapporto tra terapeuta, psicologo e coach come quello tra ingegnere edile, geometra e muratore. provi a concepirlo, lo vede?
Adesso tutti qui a dire “ehhh beh ma lavorare con le persone non è come fare case e ponti e cavalcavia caspita!” Vediamo se vi crolla il tetto in testa perchè il muratore ha sbagliato cosa ne pensate. Cercate di capire la logica sottostante. Le professioni sono gerarchiche.
E’ ovvio che il muratore usa una prassi che è anche del perito, e questo usa logica e conoscenze della teoria ingegneristica. Eppure hanno prospettive e ambiti connessi ma completamente diversi.
certo ci sono piccoli screzi tra ingegneri e periti, battutine e squalifiche varie. Ma vanno avanti.
Io credo che un grande problema dei terapeuti è che si sono sbattuti alla grande per ottenere il titolo, pagandolo una montagna di soldi, e 9 su 10 fanno la fame, fanno proprio fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. Ho diversi amici psicoterapeuti, tutti straccioni (in senso buono). LAvoricchiano qui e là, qualche cooperativa, pagati male, non versano contributi perchè non hanno i soldi, il DURC li stanga…un vortice che li assorbe. Là fuori è una giungla, nessuno ti ha insegnato a sopravvivere. Troppo dorate le mura della scuola di specialità.
OVVIO CHE POI TE LA PRENDI COL MURATORE!
C’hai un risentimento sociale che sposta le montagne! C’hai un senso di “sfiga” addosso che neanche…scusatemi, ma è quel che vedo ogni giorni. Tutti che danno addosso agli altri: ti concentrassi sul tuo lavoro, vivremmo tutti meglio!
Il problema verso i coach è che conoscono il mercato e sanno muoversi. Non è vero che gli psicologi vogliono “proteggere la popolazione” (mica è clinico il coaching), hanno solo un’invidia sociale per chi si muove meglio di loro, punto. Per fare del buon counseling bastano i tre anni che si fanno nelle buone scuole di counseling. L’importante è che lavori nell’ambito assegnato. Punto.
L’ingegnere faccia l’ingegnere, e se il suo settore è in crisi non se la prenda col geometra. Grazie.
Gentile Luca, non so che formazione abbia ma mi sembra che si sia incollato con lo scotch pochi concetti e superficiali cosa che di solito ritrovo spesso nei counselor con una formazione all’acqua di rose (se pensa che nella pratica faccia veramente differenza chiamare la persona che si rivolge a noi cliente o paziente vuol dire che ha lavorato e studiato molto poco).
Lo psicologo ovviamente anche quando ha cinque anni di università e 4 anni di scuola di psicoterapia alle spalle (più tirocini e varie esperienze o formazioni integrative che può aver fatto) non è ovviamente “dio” come dice lei ne pretende di esserlo. Lo psicologo in questione è abilitato a fare tutto per legge: dal counseling, alla neuropsicologia, alla selezione del personale, ai DSA, ai disturbi alimentari ecc ecc. Ovviamente sta all’etica professionale dello psicologo in questione lavorare solo nell’ambito che più gli compete. Difficilmente quindi uno psicologo del lavoro che ha lavorato in azienda per tutta la vita si metterà a trattare dei disturbi alimentari gravi. Mentre per quel che riguarda il counseling, come le ho già spiegato precedentemente (ma sembra non aver recepito probabilmente perché non ha idea di cosa faccia ne di come lavori lo psicologo cognitivo comportamentale), non sarà praticato da muratori o geometri, ma sarà appannaggio per esempio di chi ha una solida formazione in psicologia cognitivo comportamentale e non, invece, psicoanalitica o altro. E si questa persona che ha una formazione di 9 anni lavorerà molto meglio di chi fondamentalmente ha comprato una formazione di tre che per altro non è riconosciuta da nessuno se non da chi questa formazione la vende (e già questo dovrebbe dirla lunga sulla qualità della formazione).
