Sui quotidiani La Stampa e La Repubblica di fine maggio è stata data la notizia che a Torino, presso alcuni sportelli dei Servizi Sociali comunali, aprirà a breve un servizio di counselling filosofico.
Lo sportello – si legge negli articoli – offrirà la possibilità di attivare cosiddetti “percorsi di counselling filosofico” e tale servizio sarà inizialmente rivolto a famiglie con persone non autosufficienti, ma presto verrà esteso a tutti i cittadini.
A dir poco sbalorditiva appare la descrizione di ciò di cui si occuperanno i filosofi-counselor: “Molto spesso per queste persone […] il disagio assume forme che non hanno niente a che vedere con la sofferenza psicologica ma che coinvolgono l’intera visione del mondo, creando vuoti di senso, disorientamento e perdita d’autostima» (La Stampa).
È evidente che l’intera informazione è in più punti confusiva per chi legge: trasmette un’immagine alterata della psicologia e del suo campo di applicazione, riducendolo al mero aspetto della cura patologica mentre il counselling, che questa volta diventa “filosofico”, “aiuta però facilitando la comprensione della realtà, contribuendo a una […] riflessione e rielaborazione”
Ci risiamo: abbiamo assistito agli stessi giri di parole in altre proposte di counselling “senza specificazioni” ed è accaduto che la magistratura smontasse radicalmente queste argomentazioni rilevando situazioni di vero e proprio abuso della professione di psicologo. In questo caso si rende ancor più necessario un intervento istituzionale perché questo servizio è avallato del Servizio Pubblico.
Altrapsicologia ha quindi chiesto al presidente dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte, il collega Paolo Barcucci, come l’istituzione di categoria intenda procedere per salvaguardare la fede pubblica, la salute degli utenti e la professionalità degli psicologi piemontesi. Attendiamo fiduciosi una rapida risposta!
Qui di seguito la lettera inviata all’Ordine del Piemonte:
Spett.le Ordine degli Psicologi del Piemonte
Alla c.a. del Presidente Dr. Paolo Fausto BARCUCCI
Roma, 30 maggio 2012
Oggetto: counseling filosofico
Gentile Presidente,
è di pochi giorni fa la notizia, apparsa sui quotidiani La Stampa e La Repubblica del 25 maggio 2012, che presso la Circoscrizione 2 a Torino, aprirà a breve un servizio di counselling filosofico. Lo sportello, si legge, a cura dell’associazione torinese di counselling filosofico Phronesis, offrirà la possibilità di attivare cosiddetti percorsi di counselling filosofico. Sempre in questi articoli si afferma che tale servizio, in rete con i Servizi Sociali, in prima istanza è rivolto a famiglie con persone non autosufficienti e che, presto, sarà esteso a tutti i cittadini.
A dir poco sbalorditiva appare la descrizione di ciò di cui si andranno a occupare: “Molto spesso per queste persone […] il disagio assume forme che non hanno niente a che vedere con la sofferenza psicologica ma che coinvolgono l’intera visione del mondo, creando vuoti di senso, disorientamento e perdita d’autostima» (La Stampa); non solo, l’intera informazione è in più punti confusiva per l’utente, poiché trasmette un’immagine alterata della psicologia e del suo campo di applicazione, riducendolo al mero aspetto della cura patologica, mentre a loro parere il counselling filosofico si occuperebbe di aree che, da essi volutamente trasmesse come non afferenti alla disciplina psicologica, vi rientrano invece pienamente.
Le chiediamo quindi, in nome e per conto degli iscritti piemontesi alla nostra associazione, delucidazioni su quali azioni l’Ordine del Piemonte, competente per territorio e mandato, intenda compiere, se intende compierne, per valutare e monitorare tale servizio che, al minimo, si configura come confusivo per l’utenza rispetto al ruolo dello psicologo se non come un vero e proprio abuso della professione.
Restando in attesa di Suo riscontro a questa stessa casella email (redazione@altrapsicologia.it) Le porgiamo i migliori saluti anche a nome dei nostri iscritti.
Per AltraPsicologia
Il Coordinatore Regionale del Piemonte
Dr. Alessandro Lombardo
Il Presidente
Dr. Felice Damiano Torricelli
Per chi avesse voglia di leggerlo, sul numero 1:2001 della rivista “Psicologi a confronto”, edita all’O.P. Piemonte (sic!) e reperibile anche on-line sul sito dello stesso, è stato pubblicato un interessante articolo nel quale l’autore analizza gli assunti su cui la consulenza filosofica fonda il proprio “metodo” e la sua ragion d’essere, rilevandone la fragilità, quando non la vera e propria inconsistenza. E questo non solo dal punto di vista della psicologia, ma dello stesso pensiero filosofico.
Mi chiedo se non sia venuto il momento nel quale, oltre ad agire con maggiore decisione nei casi di abuso della professione ed a tutelare l’immagine della nostra professione, contrapponendo alle molte falsità che ne vengono dette una corretta informazione, l’Ordine cominciasse anche a servirsi di studi e ricerche come quella citata per svelare pubblicamente e confutare il groviglio di affermazioni infondate, ragionamenti fallaci, contraddizioni, stereotipi, mistificazioni, giri di parole, tautologie, ecc… su cui gran parte delle così dette “nuove professioni di aiuto” edificano i loro “metodi”. PUBBLICAMENTE, non solo sulle riviste scritte dagli psicologi per gli psicologi; così che tutti siano messi in condizione di formarsi un minimo di coscienza critica.
Personalmente non ne posso davvero più di vedere i counselor e le loro organizzazioni criticare impropriamente la consulenza psicologica e la psicoterapia, proclamando che i loro approcci sarebbero alternativi ed innovativi rispetto ad esse, quando è palese che, nel migliore dei casi, ne sono semplicemente la brutta copia, troppo spesso frutto di un’ipersemplificazioni o di una distorsione delle teorie, della reificazione di concetti e dell’ingenua riproposizione di tecniche e metodi caduti in disuso.
Tutta invidia! Mi vergogno ad essere psicologo quando vedo questi continui attacchi a dignitosi colleghi che han voglia di lavorare e fare qualcosa per laltro rispetto a dotti psicologi che difendono la professione.
Se la logica ed il lessico italiano non sono un’opinione (almeno quelli) o sei uno psicologo ed i soggetti in cui si parla nel post non sono «colleghi» oppure sono «tuoi colleghi», perché non sei uno psicologo.
Per uno psicologo, tutelare (difendere, se vuoi) la professione a garanzia della qualità delle prestazioni e della correttezza nei confronti dei clienti e della comunità È «fare qualcosa per l’altro», non un’alternativa!
io conosco la mia formazione e conosco come lavoro, posso quindi prendermi la responsabilità di ritenerla almeno sufficiente per svolgere la professione. Non conosco la tua storia il tuo operare, e nemmeno quelli di un counselor o di chiunque decida di sostenere l’altro. Per questo non ho il diritto di giudicare.
Noi psicologi abbiamo un ordine che pone delle regole e degli indicatori minimi per lavorare con tanto di esame; e questo, credi davvero che sia la soluzione?
Se non mettiamo la testa sotto terra possiamo sicuramente ammettere che nella nostra categoria esistono psicologi bravi e altri meno bravi, altri terribili. (e questo vale per tutte le categorie professionali: medici, avvocati…)
Chi decide noi si gli altri no? se andiamo a vedere… degli psicologi si sono riuniti e hanno detto soltanto noi (e chi come noi) possiamo ascoltare ed aiutare l’altro. Hanno confezionato l’idea, l’hanno proposta e lo stato si è accordato con essi.
è come se i cuochi dicessero soltanto noi possiamo cucinare perché conosciamo le regole della cucina… vallo a dire a mia moglie… e, tra parentesi di cuochi ne ho girati ma la torta di pere di mia nonna, che era un’analfabeta, non sono ancora riuscito a trovarne una che ne uguagliasse il prelibato sapore.
Se non ti riconosci il diritto di giudicare, come fai a dire che «possiamo sicuramente ammettere che esistono psicologi bravi e altri meno bravi, altri terribili»? Giudichi solo gli psicologi e non gli altri? E con che metro?
È ovvio che in tutte le categorie ci siano professionisti più o meno competenti, ma il fatto che esistano commercialisti, ingegneri e medici “terribili”, ti ha mai fatto pensare che, solo perché sai contare, conosci quattro leggi e sei capace di curare il mal di pancia dei tuoi figli, potresti fare il commercialista, l’ingegnere o il medico? E allora perché con le stesse motivazioni qualcuno sembra pensare di poter fare il lavoro dello psicologo o dello psicoterapeuta?
