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Con le recenti innovazioni normative circa la Sicurezza sul Lavoro si aprono ampie possibilità di impegno lavorativo per gli Psicologi. L’articolo del collega De Ambrogi descrive puntualmente i termini di queste possibilità e, soprattutto, sottolinea la necessità di far conoscere la competenza precipua della nostra categoria in alcune specifiche aree della “valutazione del rischio” e nell’intervento sulle reazioni da stress lavorativo.

Non è un gran mistero che alcune competenze dello Psicologo del Lavoro siano ampiamente ed impunemente offerte da professionisti di altri settori che, nonostante alcune nostre preziose vittorie legali (vedi), continuano a proporsi per la selezione come per la valutazione del personale: troppo lungo si è stati a guardare ed ora è forse tardi per correre ai ripari e, comunque, occorreranno tempi lunghi e campagne mirate (che tardano ulteriormente ad essere attivate) perché entri nella cultura d’impresa che laddove … il “selezionatore” integri le informazioni riguardanti l’esperienza professionale dei candidati con un profilo psicologico compie atti tipici della professione di psicologo” (Sentenza della Corte di Cassazione del 5 giugno 2006, “Caso Platè”).

Circa le competenze attivabili in base al nuovo “Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro” (D.Lgs 81/08) è allora il caso che gli Ordini si muovano immediatamente per segnalare localmente, alle imprese come ai sindacati, ciò che “dovrebbe essere ovvio” ossia che le competenza per la valutazione del Rischio Psicosociale sono precipue degli Psicologi. Ed è importante che questo avvenga prima che altri più o meno sedicenti professionisti annettano alle loro competenze anche queste, con la conseguenza che domani sarà molto più difficile modificare gli assetti che si andranno consolidando in questa prima fase di applicazione della nuova legge.

AltraPsicologia

GLI PSICOLOGI E LE NUOVE NORME SULLA SICUREZZA NEL LAVORO

Recentemente è stato approvato il cosiddetto “Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro” (D.Lgs 81/08).

In particolare alla Sezione II “Valutazione dei Rischi” l’art. 28 “Oggetto della valutazione dei rischi” recita al comma 1) : “La valutazione di cu all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelle riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri paesi.”

E’ mia impressione che tra molti colleghi serpeggi un certo disappunto perché in questo T.U.  non vi è una chiara indicazione della doverosità della valutazione di rischi Psicologici o Psicosociali, e comunque un chiaro riferimento alla Psicologia come disciplina di riferimento e allo Psicologo come professionista obbligatoriamente coinvolto nei momenti di valutazione e prevenzione a questi rischi per la salute dei lavoratori. Se da un certo punto di vista questo risultato sarebbe potuto sembrare auspicabile per delle ovvie motivazioni di mercato del lavoro, dall’altro sarebbe stata un’anomalia culturale e normativa.

In tema di sicurezza e di valutazione dei rischi, sono molte le professionalità coinvolte a seconda delle lavorazioni, delle condizioni ergonomiche e dei pericoli e dei rischi specifici. Eppure nessuna di queste professionalità viene esplicitamente citata nel T.U., né nel precedente famoso D. Ls. 626. Non è infatti fatto obbligo al datore di lavoro di avvalersi di questa o di quella professionalità, mentre è fatto obbligo di dotarsi della migliore tecnologia disponibile per la valutazione e la prevenzione, avvalendosi anche di consulenti esterni qualora all’interno dell’azienda non siano disponibili queste risorse. In sostanza non è compito del legislatore definire quale sia la migliore tecnologia (nel senso epistemologico del termine “tecnica”), anche perché la tecnologia si aggiorna ed evolve continuamente e nessuna norma potrebbe aggiornarsi tanto velocemente da permettere ai lavoratori di godere dei migliori benefici concessi dall’evoluzione tecnica. Al contrario è dovere dei professionisti produrre la migliore tecnologia possibile, mantenendo elevati standard professionali e di ricerca sul tema.

Inoltre è importante sottolineare, che se da una parte è vero che molti dei rischi per la salute dei lavoratori connessi allo stress derivano di fatto dei pericoli psicosociali (a titolo esemplificativo: mobbing, lavoro su turni, sovraccarico lavorativo, etc…), dall’altra è anche vero che anche pericoli di natura non psicosociale possono essere fonte di stress (ad esempio: vibrazioni, forte rumore, etc…). Quindi l’individuazione dello stress (che ricordiamo deve essere fatta dal datore di lavoro congiuntamente all’RSPP, al RLS e al medico competente) da parte dei professionisti detentori della migliore competenza tecnologica appare una scelta adeguata. Quando poi la fonte dello stress sarà di natura psicosociale lo psicologo dovrà essere chiamato per misurare la forza del pericolo e per progettare gli interventi di prevenzione e gestione. Se invece la fonte dello stress saranno le vibrazioni sarà più opportuno interpellare un ingegnere o un fisico. Quindi lo psicologo può e deve essere coinvolto negli interventi di valutazione, prevenzione e protezione in ambito occupazionale, ma è anche difficile incasellare in una definizione generica di tipo normativo gli esatti confini di “chi fa cosa”.