Per quel che riguarda, mi scusi, il suo successivo sproloquio: è vero il mercato è saturo, c’è crisi, ma non solo nel nostro ambito un po’ in tutti. Detto questo io vedo alcuni colleghi che lavorano e altri meno. Mentre i counselor che conosco sono in media o persone con una laurea umanistica, disoccupati, che cercano di riciclarsi (con scarsi risultati), o “venditori” che intuiscono un potenziale mercato e provano a lanciarsi con risultati un po’ migliori ma di certo non brillanti. C’è poi una terza categoria di persone che avrebbero dovuto fare una psicoterapia e invece sono finite a fare una scuola di counseling (le lascio immaginare il loro successo professionale). Poi magari ci sarà anche chi riesce a sbarcare il lunario, ma far credere che nessuno psicologo lavori e che tutti i counselor siano super-occupati mi permetta ma è veramente una stupidaggine. La frustrazione c’è, anzi più che altro la chiamerai costernazione: ed è dovuta semplicemente al fatto che c’è sempre il solito furbo che, all’italiana, pensa di poter fare le cose senza sbattersi.
Sarà una bella vittoria, un bel traguardo, ma a me pare che poco cambi a conti fatti. Là fuori resta pieno di counselor che, da non psicologi, esercitano nel nostro stesso settore abusivamente.
Detto questo, se un domani mi svegliassi pensando di poter svolgere una parte del lavoro del medico o dell’ingegnere con un titolo ricevuto da privati…beh finirei in gattabuia nel giro di poco (appena scoperto).
Qualsisi tentativo di difendere quel “nulla” rivestito dall’etichetta “counselor” (senza adeguata formazione psicologica) è un’offesa nei confronti di 100 mila professionisti che si sono formati con pazienza come psicologi ed una presa in giro, pericolosa, verso il cittadino.
Purtroppo la legge 4/2013 ha autorizzato un sacco di improvvisati organizzati in pseudo-sette (counsellor, analogisti, consulenti analogici, life coach, mental coach etc.) ad esercitare una professione che è chiaramente equivoca e assimilabile a quella di natura psicologica, psichiatrica. Ci sono moltissimi siti web di persone che offrono consulenze su stati ansiosi, depressioni, disturbi emotivi eppure questi improvvisati continuano ad operare indisturbati. Ci vorrebbe un sistema di controllo da parte del ministero della salute insieme agli ordini degli psicologi per intervenire. Prima o poi accadrà e, come per la figura del counsellor, chi non ha le competenze e se ne va in giro a rovinare la gente sarà punito.
Un signore in un commento precedente ha esplicitato che lo psicologo specializzato in psicoterapia è come se fosse l’ingegnere, lo psicologo non specializzato è come se fosse il geometra e il counselor e il coach è come se fossero il muratore. Benissimo, quasi sempre i muratori lavorano con la direzione, la supervisione e il monitoraggio di un geometra (regolarmente pagato) dietro il progetto di un ingegnere (o architetto). Quindi, cari coachers e counselors cominciate a devolvere grosse quote dei vostri introiti a geometri ed ingegneri!
… e di codesto cosa ne pensate?
http://www.igf-gestalt.it/2013/05/referendum-ordine-degli-psicologi/
Carissimi, io, da persona “della strada” fui esortata dalla mia psicologa, la quale mi ha tenuta “in consulto psicologico” per nove anni senza fornirmi ne gli strumenti ne una vaga diagnosi per capire cosa avevo danneggiandomi enormemente, ad iscrivermi al suo corso di counseling. Iniziai che ero in uno stato mentale a dir poco allarmante, i miei genitori erano preoccupatissimi ma io, completamente assoggettata da questa criminale non ne volevo sapere di rinunciarvi, convinta da lei che sarebbe stata un occasione per il mio futuro professionale imperdibile(ero anche giovanissima, si parla di 20 anni e tanti disagi). L’ultimo anno, anno in cui presi le distanza da lei e di conseguenza iniziai anche a stare meglio, presentai delle polemiche al corso pretendendo anche della chiarezza a livello legale, specificando anche che i signori ne la signora avevano mai fatturato ne una seduta ne una sola rata. Alla mia richiesta, la signora, laureata in psicologia ed iscritta all’albo mi attaccò tergiversando e colpendomi nei miei disagi intimi e psicologici davanti a tutti gli iscritti del fantomatico corso.
Dovrebbe essere un crimine abbindolare persone altamente disagiate come lo ero io, riempirle di false speranze manipolarle e svuotargl i portafogli, il tutto fatto da persone iscritte all’albo. Hanno cercato di rassicurarmi dicendomi che la scuola sta per essere riconosciuta come scola di counseling NON psicologico. Ah beh, ora si che son tranquilla! Spero che vengano radiati tutti, che questo delirio del counseling si risolva e che le persone come la mia ex psicologa trovino accoglienza in luoghi come il carcere, un giorno. Scusate lo sfogo, ma i danni che ha creato in me e alla mia famiglia sono di dimensioni non quantificabili.