Io sono il primo a cucinare con grande passione e piacere senza essere un cuoco ed a considerare la cucina una delle metafore più espressive per descrivere il lavoro psicologico; però, Andrea, né io, né tua moglie, né tua nonna mandiamo avanti cucine di ristoranti e teniamo corsi di cucina proclamandoci “professionisti” o “esperti”, né tantomeno promuoviamo la nostra attività andando in giro a raccontare, ad esempio, che i cuochi cucinano solo per la gente grassa, che sono dei supponenti che decidono loro cosa farti mangiare e sono troppo cari, mentre noi facciamo una cucina “sana” adatta a tutti, che segue i gusti dei clienti ed è alla portata di qualunque portafoglio. Se lo facessimo non credi che i cuochi non tarderebbero a far sentire le loro rimostranze ed anche, pur senza appartenere ad un ordine, a chiedere a chi di dovere di prendere provvedimenti?
Appunto quando non lavoro allora mi aggrappo al pezzo di carta che con tanta fatica ho raggiunto. E quanto mi girano che qualcuno sia capace di cose anche migliori di me e che per questo non abbia dovuto faticare.
A me non interessa difendere il mio lavoro e sono pronto a cedere il passo a chi lavora meglio di me, chi sa essere terapeuta più di me.
Certo dovró cercarmi un altro lavoro o, molto umilmente chiedere a chi è più bravo di insegnarmi. O magari condividere la mia conoscenza e la sua pratica.
Se dovessi farti operare o subire un intervento chirurgico preferiresti affidarti ad un chirurgo accreditato in qualche ordine, oppure ti metteresti nelle mani del famosissimo e bravissimo Orbito?
Che conosco essere bravo.
Del primario con tanto di fogli, certificazioni, diplomi, master, e quant’altro porto già i segni addosso… Ma che vuoi lui è medico e primario… Lui puó fare errori e nascondersi dietro è stato fatto tutto secondo prassi il risto non dipende da me…
Leggo ora questi commenti. In particolare:
– filosofia e psicologia sono due cose diverse, l’una non nasce dall’altra; la frase di Freud spesso malamente citata dice invece chiaramente che l’arte e la letteratura, pur avendo intuito importanti verità sull’essere umano, non hanno mai saputo sviluppare un metodo di cura efficace, quindi è bene per lo psicologo conoscerle, ma la cura è un’altra cosa. Infine, a ben vedere, per Freud la filosofia preclude la terapia perché tende ad essere una forma di paranoia
– esiste una tendenza contemporanea molto diffusa, di tipo “new age”, anche tra gli psicologi, a sminuire il valore dell’attività scientifica rispetto ad altre forme di sapere (tradizionale, sapienziale, al limite religioso o magico); questo diventa pericoloso quando genera un sostanziale discredito del sapere scientifico stesso su cui è basata anche la psicologia (sapere che non esaurisce lo scibile umano, ma che nemmeno va buttato via)
– infine, a proposito del “non difendersi” di Andrea: se lei non difende la sua identità di psicologo forse dovrebbe chiedersi se fa per lei.
Implicitamente viene delegittimata la figura professionale dello Psicologo nella sua funzione di operatore del benessere psichico. A me sembra che in questo si rischi di fare confusione con la Psichiatria dimenticando che la Psicologia Clinica e le Psicoterapie di derivazione Psicologica nascono anche come risposta alla Psichiatria intesa come sistema di presa in carico della sofferenza mentale patologicizzante.
In frasi tipo quelle sopra riportate citando il quotidiano La Stampa: “Molto spesso per queste persone […] il disagio assume forme che non hanno niente a che vedere con la sofferenza psicologica ma che coinvolgono l’intera visione del mondo, creando vuoti di senso, disorientamento e perdita d’autostima» (La Stampa); mi sembra che si confonda la Psicologia con la Psichiatria conferendo al counselling, in questo caso filosofico, specificità della professione dello Psicologo.
Secondo me sarebbe ora che l’Ordine Psicologi, sia a livello nazionale che regionale, inizi a portare tali questioni in tribunale.
Fate paura, dall’alto della vostra ignoranza personale, pretendendete che tutto il mondo passi attraverso l’imbuto del vostro Ordine Professionale al quale si accede grazie a studi meticci e variegati che nulla hanno a che vedere né con la Psichiatria- che quasi vi offende!_ nè con la Cultura che pretendete di dominare solo grazie ai vostri esamini universitari che avrebbero il magico potere di rendervi competenti in tutte le sfaccettature della cultura umana, soprattutto in ambiti di esperienza che né conoscete né sospettate. Avete mai sentito parlare di un fenomeno definibibile come “visione del mondo”? Ignorate persino che molte cosiddette psicosi sono problemi noogeni con i quali, secondo voi, i filosofi non hanno niente a che fare! Ignorate anche le opere di Freud il quale ha sempre evidenziato che le fonti della conoscenza psicologica, dalle quali ha dichiarato di aver attinto, sono per la fran parte costituite da opere artistico-letterarie perché solo l’arte ha il potere di penetrare e rappresentare la specificità del sentire umano. Siete troppi e avete fame, vedete in tutti i rappresentanti della cultura dei concorrenti al vostro pasto. Persino la Pedagogia vi irrita, ma voi sapete COME insegnare qualcosa a qualcuno senza fargli le pippe del vostro essere isctitti all’Ordine?
Per tornare alla Philosophische Praxis tema del post.
Perdona la mia ignoranza, ma, a parte Freud, che tutti tirano un po’ per la giacchetta secondo le rispettive convenienze, di quali altri psicoterapeuti Achenbach avrebbe letto le opere per arrivare alla considerazione, come si legge sul sito di Phrònesis, che «la maggior parte delle psicoterapie ed in particolare la psicoanalisi» adotterebbero un «approccio medico», anziché umanistico?
Ma è così ovvio… Dal momento che le varie terapie parlano in termini di patologie, di malattie e di cure per tali cose. Il medico cura le malattie.
Il terapeuta, come dice Filone di Alessandria, non guarisce, egli “ha cura”: è il Vivente che cura e guarisce. Il terapeuta ha soltanto il compito di mettere il malato nelle migliori condizioni possibili affinché il Vivente agisca e la guarigione avvenga.
Poi che avvenga con pratiche magiche, mediche, o quantaltro poco importa… Si tratta comunque di mezzi attraverso cui il Vivente agisce.
Prima di prenderti la briga di rispondere ad una domanda rivolta ad altri avresti almeno potuto fare lo sforzo di capirla. Avresti evitato di ripetere a pappagallo quella stessa affermazione che essa cercava di chiarire e magari saresti riuscito ad argomentare un pensiero. Certo, ragionando sempre “in generale” come traspare dai tuoi commenti, può risultare un po’ difficile, ma … mai dubitare delle infinite possibilità dell’Essere.
Mi spiace tu te la prenda così a male, e mi spiace anche per il tuo sarcasmo poco costruttivo.
Per la cronaca, come dici tu: cercava di chiarire… Non chiariva affatto… Se fossi più chiaro tu… allora sarebbe più chiaro per tutti.
Purtroppo ho molto a cuore la qustione counselor vs psicologi, e psicologi vs psichiatri (Guerre feudali e improduttive direi), e mi spiace se a volte rischio di passare per impertinente e ficcanaso.
La mia domanda è ancora lì, sufficientemente semplice da poter essere compresa chiunque conosca anche minimamente le tematiche del post. È una domanda sincera che faccio perché vorrei capire su cosa si basa un’affermazione per me palesemente assurda. Se c’è qualcuno che, invece di perdersi in vacue «questioni» tra categorie più o meno professionali, fosse disposto ad entrare nel merito delle teorie, dei metodi e delle esperienze, mi farebbe piacere che mi rispondesse senza scomodare esegeti biblici o mistici medioevali.
“Ignorate persino che molte cosiddette psicosi sono problemi noogeni con i quali, secondo voi, i filosofi non hanno niente a che fare!”
