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Parte prima: facciamo due conti

Monitor Web, veicolo ufficiale dei finanziamenti del Fondo Sociale Europeo (FSE), da sempre universalmente considerati lauti, usa un metodo semplice e chiaro per definire il giusto costo di ogni formazione di gruppo. Il costo massimo per ora è predefinito nel “bando”, che di solito assegna 110,00 euro all’ora complessivi per quantificare le spese necessarie a sostenere l’intero dispositivo formativo. Questa viene considerata, quindi, una cifra congrua, più che sufficiente per sostenere tutte le spese dell’Associazione accreditata per produrre un’ora di formazione. Si tratta, nella fattispecie, di un ente che, almeno, gestisce una sede fissa, con la presenza costante di una segretaria, un pc, un’aula con una metratura minima e due bagni, una sala attesa e una saletta per colloqui individuali. Questa struttura deve inoltre pagare la certificazione di qualità ISO e tenerla aggiornata.

Una scuola di psicoterapia così parametrata erogherebbe la formazione standard di 400 ore ricavando (x 110 € /ora) 44.000 € annui di cui circa la metà si può ipotizzare destinata ai docenti e l’altra metà per i costi accessori. Per il FSE, ad esempio, i costi del personale docente vengono quantificati di solito all’incirca così: i docenti universitari con titoli speciali vengono pagati al massimo 80,00 €/ora. La media della retribuzione è di 60 euro all’ora circa. Se si considera che di solito fanno lezioni lunghe, diciamo minimo di quattro ore, per una mezza giornata si portano a casa 240 €, che non mi sembra una cifra troppo bassa. Qualche docente “speciale” può tranquillamente essere pagato anche fino a 300-400 € per la mezza giornata. Il resto va per le spese del personale ausiliario (segreteria, ecc.), per le spese di gestione (affitti, utenze) e per i materiali (fotocopiatrici, cartoleria…).

Chi dice che con i rimanenti 22.000 euro non si riesce a pagare l’affitto di un’aula e i relativi costi di gestione o sta delirando o, più probabilmente, sta facendo i propri interessi. I 110 €/ora sono considerati un buon parametro complessivo in tutta Europa per l’esercizio di una formazione privata.

Mi preme fare osservare che, se i costi questa scuola vengono sostenuti da venti iscritti, come nella grande maggioranza dei corsi, questi dovrebbero sborsare a testa non più di 2.200 € per le 400 ore previste annualmente. Perché questo oggi non accade? Come mai è estremamente difficile trovare Scuole di formazione alla Psicoterapia accreditate dal MIUR che costino meno di 3.000/4.000 euro annuali pur avendo i corsi in classi di anche più di venti persone?

Fate i conti in tasca a chi vi offre formazione. Scoprirete mondi nuovi e sconosciuti, tra i quali, autorevoli clinici che parlano di patologia e magari maneggiano quotidianamente i fantasmi di morte dei propri pazienti, di fronte ai soldi mostrano evidenti tabù e regrediscono a stadi infantili come mai ci si sarebbe aspettati. Le risposte vaghe sono la norma.

Attenzione, però, per chi lo fa, soprattutto se è giovane e incline alla sindrome del maestro saggio o del transfert verso il docente. Parlo per esperienza: rischiano di cadere dei miti. Ma torniamo a dati obiettivi. Di fatto in nessun altro ambito formativo sono tollerate queste rette se non in alcuni settori della formazione del managment aziendale o a qualche Master. Qui siamo invece di fronte all’erogazione di un servizio formativo di pubblica utilità autorizzato dal Miur e fondamentale per accedere alla concorsualità pubblica, non al corso privato che indispensabile non è e che non ha una valenza collettiva e che come tale può tranquillamente sottostare alle uniche leggi del mercato.

Gli Ordini regionali e l’Ordine nazionale possono e devono fermare questa deregulation, nata da leggi a dire poco favorevoli e dalla latitanza delle specializzazioni universitarie post lauream, carenti di posti e di qualità. Occorre definire i requisiti di una Carta Etica delle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia che fissi le regole dei giochi, tutelando le parti deboli della faccenda: i giovani colleghi.

