Una riflessione su “Contro i papà” il libro di Antonio Polito

Teorizzato in un’epoca in cui la famiglia tradizionale aveva la meglio, l’Edipo oggi necessita di riflessione alla luce degli sviluppi relazionali postmoderni. Innanzitutto il padre oggi è quasi morto o meglio l’archetipo del paterno, con le sue leggi e divieti, con la sua spinta alla crescita e abbandono delle sottani femminili, spesso non riesce a compiere il suo ruolo perché deprivato o assente egli stesso. Nell’assenza si erotizza un bisogno e si crea il desiderio, così le fantasie di autonomia e mascolinità si coagulano attorno ad una ricerca di padre che diventa idealizzazione o erotizzazione di lati eccessivi e superficiali del maschile come il potere, la ricerca smodata di denaro e la violenza.
Nel suo libro Contro i papà (Rizzoli, pagg. 154, euro 14), Polito si chiede: “E se fossero i padri troppo teneri a fare il male dei figli, viziandoli e rendendoli sempre più incapaci di reagire?”
Il figlio che subisce l’assenza del limite paterno crea da solo un’immagine di potenza erotizzando status symbol e identificandosi in un’immagine astratta e generalizzata di maschile. In Edipo la madre assente, sfinge enigmatica erotizza intellettualmente Edipo, l’eroe che cerca se stesso attraverso il dolore. Il complesso di Edipo è la narrazione mitologica dell’uomo che, partendo da una condizione di cecità, cerca la verità, cerca la visione della completezza. In uno stato di ignoranza e lontananza dal vero, madre e padre archetipici sfociano in violenza e l’anima, la bellezza che riconcilia con il mondo, è assente. Eros allora assume la forma dell’ambiguità e della violenza e si declina nelle sua difformità plasmandosi sull’altare della religione.
Scrive Polito che i vecchi padri: “si prestarono a fare ciò che da mondo è mondo un padre deve fare: opporsi al figlio. Diventarne la controparte. Incarnare uno stile di vita di- verso. Impersonare il passato. Consentire che il figlio gli si rivolti contro, e così facendo conquisti la sua emancipazione. Perché se non hai un padre da cui allontanarti, non c’è modo di avvicinarti all’età adulta e al futuro. Io me ne sono accorto perfino fisicamente quando mio padre se n’è andato: era stato proprio sfidando la sua autorità morale, ribellandomi a quel costante richiamo al senso del dovere ora scomparso.”
La morte della vecchia concezione di padre è pericolosa perché impedisce la ricerca di identità. Così come la madre è stimolo erotico di crescita ma contiene in sé l’ambivalenza del bisogno di putrefazione e ritorno all’utero, il Padre è stimolo di crescita ma anche di castrazione. Per questo concordo con l’autore sulla necessità di non far morire il concetto di padre perdendolo in una paternità vacua e molliccia. “I Titani assalirono il padre loro, Urano; e così essi fecero, guidati da Crono, il più giovane dei sette che si era armato di un falcetto di selce. Colsero Urano nel sonno e Crono spietatamente lo castrò col falcetto, afferrandogli i genitali con la sinistra (che dal quel giorno fu sempre la mano del malaugurio) e gettandoli poi assieme al falcetto in mare presso Capo Drepano (…) Afrodite nacque dalla spuma delle onde fecondate dai genitali di Urano che Crono aveva gettato in mare”. Nel mito narratoci da Graves i figli mitologici arrivano alla crescita e indipendenza tramite la violenza del parricidio e non a caso da questo nasce Afrodite, la sensualità. Fare l’amore con la vita prevede un percorso di dolore e sofferenza psichica , ferite che lambiscono il somatico, ferite che si rimarginano solo quando l’uomo, riconciliatosi con il suo passato , trova la sua vera identità psichica.
Questo desiderio di indipendenza e maturità attraverso l’uccisione del padre è atto di conoscenza, solo attraverso una “nekia”, un cammino doloroso di conoscenza e di uccisione del mostro, come nelle favole, l’eroe scopre la sua verità. Se non si ha più un padre da uccidere in senso metaforico, si resta nel materno a vita, un materno dove il principio di individuazione non trova una spinta propulsiva.
In un suo saggio su Michelangelo, l’Argentieri scrive: «Attraverso il linguaggio religioso vi è il tema dominante della maternità e della morte e una immedesimazione coinvolgente con il rito del sacrificio». L’ “erotico” di questa scultura edipica è il circuito chiuso, protettivo e fusionale dell’abbraccio con il materno che è il contrario della creatività e crescita perché è ritorno al materno e dissoluzione in esso. Questo accade psicologicamente ad una generazione intera che non ha più padri da superare, né forse da stimare. Questo si riflette anche al livello politico con cittadini ed elettori dipendenti dal primo imbonitore che si propone come uomo forte in sostituzione del Padre.
Oggi, scomparendo il Padre, scompare il vecchio Super-io e l’imperativo è il godimento illimitato, un erotizzazione dell’aggressività e del potere senza limiti che sostituisce il limite sano e robusto di un paterno interiorizzato in veste di regole e confini, responsabilità.
Lacan anni fa parlava di evaporazione del Padre, inteso come principio fondativo della famiglia e del corpo sociale. Senza il Padre, l’insicurezza emerge senza difese e la vita diventa caotica. Scrive Recalcati : «il godimento si dissocia, si sgancia dal desiderio e si afferma come volontà tirannica in una dissipazione sadiana, nociva, maledetta. È una sregolazione dove non c’è nessuno scambio con l’Altro – non c’è Eros, che in psicoanalisi rappresenta il legame fondamentale tra gli esseri umani. Qui prevale Thanatos, una pulsione nel segno dell’autoaggressione e della potenza oscura della ripetizione che appunto attenta la vita, la porta alla distruzione e solleva lo scandalo della tendenza degli esseri umani a perseguire il proprio Male».