Meno male che ce lo hai spiegato tu… “le psicosi sono problemi noogeni che dovrebbero essere gestite dai filosofi”… “solo l’arte penetra l’umano”… interessantissimo… ma tu un paio di giorni in un SPDC li hai mai fatti, per vedere cosa è davvero una psicosi, o hai solo letto dei libri di storia dell’arte e filosofia teoretica, e in base alle tue colte letture pensi di aver capito il mondo ?
ragazzi ma dimentichiamo che la psicologia nasce dalla filosofia? non per questo negli anni se ne è distaccata offrendo una moltitudine di approcci più o meno centrati sulla persona e sul suo ambiente, che a mio avviso ben contestualizzano il disagio (non prendendo quindi solo in considerazione l’aspetto patologico da manuale). lasciamo ad ognuno la responsabilità del proprio campo. Studiare per anni il funzionamento dell’individuo e le varie modalità d’aiuto che la disciplina psicologica offre non credo sia una visione limitante del problema…e se si crede che l’impostazione filosofica possa offrire una visione più ampia…beh, io ci vedo qualcosa di molto poco chiaro. secondo quali parametri io mi arrogo il diritto di dire ad una persona se vedere il mondo tutto rosa o tutto verde?non c’è il rischio di “plasmare” una mente fragile con degli ideali personali e che invece dovrebbero essere frutto delle cognizioni e delle letture proprie di ogni singolo individuo?!?!? Il fatto che ci debbano essere delle persone che addirittura ti dicano cosa pensare non mi sembra diverso da una sorta di “propaganda politica” o dai beceri messaggi che la televisione offre a tutti coloro che subiscono passivamente la realtà. io parlo da semplice studentessa di psicologia, che crede nella serietà di quello che sta facendo…questo mestiere non è un gioco, anche se a tanti piace mettersi la maschera da guru del nuovo millennio che illumina le menti (…un atteggiamento di questo genere mi sa tanto di setta che disperatamente cerca degli adepti!)…lasciamo che ognuno agisca decorosamente nel proprio ambito senza cercare di far venire fuori degli ibridi che creerebbero solo ulteriori problemi. Il fatto che un buon psicoterapeuta abbia una formazione continua dovrebbe far riflettere!
L’ignoranza dello psicologo medio in termini di filosofia è abissale. La burocratizzazione della psiche nella nostra società non ha eguali, ormai uno o è iscritto all’ordine degli psi o non può più nemmeno parlare, in quanto abusa di consulenza….io credo che gli psicologi affogheranno nella loro idiozia.
se persone con formazione e modo di vedere le cose diverse debbano arrivare ad offendersi per far in modo che il loro punto di vista primeggi non vedo un briciolo di speranza…se i presupposti sono questi come potrà una persona che chiede aiuto prima attraverso un couseling psicologico, poi magari filosofico e poi ancora chissà di quale altra tipologia riuscire a trarre le sue conclusioni?!?!?!? ok quella del counseling filosofico è una realtà, mi documenterò (ne ignoravo persino l’esistenza), ma mi chiedo: si prevede collaborazione o lotta eterna fra le categorie?!?! ci sono equipe terapeutiche o è proprio tutta l’impostazione tradizionale che viene criticata e ribaltata?
Mi pare che non sia ben chiaro quello che è il problema principale dell’esercizio abusivo della professione di psicologo: la salvaguardia dei diritti dei cittadini; il diritto alla segretezza e quindi l’obbligo per legge del professionista a mantenere il riserbo e in caso contrario scatta la denuncia penale; a questo serve l’Ordine professionale in primis; se io mi reco da uno psicologo e questo mi arreca un danno per incompetenza o non rispetto del Codice Deontologico, io posso denunciarlo al suo Ordine Professionale e posso fare in modo che questo professionista paghi per i suoi errori; in assenza di Ordine Professionale, che non vigli sull’operato dei suoi iscritti, un cliente non ha modo di tutelarsi.
In secondo luogo il cosiddetto “counseling filosofico” utilizza le tecniche del dialogo socratico per cambiare il modo di vedere la realtà; se ho capito bene mi pare si lavori sulla rilevazione dei pensieri automatici negativi riguardo a situazioni specifiche ( nel caso incriminato il lutto inteso come compromissione di uno scopo di vita dei famigliari di persone malate) e sulle credenze di base rispetto a temi e a visioni globali della vita e del mondo; ebbene questa è una delle tante tecniche utilizzate della psicoterapia cognitiva, che si avvale moltissimo della filosofia e del dialogo socratico, ma il problema è che da solo non basta e rischia di far crollare le poche certezze che possono esserci in una famiglia che sostiene un peso così grande, come l’avere un caro malato. La fase di accertamento è indispensabile ( possiamo chiamarla anche fase diagnostica, ma in pratica è un accertamento) per capire a che livello di disagio emotivo è situata la famiglia; è condizione senza la quale NON si deve procedere all’utilizzo di nessuna tecnica, perché le parole sono pietre e non tutte le persone sono in grado di trarre beneficio da questo tipo di intervento filosofico, psicologico o come vogliamo chiamarlo. Uno psicologo è invece per dovere obbligato ad accertarsi che quella particolare, e in certi casi utilissima tecnica, sia idonea a quel tipo di famiglia o gruppo di persone. L’orientamento terapeutico cognitivo è uno dei pochi, o forse l’unico, che continua a produrre ricerche di efficacia basate su evidenze scientifiche, e il terapeuta è tenuto a continuare ad aggiornarsi e a studiare per poter integrare le moltissime tecniche di counseling (una delle quali è appunto il dialogo socratico) per essere in grado di aiutare le persone senza fare danni proponendo loro un intervento pericoloso per il benessere psicologico.
Mi spiace seguire in questi ultimi anni il continuo scontro fra questi movimenti di cosiddetto “counseling non psicologico” e gli Ordini professionali, ma mi chiedo anche, come tanti colleghi psicologi, perchè queste persone non hanno studiato per diventare psicologi, se in realtà è a questa professione che aspirano?
Sono d’accordo con te Francesco. Sono un Consulente Filosofico e da diversi anni esercito questa professione. Spesso avrei bisogno di collaborazione con uno psicologo e mi piacerebbe molto trovare qualcuno disposto a mettersi in gioco per un approccio duale filosofico e psicologico. In tutti questi anni (4 per l’esattezza) non ho mai trovato nessuno e quindi sono stata costretta a fare il mio lavoro, per quanto concerne la parte concettuale-esistenziale del problema che mi veniva posto e inviare ad uno psicologo il mio ospite proprio per mancanza di dialogo con il mondo psi.
Per quanto riguarda il percorso formativo della Consulenza Filosofica, in Italia si distinguono due associazioni, la SiCof che si occupa prevalentemente di Counseling e che non mette limite nell’ingresso per partecipare ai suoi corsi di formazione alla sola laurea in filosofia, e Phronesis, Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica che propone un iter formativo, esattamente come SiCof, ma la condicio sine qua non è possibile accedere è una laurea magistrale-specialistica in Filosofia o dottorato.
“….Sui quotidiani La Stampa e La Repubblica di fine maggio è stata data la notizia che a Torino, presso alcuni sportelli dei Servizi Sociali comunali, aprirà a breve un servizio di counselling filosofico.
Lo sportello – si legge negli articoli – offrirà la possibilità di attivare cosiddetti “percorsi di counselling filosofico” e tale servizio sarà inizialmente rivolto a famiglie con persone non autosufficienti, ma presto verrà esteso a tutti i cittadini…”
Francesco, mi pare di capire che qui saranno coinvolte famiglie…
Vorrei solo ricordare che tutti, anche un postino, potrebbe autodefinirsi consulente filosofico, dal momento che non esiste un Ordine che regolamenti e tuteli questa professione. Chiunque si può professare counselor in Italia, senza incorrere in alcuna sanzione; un albo professionale è definito tale solo se riconosciuto dalla legge italiana. Perciò questa sedicente categoria professionale, per il momento non offre la benchè minima garanzia di professionalità e serietà ai cittadini, perciò ne deduco che allo stato attuale, anche il mago Otelma si può definire consulente filosofico, ma non certo psicologo!
Non voglio fare sterili polemiche, ma qui è della salute psichica delle persone che si parla, e i counselor , anche con le più buone intenzioni, non hanno gli strumenti ne possono offrire le garanzie che sono proprie della professione di psicologo e ancora insisto sul fatto che chi vuole esercitare questa professione è liberissimo di farlo dopo aver conseguito la laurea magistrale in psicologia, un anno di tirocinio professionalizzante e superato l’esame di Stato abilitante all’esercizio della professione e per chi è interessato alla terapia, quattro o cinque anni di scuola di specializzazione in psicoterapia.