Il problema è che al mare magnum delle scuole non piacerà virare in direzione etica perché ciò potrebbe ledere degli interessi economici precisi. Qualche scuola chiuderà bottega: diranno che non ci stanno dentro con i costi. La verità sarà a mio parere diversa. Chi fa cultura resterà. Chi fa business si dedicherà semplicemente ad attività a marginalità più elevata. Niente di male, a patto che smetta di farlo a spese della fascia più debole della nostra professione, magari facendo leva sulla naturale ansia del giovane Psicologo rispetto all’incognito, all’incontro con l’Altro/paziente, illudendo di fornirgli una bacchetta che magica non si rivelerà. O, peggio, creando una seconda illusione. Quella di trovare un lavoro. Lavoro che certo non si troverà ingrossando le enormi file degli psicoterapeuti italiani (oggi sono più di 30.000).

L’assenza di eticità nasce dalla gestione privatistica, a volte poco trasparente e in parte decisamente sopravvalutata, di una formazione i cui parametri qualitativi, non essendo verificati o imposti, sono, in aggiunta, tutti da dimostrare.

Parte seconda, ovvero del giusto comportamento di una scuola di psicoterapia etica

Si osserva oggi la totale assenza istituzionale di qualunque forma di controllo sull’attività delle scuole, che non di rado prendono decisioni del tutto lontane da qualunque forma di etica e di rispetto anche solo contrattuale dei propri iscritti. Così alcuni modificano le rette, anche per chi è già iscritto, da un anno con l’altro; altri chiedono ai candidati di pagare perfino i colloqui di selezione; altri ancora, pur consapevoli di erogare una formazione obbligatoria per l’accesso concorsuale, cambiano i requisiti di accesso in modo tale da modificare anche in maniera significativa la durata della formazione. C’è chi chiede tre anni di analisi già svolta con didatti dei corsi, prima di permettere l’accesso alla scuola assieme a chi stipa anche 40 allievi in una classe.

Parallelamente ci sono scuole che mantengono un profilo etico elevatissimo, che fissano i costi al principio del training e li mantengono invariati per tutta la sua durata, che consentono la rateizzazione dei costi, che costituiscono classi di massimo 10 persone, che fanno ricerca e la pubblicano, che hanno stipulato convenzioni per il tirocinio in modo che sia realmente formativo, che non chiedono anni di analisi quasi “incestuose” perché valide solo se condotte con i didatti della stessa scuola.

Se non il danno, almeno le beffe si potrebbero evitare. E ciò sarebbe possibile solo con l’autorevole intervento dell’Ordine, che dovrebbe essere super-partes e che mai finora si è dimostrato tale.

L’idea di una Carta Etica firmata da tutte le parti coinvolte nell’evento formativo è un punto chiave in questa questione. Il tutto passa dal lavoro di un’apposita Commissione Ordinistica, composta pariteticamente da rappresentanti delle scuole e degli allievi sotto l’egida del Consiglio dell’Ordine, che sancisca i criteri di eticità richiesti come condizione per la sottoscrizione.

I canoni definiti dalla Commissione sarebbero ovviamente da stabilire nei dettagli, ma tra questi vi potrebbe essere, soprattutto, la disponibilità alla trasparenza: ad esempio, con i Curricula dei docenti accessibili agli studenti, la divulgazione sul sito dell’ordine delle ricerche scientifiche effettuate e pubblicate annualmente cui ogni scuola è tenuta, la disponibilità a farsi valutare periodicamente da allievi ed ex allievi, attraverso strumenti costruiti ed aggiornati dalla Commissione ordinistica e a pubblicare i risultati della valutazione sul sito dell’Ordine. Chi chiede di aderire alla Carta Etica non dovrebbe poter agire in modo da ledere i diritti e la dignità, anche contrattuale degli studenti: per esempio, sottoscrivendo l’impegno a mantenere inalterati i costi per tutta la durata quadriennale del corso, chiarendo da subito gli obblighi reciproci riguardo gli impegni esterni al corso in sé (supervisioni, analisi personale ma anche tirocini) e assicurando requisiti di accesso non pregiudiziali.

Con la decisione di sottoscrivere la Carta Etica la singola scuola si garantirebbe una sorta di accreditamento etico volontario da parte dell’Ordine regionale che si impegnerebbe, di contro, alla più ampia divulgazione dei nominativi delle scuole sottoscrittrici, garantite dall’Ordine sotto il profilo etico. Se non altro, a quel punto chiunque, iscrivendosi ad una scuola, saprebbe cosa attendersi a seconda dell’adeguamento o meno ai principi della Carta Etica. L’Ordine svolgerebbe, finalmente, un servizio veramente importante per l’ampia comunità dei giovani colleghi.

E’ molto, è troppo, è utopia?