Di fatto, al momento attuale, lo scenario di come si muoveranno aziende, organi di vigilanza e sindacati, non è ancora definito. Al momento sembra però probabile, che la strada che verrà presa prevederà un primo momento di valutazione della presenza di un possibile pericolo effettuata dal datore di lavoro, il quale, ove dovesse riscontrare la presenza del pericolo, potrà ricorrere a consulenti esterni per misurare l’effettiva intensità del pericolo e valutarne i rischi per la salute.

Appare invece poco probabile che un ingegnere o un medico del lavoro andranno poi a effettuare questa valutazione più approfondita. In primis perché non ne hanno le competenze, e poi anche perché, banalmente, il tariffario di uno psicologo è più basso di quello di un medico del lavoro. E’ quindi improbabile che altre figure professionali possano soppiantare lo psicologo in queste valutazioni: sembra più credibile che il datore di lavoro non sappia che lo psicologo può dare una risposta ad un suo bisogno e quindi non si rivolga ad un collega bensì ad un economista o a un sociologo. Questo non per cattiva fede del datore di lavoro e per intrusività di altri professionisti, bensì perché da parte della nostra categoria si nota una scarsa informazione e propositività sull’argomento.

Importante in questo comma è anche il riferimento all’accordo europeo dell’ 8 ottobre 2004, in cui si sottolinea cosa si intende per stress, quali effetti può avere e quali interventi sono necessari. Anche in questo accordo la figura dello psicologo non viene indicata espressamente, ma i riferimenti tecnici diretti a molti ambiti di pertinenza esclusivamente psicologica sono molti e inequivocabili.

Infine è doveroso ricordare che la valutazione del rischio non è l’unico momento della prevenzione, infatti, lo psicologo dovrà essere coinvolto nella prevenzione secondaria e terziaria, ovvero quando pericoli di qualunque natura anche non psicosociale abbiano portato allo sviluppo di reazioni psicopatologiche stress correlate, gli approfondimenti diagnostici per la prevenzione secondaria, e le eventuali terapie difficilmente potranno essere svolte da ingegneri o tecnici della sicurezza. Semmai sarà fattore determinante per poter essere come categoria professionale un interlocutore credibile agli occhi di imprenditori, sindacati, medici, e ASL, l’entrare nella logica della prevenzione sanitaria e infortunistica in ambito occupazionale. Non basta essere un bravo clinico, bisogna conoscere le norme, le procedure e le logiche su cui si muovono i nostri interlocutori.

Quello che a mio avviso è il pericolo più grande non arriva dalle altre figure coinvolte nella gestione della sicurezza e salute dei lavoratori, bensì dagli stessi psicologi. Quello che si teme è il proliferare di corsi di formazione su tematiche di pertinenza esclusivamente psicologica rivolti a non psicologi andando a ricreare anche in questo settore un problema analogo a quello del counseling. Questo ovviamente non deve portare ad una caccia alle streghe, è auspicabile che tutte le figure coinvolte dal datore di lavoro al medico competente passando per l’RSPP siano aggiornate sul ruolo, le competenze e la tecnologia che lo psicologo può offrire. Questo è necessario perché lo psicologo sia coinvolto quando effettivamente si presenta il bisogno della sua consulenza. Quindi ben vengano corsi ad altre figure, purché informativi e finalizzati alla cooperazione, aspetto fondamentale per qualunque intervento in questo settore.

Sarebbe auspicabile che non si verifichi una situazione in cui i soliti noti vedano nel business della formazione una fonte di reddito più interessante di quella delle consulenze, che la nostra professionalità non venga svenduta e che le valutazioni non vengano liquidate con un test fotocopiato somministrato dalle R.U. piuttosto che dall’RSPP a tutto vantaggio del risparmio ma a svantaggio della salute dei lavoratori.

In conclusione non mi sembra di ravvedere dei motivi di insoddisfazione riguardo alla lettera del nuovo T.U.. Semmai vedo delle lacune che potrebbero essere facilmente colmate tramite semplici interventi come ad esempio:

–         l’attenzione alla tematiche degli ambienti accademici che possa produrre ricerca e innovazione tecnologica,

–         l’impegno degli ordini professionali per la vigilanza sulle violazioni del codice deontologico come l’insegnamento a non psicologi di tecniche psicologiche;

–         l’impegno degli ordini professionali e delle altre associazioni professionali e culturali per  la formazione di una cultura sull’argomento con l’istituzione di iniziative di divulgazione per psicologi e non, così come alcuni Ordini come quello del Lazio o del Piemonte hanno già fatto,

–         l’impegno di ogni psicologo interessato all’argomento di formarsi continuamente e imparare a lavorare in rete con figure diverse e in contesti a noi spesso poco familiari come quello della sicurezza sul lavoro.

Nella speranza che questo intervento possa essere di stimolo per ulteriori riflessioni, rimango a disposizione insieme allo Staff di AP per accogliere qualunque richiesta di chiarimento o critica costruttiva.

dott. Francesco De Ambrogi