Per chi poi accusa gli psicologi di formare non-psicologi stia pur tranquillo che gli Ordini professionali stanno dando battaglia ai colleghi indisciplinati, denunciandoli e ultimamente vincendo anche una causa esemplare e consiglio a chi interessa di leggersi la sentenza Zerbetto
http://www.psicologialavoro.it/articoli/tutela-professione-psicologo/sentenza-zerbetto-scuole-psicoterapia-counselor-counseling/
L’associazione Phronesis, proprio per la mancanza di un ordine professionale, di cui si è fatta carico della sua istituzione in materia, presso il Ministero di Grazia e Giustizia ed il CNEL, funge da Ordine Professionale per quanto riguarda i suoi soci professionisti, a tutela (giustamente) come tu ricordi della committenza. I consulenti di Phronesis superano un esame finale a seguito di un corso di formazione ben strutturato. Nonappena sarà terminato l’iter di riconoscimento professionale (e sembra non mancare molto) anche per i consulenti filosofici verrà istituito l’esame di stato per il riconoscimento della professione.
come dimostrano questi commenti, molti psicologi vivono nelle caverne in quanto a conoscenza di cosa succede nel mondo e di come lo stesso gira…. mi chiedo sempre come possano essere “curativi” se vedono a malapena olte il loro naso….chiusi in uno studio a maneggiare test, mentre il mondo evolve, culturalmente, socialmente…boh, la vedo proprio male questa professione se non comincia ad aprire un pò le menti di chi la pratica, invece di chiuderla nella astiosa burocrazia invidiosa mascherata da “tutela della salute”. Ma che salute volete tutelare voi psicologi, la salute della burocrazia psichica?
Non mi sembra che nell’iniziativa torinese vengano proposte cure o terapie. Ascolto e dialogo sono un patrimonio dell’umanità da migliaia di anni e la filosofia è nata appunto nelle piazze tra la gente migliaia di anni fa da questa esigenza di dialogo e ascolto. Io trovo poco comprensibile mettere dei veti su un dialogo tra persone quando: entrambi i dialoganti sono consci che non si parla di una cura o di una terapia, entrambi i dialoganti sono consci di parlare con un filosofo e non con uno psicologo. La parola è un patrimonio culturale dell’umanità, non dimentichiamolo
La libera comunicazione fra persone, certamente. La vendita di una prestazione in cambio di denaro, non è più un libero scambio fra persone ma un’attività professionale. Quindi, delle due l’una: il counselling filosofico è un’attività remunerata oppure un libero incontro fra cittadini? nel primo caso, come per ogni attività economica deve sottostare alle leggi dello stato italiano; nel secondo caso, inutile discuterne qui.
Zanon le leggi dello stato italiano sono interpretabili, voi le interpretate (ovviamente) a vostro vantaggio. I counselor le interpretano a loro vantaggio. Per quello ogni sentenza è messa in bella vista sul sito: come avrà interpetato questa volta la legge il Giudice, emittente dell’Interpretazione (I maiuscola) che fa giurisprudenza? Ovvio che sia così. Ma come ben sapete, anche i giudici ci vanno piano, perchè la situazione NON è affatto semplice. C’è molto più spazio operativo per moltissime figure professionali non normate (anche se il Parlamento sta analizzando una legge molto interessante in questa direzione) rispetto a quello che voi potete permettervi di riconoscere. Inoltre, tenete presente che le attività di counseling sono soprattutto in ambiti NON clinici, per cui il timore per la salute pubblica non esiste. E per clinica intendo il metodo, non sapere a priori se una persona ha sintomi patologici…questa è pura idiozia. Nemmeno uno psicologo sa a priori che la persona che gli si presenta ha i “sintomi” per cui lui è formato a intervenire, salvo che gli psicologi non si considerino formati in tutto lo scibile umano, come spesso mi pare di capire…la realtà vera è che è molto difficile essere credibili nella società appellandosi solo a dispositivi burocratici e non sostanziali della propria formazione….il problema è tutto lì.
Gentile,
non vorrei apparire “contro” per partito preso. Nella questione dell’applicazione della filosofia alla consulenza personale, la mia doppia appartenenza, sono laureato in Psicologia e anche in Filosofia, mi consente di dire un paio di cose:
1) che la Filosofia è un campo di base del sapere umano, trasversale a tutte le discipline. Ne fonda, per così dire, i pilastri portanti. Pensare che possa essere spacciata come una professione, quando è invece scienza delle scienze, mi fa pensare che chi lo fa non sa molto né di filosofia né di professioni.
2) c’è un’infondatezza di base nel presupposto per cui ‘lo psicologo si occuperebbe di clinica, il counselling di tutto il resto’ che non smette di farmi rabbrividire. Questa stupida e artificiosa distinzione, di cui non trovo traccia in nessuna teoria filosofica, psicologica e in nessuna prassi professionale, non è sostenibile come non era sostenibile il mito cartesiano della distinzione fra mente e corpo. Quando una persona arriva e ti dice che gli manca l’erezione che fai? gli dici che pure Socrate nella Repubblica ha trattato la questione, e che si sta meglio senza l’impaccio della vita sessuale? Arriva sempre il momento, anche per un avvocato, di ricevere confessioni sulla prostata dei clienti; l’avvocato può dire che lui si occupa di legge, ma il counsellor personale che fa, visto che si è posto come consulente delle situazioni esistenziali?
La verità è che il counselling è un mercatino della formazione, con nessuna reale applicazione professionale. Chi fa counselling all’interno delle altre professioni (infermiere, educatore, medico, psicologo, etc…) lo fa a partire dal proprio ruolo professionale primario, non certo dai corsetti di tre mesi. Chi non ha una propria professione, e pretende di vendersi come counsellor, non è nemmeno all’altezza di maghi e fattucchiere, che almeno hanno un proprio volume d’affari regolarmente dimostrato al fisco e all’INPS a livello nazionale.
“E per clinica intendo il metodo, non sapere a priori se una persona ha sintomi patologici…questa è pura idiozia. Nemmeno uno psicologo sa a priori che la persona che gli si presenta ha i “sintomi” per cui lui è formato a intervenire, salvo che gli psicologi non si considerino formati in tutto lo scibile umano, come spesso mi pare di capire…la realtà vera è che è molto difficile essere credibili nella società appellandosi solo a dispositivi burocratici e non sostanziali della propria formazione….il problema è tutto lì”.
Caro Luca, queste tue parole lasciano intendere che forse non hai ben chiaro quale sia il lavoro di uno psicologo; moltissimi psicologi lavorano con clienti che non hanno alcuna patologia, forse, se faccio degli esempi puoi capire meglio cosa intendo dire:
persone con patologie mentali vengono trattate per esempio nei Csm (centri di salute mentale), in strutture terapeutiche riabilitative e in privato da psicoterapeuti che si avvalgono anche di medici specialisti in psichiatria o da psichiatri formati in psicoterapia, e comunque in generale da equipe terapeutiche formate da un case-manager (che può essere l’infermiere), un assistente sociale, uno psicologo-psicoterapeuta, un medico specialista)
Per quanto riguarda i disagi, le sofferenze psicologiche, il bisogno di un sostegno psicologico (situazioni che non vengono inquadrate assolutamente in un quadro patologico) lo psicologo opera riconoscendo con cognizione di causa i meccanismi psicologici che sottendono al formarsi di situazioni difficili per il cliente; per farmi capire meglio, credo che un esempio pratico possa essere il canale migliore: nel caso del sostegno psicologico a famigliari di pazienti malati cronici o terminali mi è capitato di conoscere una famiglia composta da padre, una figlia, un figlio e una mamma che purtroppo soffriva di una grave patologia cronica; questa famiglia ha da sempre affrontato la malattia della signora in modo esemplare e con l’aiuto di un’equipe comprensiva anche di psicologo che sosteneva la famiglia; ad un certo punto il padre si è scompensato: ha iniziato ad avere una forte, persistente e continua sensazione di preoccupazione (io la chiamo ansia) apparentemente senza motivo, dato che la moglie versava già da diversi anni in gravi condizioni mediche e la situazione era gestita dal signore in maniera serena, certo con alti e bassi, ma sostanzialmente la famiglia aveva accettato la condizione della donna. L’intervento psicologico consapevole e ben organizzato è cruciale in questi casi, perché bisogna immediatamente indagare e accertare le cause del cambiamento dello stato psicologico del signore; bisogna assolutamente sapere che tipo di relazione instaurare con il signore, se individualmente, in gruppo, con i famigliari, bisogna sapere quale ruolo è più idoneo assumere con quella particolare persona (un ruolo direttivo, di accudimento, paritario, più caldo o più distaccato) e questo lo si deve fare conoscendo quali meccanismi cognitivi ed emotivi si innescheranno a seconda della scelta del tipo di intervento che si farà. In questo caso il signore NON ha un disturbo mentale, ma una sofferenza psicologica dovuta a dei fattori sia interni che esterni che sono tutti da indagare attraverso le tecniche, i metodi , i modelli e gli strumenti psicologici più idonei; come ho già detto in un altro post, la tecnica del dialogo socratico è un metodo che appartiene ad un preciso modello, ma c’è un giusto momento e una giusta situazione del colloquio psicologico in cui ci sono i presupposti per poter utilizzare questa tecnica e bisogna assolutamente saper riconoscere quand’è questo momento giusto accertandosi dello stato psicologico della persona: ci sono casi in cui filosofeggiare può offendere la persona, può irritarla, può farla cadere in depressione, può aggravare una situazione già di sofferenza, può non essere capita (intendo dire capita nel senso che la persona si aspetta altro, per esempio un lavoro sulle proprie emozioni).
Io ho studiato tanto per lavorare come psicologa e non mi ritengo assolutamente onnisciente, anzi ho ancora una vita di studio davanti e tantissimo da imparare dai miei clienti e dalle persone con cui mi confronto; per ciò che riguarda il fatto che :”nemmeno uno psicologo sa a priori che la persona che gli si presenta ha i “sintomi” per cui lui è formato a intervenire” ti do pienamente ragione, infatti io non posso umanamente sapere di quali sintomi soffre un cliente se prima non ho fatto un percorso di accertamento con questa persona; conclusa la fase di accertamento saprò se i sintomi che manifesta la persona sono l’espressione di un disagio che rientra nelle mie competenze, in caso contrario mi attivo per cercare un collega che si occupi del disturbo di cui io non sono competente (nel mio caso potrei fare l’esempio di un cliente che in seguito agli accertamenti presenta un disturbo dell’alimentazione, che io per il momento non sono formata a trattare in quanto molto complesso e necessita di una formazione specifica).
Per ritornare alla funzione dello psicologo come consulente di famiglie che hanno una parente malato, può anche capitare che se è uno dei genitori a stare male, un bambino ricominci a fare pipì addosso anche a 9-10 anni, in questo caso la filosofia come può essere di aiuto al piccolo?
Queste che scrivo sono solo delle considerazioni che mi sentivo in dovere di fare, perché è vero che ci sono ciarlatani anche fra gli psicologi, ma ce ne sono tantissimi che sono preparati ed appassionati alla professione psicologica e faticano tanto per poter essere all’altezza degli interventi che vengono richiesti dai clienti. Gli studi e il continuo aggiornamento che ci è richiesto di fare serve per sapere quali sono i protocolli e il come strutturare i propri interventi in base alle più recenti ricerche empiriche fatte su campioni di popolazione, perché con la psiche non si scherza e non si può andare a braccio senza concettualizzare il caso e procedere per prove ed errori giocando con il benessere delle persone.
Ragazzi, guardate che la filosofia è venuta prima della filosofia. Non è che il counselor filosofico copia Rogers, è la terza via della psicologia (quella umanistica) che attinge a piene mani dalla filosofia. C’è più psicologia in Jaspers, Kirkegaard e Nietzsche che in tutti i libri di tecniche psicologiche che studiano gli psicologi burocrati della mente. Nella filosofia c’è la natura umana distillata in due millenni, nella psicologia per lo più tecniche da burattini da adattare alla società dell’efficienza. Ma ve ne rendete conto o vi hanno fuso il cervello? Ma lo psicologo medio cosa ha letto di filosofia nella sua vita accademica, un bignami? Siete stati solo più furbi e opportunisti a blindarvi con l’ordine degli psicologi, complici le lobby della facoltà accademiche. Con la legge in approvazione alla camera sulle libere professioni verrà messo un nuovo tassello all’evoluzione di questo paese medioevale, altro che salute pubblica! Studiate e studiate, ma non solo psicometria, test e DSM4!
(I post vengono threadati in maniera scorretta, si può sistemare ?)
Luca, il tuo ultimo post dell’11 luglio è molto chiarificatore:
“Ragazzi, guardate che la filosofia è venuta prima della filosofia. (…) in tutti i libri di tecniche psicologiche che studiano gli psicologi burocrati della mente. (…) nella psicologia per lo più tecniche da burattini da adattare alla società dell’efficienza. Ma ve ne rendete conto o vi hanno fuso il cervello? (…) Siete stati solo più furbi e opportunisti a blindarvi con l’ordine degli psicologi, complici le lobby della facoltà accademiche.”
Se potevo avere ancora dei dubbi che i tuoi contributi fossero un misto di pregiudizi da bar, di polemica gratuita e di “poche idee, ma confuse”, me l’hai appena tolto. Grazie.
Francesco, Luca, Epimeleia: è interessante vedere come siate ansiosi di rivendicare un’identità professionale riconosciuta che è, nei fatti, inesistente.
Il “consulente filosofico” che cosa farebbe, di preciso, con i suoi utenti ? Che tecniche usa ? Che modelli di intervento adopera ? Quali sono gli atti professionali specifici che lo sostanziano, se non una copia sbiadita degli atti psicologici di colloquio, sostegno e problem-solving in ottica umanistica, con una spolverata di esistenzialismo per darsi un tono ? E come fa, ad esempio, ad evitare di fare pasticci a danni degli utenti, se non ha nemmeno gli strumenti concettuali per riconoscere una crisi esistenziale da una flessione depressiva del tono dell’umore ?
E’ interessantissimo vedere come alle precise riflessioni, sia di ordine tecnico, che di ordine etico, poste da Leni, troviate solo da rispondervi una serie di “vedrete, vedrete, prima o poi avremo anche noi il nostro bell’albo professionale!”, o attacchi goffi e gratuiti ad una categoria professionale cui non appartenete.
Epi: le associazioni privatistiche non “funzionano da ordine professionale”. Stai facendo una confusione di concetti normativi abbastanza specifici. E, qualunque cosa ti abbiano detto, non ci sarà mai un “ordine professionale dei consulenti filosofici”: campa cavallo, che l’erba cresce. Ti hanno solo venduto formazione a pagamento, non una professione riconosciuta. Un albo professionale esiste solo per le professioni che hanno teorie, modelli, metodi specifici di intervento. Quali sarebbero quelli della “consulenza filosofica” ?
E chiediti perchè gli psicologi non vogliono “collaborare con te”. Sono “tutti cattivi” (spiegazione comoda, comodissima…), o magari ci sono fondati motivi, di varia natura ?
Luca: complimenti per le fini capacità argomentative (“gli psicologi affogheranno nella loro idiozia”): Gorgia avrebbe da imparare. E per la grande conoscenza che hai della psicologia (credo simile a quella che tu attribuisci agli psicologi in merito alla filosofia): aristotelica. E, soprattutto, per la grande umiltà che ti contraddistingue: si vede che hai imparato bene la lezione degli stoici.
Francesco: per riciclare una vecchia battuta: il fatto che si venda il grana padano non significa che esista la Padania. Se compri grana per poterti illudere di vivere in padania, è un problema tuo. Il fatto che ci siano master su un argomento, non significa che ci sia una professione che vi corrisponde. Altrimenti, guardando i cataloghi dei master di diverse università italiane, a seguire il tuo ragionamento dovrebbero esistere professioni riconosciute come lo studioso mediterraneista, il leaderologo strategicista, il frutticultore collinare, l’adolescentologo differenzialista (tutti master veri, con questi nomi).
Non scambiare formazioni accademiche (concetto culturale) con funzioni professionali (concetto giuridico-economico).
Altrimenti un giorno ti troverai sotto casa lo studio di un counsellor mediterraneista.
Detto questo: buoni sogni.
Non vorrei suscitare polemiche o scatenare odi professionali, ma desideravo segnalare questo link
http://www.molinette.piemonte.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1139:la-filosofia-entra-in-ospedale&catid=79:notizie&Itemid=188
a rafforzare non solo la professionalità crescente del Consulente Filosofico, ma anche la necessità che la nostra società ha di Filosofia.
Quest’aspetto è stato sottolineato dai vari relatori del convegno, tra cui, lo noterete, anche una Psichiatra che ha collaborato con un Filosofo presso il centro di salute mentale della Asl di Firenze.
Comprendo lo scetticismo verso il nuovo, è tipico della nostra Italianità, ma è necessario aprirsi alla novità e alla ricerca, anche con discipline come la Filosofia che non sono affatto nuove, ma che possono dare un valido aiuto nella chiarificazione concettuale della persona.
Per chi di voi fosse interessato a sperimentare per capire e definire i confini della pratica filosofica, io sono disponibile ad offrire gratuitamente un colloquio filosofico.
Ho seguito il tuo link e mi sono preso la libertà di leggere con una certa attenzione la presentazione dell’esperienza di inserimento di un “consulente filosofico” presso un CSM a cui hai accennato. Non so se sia tale da suscitare «polemiche o odii», io l’ho trovata piuttosto inconcludente. Come «Esempio raro[…] di sperimentazione ufficiale […] controllato nelle forme d’intervento e negli esiti» mi pare faccia acqua da tutte le parti, ma per evitare di scrivere un commento chilometrico, mi limito a fare un’elementare considerazione di ordine metodologico.
Dall’applicazione sperimentale di un metodo, ci si aspetta quantomeno che quelli che vengono presentati come “risultati” siano coerenti con quelli che, stando alla teoria, sono gli “obiettivi” o gli “effetti” del metodo stesso. La giustapposizione due fatti: l’applicazione del metodo ed il verificarsi di un cambiamento qualsiasi, non è sufficiente nemmeno per sostenere una qualche correlazione fra i due, figuriamoci per provare “sperimentalmente” che il secondo si è prodotto per effetto del primo.
Nel presentare i «risultati» della sua esperienza presso il CSM, invece, il “consulente filosofico” non sembra preoccuparsi della coerenza del suo pensiero; infatti, pur sostenendo (anche sul suo sito Internet, che ho visitato) che la “consulenza filosofica” «abbandona non solo ogni intenzionalità terapeutica, ma anche ogni volontà di risolvere problemi: essa è solo ed esclusivamente un libero dialogo critico, che ha per unici obiettivi la comprensione e l’ampliamento della visione del mondo», le uniche informazioni che fornisce sulle condizioni degli utenti (8 in un anno!) al termine del suo lavoro sono la «dimissione dal servizio» di due di essi, la «riduzione delle somministrazioni farmacologiche» per altri due, «un interessante cambiamento di rapporti tra parenti del paziente ed équipe terapeutica» per un altro e, per un altro ancora, il fatto che non si sia più presentato al CSM; più qualche considerazione francamente un po’ generica per avere un qualsiasi significato, tipo «evoluzione positiva della loro vicenda esistenziale», «importanti miglioramenti nel modo di condurre la vita, ecc….
E della «comprensione e ampliamento della visione del mondo» che ne è stato? Non lo sappiamo, perché non ce n’è traccia. Pur essendo il loro sviluppo l’obiettivo fondamentale del suo metodo ed avendo l’opportunità di studiarne l’evoluzione nel dialogo con interlocutori per lui inconsueti, non sembra minimamente interessato a farlo. Pur avendo l’occasione, da lui stesso considerata rara ed importante, di mostrare pubblicamente come si producano e come differenzino la “consulenza filosofica” dalla psicoterapia, non ne parla. Perché?
Mi piacerebbe che mi rispondessi seriamente, perché di fronte ad un lavoro come questo la mia opinione è che, prima di proporsi, come dici, per «dare un valido aiuto nella chiarificazione concettuale» degli altri, i “consulenti filosofici” dovrebbero fare un po’ di chiarezza nei loro apparati concettuali e nei loro metodi operativi e di ricerca; almeno quel tanto da poterli poi presentare in modo credibile. Altrimenti lo scetticismo con cui le loro idee vengono accolte è pienamente motivato.
Non è una questione di apertura o di chiusura preconcetta; è che, al di là di tutte le considerazioni che si possono fare su un eventuale riconoscimento del “counseling” come professione, a me restano molti dubbi riguardo al metodo.
Sono molte le associazioni e le scuole di “counseling” che stanno cercando di ottenere un riconoscimento ministeriale seguendo l’iter che Epimeleia ha descritto a proposito di Phrònesis; e questo indipendentemente dalla “serietà” dell’iter formativo che propongono o delle società stesse, tant’è che in passato qualcuna di esse ha vergognosamente millantato presso i propri iscritti che l’elencazione nel V Rapporto di Monitoraggio sulle Professioni non Regolamentate dello CNEL equivalesse ad una sorta di riconoscimento legale e la abilitasse implicitamente a svolgere le funzioni di un ordine professionale: tenuta dell’albo, redazione del codice deontologico e vigilanza sul rispetto delle norme in esso contenute, ecc….
Tuttavia credo che questo piano sia assolutamente secondario rispetto a quello dei metodi che i vari “counseling” propongono e sui quali si concentra lo scetticismo mio e di molti colleghi.
Nel caso specifico, come ha già rilevato Leni, per come viene presentato sui siti delle diverse associazioni che se ne occupano, tra cui Phrònesis, il metodo della “consulenza filosofica” somiglia un po’ troppo alle prime forme di psicoterapia cognitivo-comportamentale; quelle degli anni ’60, che, attraverso un dialogo razionalistico, miravano a chiarire i costrutti attraverso i quali la persona interpreta il mondo per poi cercare di modificare quelli “infondati” o “disfunzionali”. È storia come la psicoterapia cognitiva sia successivamente evoluta sulla constatazione della limitatezza di un simile approccio, re-includendo altre dimensioni dell’esperienza umana che il solo dialogo razionale non era in grado di cogliere.
Personalmente ritengo poco realistico che si possa lavorare efficacemente ad una chiarificazione e rielaborazione della “visione del mondo” di una persona senza curarsi degli aspetti inconsapevoli (se non inconsci) su cui essa poggia e, soprattutto, senza passare per una almeno parziale rivisitazione delle esperienze relazionali che hanno presieduto alla sua costruzione nel corso della storia di sviluppo dell’individuo nel contesto familiare (“biografia” è un po’ riduttivo).
Altri aspetti che mi lasciano quantomeno perplesso sono che il “consulente-filosofico”:
– (esattamente come quasi tutti i “counselor”) operi una netta distinzione fra persone “patologiche” e “sane” e dia pressoché per scontato che l’appartenenza del potenziale cliente all’uno o all’altro gruppo sia rigida ed in qualche modo individuabile a prima vista;
– non si curi minimamente della relazione che si struttura fra lui ed il cliente, salvo considerarla, a priori ed infondatamente, paritaria;
– sembri, a tratti (ma è una mia impressione, ed alcune psicoterapie costruttiviste operano nello stesso modo), operare più come un sofista, impegnato nella manipolazione di interpretazioni alternative ed equivalenti di una Realtà, piuttosto che attraverso una maieutica socratica volta ad aiutare la persona a “partorire” la propria personale visione della realtà.
Tralascio altre cose per non farla troppo lunga e, sperando che la discussione riesca ad andare oltre i soliti luoghi comuni, ringrazio tutti quelli che contribuiscono ad una migliore comprensione della situazione e mi scuso per la lunghezza del mio commento.
E le validazioni verificate, le ricerche empiriche, gli esiti applicativi di questi cosiddetti “diversi indirizzi” di consulenza filosofica, dove le possiamo leggere… ?
Scusami, ma non hai ancora risposto alla domanda pregressa: in dettaglio, che cosa fa (che atti tipici attua) il consulente filosofico con i suoi “consultanti” ? Che cosa gli dice ? Con che tecniche ?
Con che modelli dell’interazione, della relazione, delle rappresentazioni in itinere ?
Perchè purtroppo (parlo in generale, in ottica di dibattito critico-scientifico) ho il timore che si tratti forse di modelli presi di peso dalla consulenza psicologica di tradizione rogersiano-umanistica ed esistenzialistica, con elementi di problem-solving e qualche riflessione culturale aggiunta.
E quindi, in questo caso, non sarebbe altro che psicologia ridotta e riadattata, con una patina di filosofia ad asserire una presunta alterità che però non è sostanziata dall’esecuzione d atti specifici differentemente implementati nell’interazione concreta con l’utente.
Ma probabilmente mi sbaglio, e quindi ti chiedo di chiarirmi le idee.
Quindi, ti prego, non rispondermi con vaghezza, tipo “compra un libro e leggilo”, “parliamo con la gente socraticamente per aiutarla a capirsi meglio”: sono anni che cerco qualcuno che riesca a rispondermi in modo dettagliato, chiaro ed univoco a questa semplice domanda, senza rimandarmi frasi generiche che significano tutto e nulla; ma appena la pongo si tirano tutti indietro. Non capisco perchè.
Se il punto su cui si insiste è che la filosofia viene prima della psicologia e che perciò la può sostituire e addirittura essere migliore di essa per capire i meccanismi della psiche, allora chi sostiene questa tesi, si presume che abbia cognizione di cosa stia parlando e che sia uno studioso e competente filosofo, ma non mi sembra questo il caso, perché allora non cita il fatto che la medicina moderna nasce dalla filosofia greca anch’essa? Quando si vuole difendere a spada tratta una propria idea non conviene usare come argomentazioni solo alcune parti della storia che fanno comodo; un filosofo ai nostri giorni non credo si permetterebbe mai dire che dato che la sua disciplina ha dato i natali alla medicina, può sostituirsi al medico. E se vogliamo dirla tutta, la filosofia ha dato i natali a tutte le scienze moderne: la fisica, la matematica, la biologia ecc.. e sicuramente in ogni settore scientifico l’apporto della filosofia è cruciale tutt’oggi, pensiamo alle terapie geniche, all’eugenetica e infiniti altri campi di ricerca scientifica che necessitano di studiosi esperti di filosofia che facciano ricerca anche loro sul continuo evolversi delle morali e dei valori dell’opinione pubblica che continuerà di pari passo con il cambiamento in ambito scientifico. Ma questa è un’altra storia, ognuno ha il suo ruolo.
Hanno ragione i counselor filosofici a dire che la filosofia serve più e meglio della psicologia; infatti, per curarli del loro delirio di onnipotenza quel che occorre la buona sana vecchia “filosofia empirica”: lasciateli fare, dategli in mano tutti i pazienti che vogliono, poi quando si troveranno alle prese con qualche bel paziente paranoico, borderline o maniacodepressivo, e non sapranno più cosa vedrete che scapperanno via come i conigli.
Purtroppo l’esperienza mi ha insegnato che le cose vanno diversamente. Diversi “counselor” di cui ho scoperto l’esistenza proprio per questo motivo, quando si trovano per le mani un cliente che non riescono a gestire, lo tengono una, dieci, tante sedute quante riescono a reggerlo e poi lo “scaricano” ad uno psicologo o uno psichiatra che non fa parte del loro “giro” (tipo il sottoscritto), affermando solennemente di aver fatto «un invio» in modo da non dover fare i conti con la propria coscienza. Allo psicologo tocca, invece, fare i conti non solo con il cliente, ma spesso anche con alcune “curiose” idee sulla psicologia e gli psicologi che il “counselor” ha avuto la gentilezza di “spiegargli”.
A onor del vero, devo precisare che nessuno di questi era, però un “consulente filosofico”.
Grazie Massimiliano, non mi sorprende quello che racconti, e sono molte le domande che questo solleva: che idea di psicologia e di psicoterapia diffondono questi counselor, con quali effetti sull’alleanza che i pazienti svilupperanno in una terapia e sul loro modo di riconoscere il proprio disagio; qual è insomma il loro effetto “iatrogeno”? Per esperienza personale, trovo l’effetto di questi “trattamenti” precedenti simile a quello che mi è capitato di vedere in soggetti, spesso molto fragili, che sono capitati nelle mani di qualche setta new age o gruppo parareligioso.
Adesso non esageriamo. L’appartenenza ad una setta “religiosa” o “filosofica” (le virgolette sono d’obbligo) ha una portata ben più vasta di qualche colloquio, già solo perchè comporta effetti di influenza di gruppo che in una relazione duale non si manifestano.
Concordo, invece, sul fatto che la conferma di alcuni stereotipi sulla psicologia e la psicoterapia, insieme alle “spiegazioni” ed alle “interpretazioni” che queste persone affermano di avere ricevuto dal “counselor” rigardo al loro modo di essere ed ai loro problemi, richiedono un surplus di lavoro già in sede di analisi della domanda, esplorazione del disturbo e costruzione dell’alleanda di lavoro.
E’ passata quasi una settimana, ed ancora nessuno mi sembra abbia accennato a rispondere alla mia semplice richiesta qua sopra: si potrebbe gentilmente capire quali sono – concretamente – gli atti tecnici tipici che costituirebbero la professione di consulente filosofico ? Quali sono – esattamente, tecnicamente – le azioni che vengono messe in atto, con il cliente davanti ? Quale teoria della tecnica è specificatamente ed operativamente, sottesa all’intervento professionale ?
Perchè se non si riesce a rispondere in maniera sufficientemente chiara e tecnica a tali domande, non capisco di che cosa si sta parlando… e mai nessun consulente filosofico, purtroppo per me, è riuscito a chiarirmelo: se ne esce sempre con qualche asserzione assai vaga e generica. Ma appena chiedo qualcosa di tecnico e specifico, il discorso si interrompe casualmente ogni volta.
Sono proprio sfortunato.
Se è solo per questo, io sono dieci giorni che aspetto una risposta alla mia banalissima domanda: su quali basi Achenbach sosteneva che le psicoterapie fossero a maggioranza connotate da un approccio medico?
Mi sta venendo il dubbio che i consulenti filosofici che hanno letto le opere di Achenbach non siano molti.
Verrebbe da dire che voi chiedete troppo! Non esiste un modello “tecnico” proprio perché si basa su qualche lettura e un po’ di inventiva. Se scorrete nomi e associazioni che si occupano di questa pseudoprofessione vedrete che in genere sono filosofi e psicologi che per evidenti motivi di cassa improvvisano qualche corso. Come si fa? Con tante belle parole complicate e un po’ di aria fritta.
Scusa Luca, ma qui siamo per discutere costruttivamente, mi sembra che come psicologi stiamo dando delle argomentazioni concrete e specifiche sulle obiezioni poste dai consulenti filosofici, a dire la verità anche io sarei curiosa di capire in cosa consiste questa tecnica e come viene progettato l’intervento di consulenza e in base a quali criteri. Sono aperta a cercare di condividere e chiarire i dubbi che avete sulla professione di psicologo e sulle modalità di intervento in situazioni specifiche.
Per quanto riguarda il tema della consulenza agli adolescenti, posso dirti che ho fatto un corso di perfezionamento in psicologia scolastica e tutti i miei docenti , che operano proprio con ragazzi in età adolescenziale, era difficile che superassero i 40 anni. Devo dire che anche nella mia città tutti gli psicologi degli sportelli di ascolto organizzati dal servizio di educazione alla salute, sono professionisti giovani e come prima cosa cercano di agganciare i ragazzi proprio sul piano di cui parlavi tu, cioè non ponendosi come vecchi carampani che sparano sentenze e giudizi.
Leni, intendevo carampano non di età anagrafica (la professione psicologica ha sviluppo recentissima, difficile che i vecchi siano molti) ma di stato mentale. E fidati che ne consoco molti, visto che son psicologo anche io. 🙂 Che però difende i counselor e il counseling come pratica a parte, anche se so che molto va migliorato. Ma questo anche nella psicologia. La figura del conselor per me ha senso, cosa devo fare, harakiri?? 🙂 E quello filosofico mi piace particolarmente, visto che ho studiato anche filosofia. Tra l’altro, avete mai sentito parlare del progetto philosophy for children attivato come master? L’origine del discorso è tutta lì, l’uomo riflette per sua natura sul senso delle cose e della vita. Conoscete la logoterapia di Frankl? Ecco, siamo su quel versante. Cosa c’è da spiegare ancora?? Stiamo calmi e lavoriamo che c’è spazio per tutti!
Ci stiamo allontanando dal seminato, tu Luca parli di azioni educative come lo è la philosophy for children ed è logico che siano soprattutto gli insegnanti a utilizzare questa metodologia. Per ciò che concerne la logoterapia di Frankl, leggo in una ricerca del 2004 pubblicata sul Journal of Mental Health Counseling, che risulta un buon sostegno per lo spostamento del focus attentivo dal sintomo alle ragioni della sofferenza in adolescenti depressi; questo attraverso il dialogo socratico, che come ho già detto è una delle tante tecniche usate in psicoterapia cognitiva, ma ripeto, solo inserita in un quadro più ampio che comprende la conoscenza di tutte le dinamiche relazionali, emotive e cognitive dei clienti.
Se vogliamo parlare di tecniche inserite in un contesto metodologico, il dibattito per me si può chiudere qua, perchè condividerei in pieno le tue idee. Sono però assolutamente contraria che persone non adeguatamente formate sul versante psicologico utilizzino queste tecniche senza cognizione di causa.
A proposito di “moralismo” fai un’affermazione errata, proprio perché il counseling filosofico appartiene all’insieme degli approcci che considerano la cura “morale” prima che “medica”. Tradizionalmente le teorie psicologiche seguono uno o l’altro dei due orientamenti: medico-scientifico (es. Freud) o filosofico-ermeneutico (es. Jung, Frankl, Rogers). Sono proprio gli approcci filosofici alla terapia ad essere più inclini alla persuasione morale.
ti confondi con l’etica. Ti perdono 🙂
non credo proprio di essere io a confondermi – purtroppo anche in molte psicoterapie l’etica è diventata solo una parola di cui oggi molti si riempiono la bocca per poter essere semplicemente immorali.
Scusate, ma mi sembrano discorsi un po’ fumosi sul counseling e con un basso livello di informazione sul problema.
Da diversi anni ormai i filosofi stanno cercando di non limitarsi più a pensare e stanno cominciando a cercare di utilizzare il loro sapere per far crescere la nostra società. Non mi sembra una cosa negativa. Seguite U. Galimberti, per esempio, e le sue riflessioni sullo stato della psicologia e della psicoterapia odierna.
Non mi sembrano osservazioni peregrine.
Così come non mi sembra irrealistico affermare che un neolaureato in psicologia non ha attualmente una formazione adeguata, nè un equilibrio garantito, per esercitare alcuna professione d’aiuto.
Lo dico da psicologo e psicoterapeuta che conosce bene i neolaureati. Non è certo colpa loro, ma anche loro capiscono che a 25 anni senza aver fatto un’ora d’analisi personale, senza avere un minimo di esperienza relazionale e soprattutto senza aver avuto una formazione metodologica seria si trovano in grande difficoltà a gestire situazioni in ogni caso difficili.
Il counseling nasce per una richiesta d’aiuto reale, crescente e molto esigente in Italia e nel mondo, sempre più persone chiedono un supporto fuori dall’ambito psicologico, che, ahinoi, è vissuto come giudicante, interpretativo, direttivo, “testante”, non so se mi spiego.
Questa, peraltro, è una responsabilità precisa, ovviamente nei grandi numeri e generalizzando, del mondo psicologico e psicoterapeutico che si è troppo spesso messo a interpretare, restituire, diagnosticare e pontificare in una relazione up-down.
Andate a vedere il sito di Assocounseling, una delle associazioni di counselor, così avrete una informazione di prima mano su quali sono i percorsi formativi (3 anni post lauream), su come sono gestiti (formazione teorico pratica, laboratori, supervisione, analisi e simulazione di casi concreti in gruppo) e sulle attività obbligatorie collaterali (100 di tirocinio in enti o organizazioni, più un percorso di psicoterapia volto a garantire un buon livello di equilibrio personale).
Si possono leggere anche gli atti caratterizzanti del counselor (i famosi atti tipici che gli ordini degli psicologi non hanno mai messo per iscritto) e le attività che i counselor svolgono normalmente.
Il counseling sta diventando una specializzazione (era effettivamente partito come approfondimento per operatori nelle professioni d’aiuto, non necessariamente laureati) per i laureati, anche psicologi ovviamente, che le nostre università preparano in modo solo nozionistico, e che hanno bisogno di ben altra formazione per trattare disagi temporanei, certamente non nevrotici, nelle organizzazioni soprattutto, ma anche nella libera professione.
Uno psicologo, così come un altro laureato, per esercitare può scegliere 3 anni per il counseling oppure 4/5 per diventare psicoterapeuta. Naturalmente le ore di formazione e i costi sono anche diversi.
Se volete potete anche andare nel sito del’OPI, Associazione di psicologi indipendenti, assolutamente sfavorevole alle limitazioni di casta degli ordini degli psicologi.
Un’ultima osservazione: il dibattito in corso sull’esclusività della formazione in psicologia per le professioni d’aiuto ricalca lo stesso atteggiamento che anni fa ebbe la classe medica nei confronti dell’allora nascente professione psicologica.
Adesso l’orticello lo difendiamo noi, lassù in collina, mentre oltre il fiume, là in basso dove più si concentra la domanda, ci sono diverse professioni che coltivano i propri prodotti con molta cura, con innesti da nuove metodologie integrate e con insegnati al passo con i tempi.
Noi psicologi abbiamo la memoria corta, ahinoi.
Mi auguro che i giovani psicologi guardino tutto questo dibattito cercando veramente di capire come possono fare per trovarsi una nicchia veramente professionale, il mercaco del lavoro oggi è molto esigente e per trovare lavoro è prima di tutto importante essere veramente bravi, saper essere e saper fare.
Le lauree per questo, e me ne dispiace molto, non sono sufficienti.
Giorgio Piccinino
sociologo, psicologo, psicoterapeuta, counselor supervisor.
Voi potete discutere quanto volete ma un filosofo mi ci ha tirato fuori dalla depressione esistenziale in cui stavo per cadere, uno psicoterapeuta no. E non uno, ma quattro, diversi.
E sapete perchè?
Perchè è l’approccio che cambia totalmente.
In un caso si è pazienti, nell’altro si è semplicemente clienti. Con il filosofo non ho parlato una volta che sia una di me stesso, di persone che interagiscono con me, della mia famiglia, del mio lavoro, della mia storia, etc, etc… abbiamo parlato solo ed esclusivamente di nichilismo.
Volevo solo l’aiuto di una persona preparata sull’argomento che ignorasse ME, per una santa volta, ma che autorevolmente disquisisse le mie tesi e che mi desse modo di avere un’altra visione sull’argomento.
Chi cerca il counseling filosofico vuole solo confrontarsi intellettualmente con qualcuno che possa davvero tenere alto il discorso; molto spesso quando questo desiderio nell’uomo arriva con prepotenza, e può capitare a chiunque, spesso non c’è nessuno con cui parlare che sia all’altezza del discorso ed alcuni finiscono per perdersi senza una guida preparata.
Io, consiglierei a psicoterapeuti e filosofi di collaborare perché un filosofo non può fare quello che fa uno psicoterapeuta e viceversa, ma in molti punti possono aiutarsi vicendevolmente.
Gentile,
può darsi che tutto quello che lei racconta sia stato davvero utile. Ma non credo fosse depressione, più o meno esistenziale. Perché mi creda, io farò pure lo psicoterapeuta da diversi anni, e dopo aver visto qualche centinaio di pazienti e di condizioni esistenziali di ogni tipo, posso dire che la psicopatologia è tale proprio perché resiste alle sfide della mutazione di pensiero. Nessun depresso ingaggerebbe mai un discorso sul nichilismo, guarendone: in genere è molto se riesce ad alzare gli occhi verso la finestra per godere un attimo di paesaggio fuori dallo studio.
E lo dico dalla posizione di chi ha avuto la fortuna e i desiderio di incontrare entrambe le muse, Filosofia e Psicologia, venendo stregato più dalla prima che dalla seconda. Eppure, il trattamento per me è psicoterapico, seppure informato dei modelli che solo la Filosofia può.
Le propongo quindi una sfida ulteriore: perché accontentarsi? che i Filosofi siano anche Psicologi, e gli Psicologi anche Filosofi. Così che non sembri una scorciatoia alla preparazione e all’esperienza clinica, tutto questo fiorire di nuovi consulenti desiderosi di prendersi cura degli altri.
A un counselor si rivolge una persona, non un paziente. Il fatto che uno psicologo consideri ogni persona un paziente, non è un problema del counselor. Un counselor parla di sofferenza, non di “depressione”, “manie”, “paranoie”: se uno psicologo vede ogni sofferenza come “clinica”, non è un problema del counselor. Un counselor ha degli incontri, non mette in atto terapie: se uno psicologo considera ogni incontro terapeutico (nell’accezione medica del termine) non è un problema del counselor. Un counselor ricorre al dialogo socratico, al metodo maieutico (per esempio): se lo psicologo considera il metodo maieutico come un piano terapeutico, ancora una volta, non è un problema del counselor.
D’altra parte… da uno psicanalista va un paziente. Per il counselor il paziente ha bisogno di una terapia che lui non può dargli. Dallo psicanalista va il depresso: il counselor non cura la depressione, quindi non può aiutarlo. Dalla psicanalista si va per una terapia: il counselor non fa terapia.
Così come un counselor non si sognerebbe mai dire che si può intervenire sulla psicosi mediante un caffè filosofico, così uno psicanalista non si azzarderebbe mai a sostenere che “dalla tristezza si guarisce” con ansiolitici. Qualora lo facessero sarebbero “pessimi professionisti” e non sarebbe un problema né della comunità degli psicologi né di quella dei counselors, ma dei singoli soggetti.
E’ evidente una coesistenza tra le due parti, anzi: è auspicabile una collaborazione direi. Se poi l’interesse ad alimentare questa battaglia campale è di altra natura “speculativa”…, ancora una volta, non è un problema del counseling filosofico.
Quanti dei maggiori psicanalisti sono anche filosofi? Quanto il corpus teorico filosofico alimenta e sostiene la tradizione psicanalitica? La coesistenza c’è da sempre così come la collaborazione: solo che in passato era più importante il sapere, la sua condivisione e le diverse prospettive. Oggi sembra prevalga il corporativismo, la chiusura, la difesa dei confini.
Io sono ottimista. Partecipo frequentemente a congressi e incontri dove brillano le idee e il sostegno reciproco grazie al contributo di tanti professionisti (psicologi, pedagoghi, filosofi, psichiatri, neurologi, ecc..).
Ben venga la dialettica se finalizzata all’arricchimento; se diventa un braccio di ferro finalizzato a decretare chi ha ragione o chi vince, beh, al counselor non interessa né la ragione né la vittoria.