Dopo aver “denunciato” il disastro politico nella gestione dei Leps, l’analisi sulla scarsa rappresentanza istituzionale del CNOP, a discapito della tutela della nostra professione, continua soffermandosi sul cosiddetto decreto Cutro e sulla cancellazione dell’assistenza psicologica a favore dei migranti.
La Legge 50/2023 (decreto Cutro) emanata a maggio dello scorso anno, recante “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”, incomincia ad avere i primi nefasti effetti nei servizi di accoglienza immigrati limitando l’accessibilità al Sistema di Accoglienza ed Integrazione (SAI) ed eliminando per la prima volta i servizi di assistenza psicologica dai Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS).
160mila persone sbarcate annualmente sulle coste del nostro paese senza alcuna assistenza di tipo psicologico!
In passato, l’espulsione non era permessa se la persona presentava “gravi condizioni psicofisiche o patologie particolarmente gravi”. Tuttavia, con la nuova legge, la valutazione complessiva dello stato di salute viene messa in secondo piano. Non viene più considerata esplicitamente l’interazione tra condizioni fisiche e psichiche, ma invece si adotta una definizione tecnica parziale della gravità della malattia, lasciando ampi spazi all’arbitrarietà.
Il ruolo dello psicologo all’interno di questo sistema di servizi è di cruciale importanza: la complessità della situazione dei migranti richiedenti asilo, spesso caratterizzata da esperienze emotive traumatiche o estremamente violente, ci impone la responsabilità della cura psicologica e della prevenzione del disagio. Questo è fondamentale per evitare eventuali conseguenze negative sulla comunità ospitante, come l’emergere di situazioni di emarginazione e comportamenti devianti.
Il primo Rapporto Mondiale sulla salute dei rifugiati e dei migranti, lanciato lo scorso luglio dall’OMS, sottolinea come “lo status migratorio può rappresentare esso stesso un determinante sanitario che (…) svolge un ruolo e rende particolarmente vulnerabili dal punto di vista sanitario”. Si stima che il 33% dei rifugiati presenta una diagnosi di depressione e di disturbo da stress post traumatico, mentre la presenza di disturbi di ansia è stata stimata essere del 15%.
L’eliminazione dei servizi di assistenza psicologica con la riformulazione dell’art. 10 elimina o quanto meno rende estremamente difficile nella sostanza la possibilità di individuazione e supporto delle vulnerabilità psicologiche.
È davvero difficile immaginare che la delega ai servizi territoriali di salute mentale possa assicurare una reale protezione dei migranti, considerando le gravi lacune già presenti nel sistema e l’entità del problema.
Da un lato, si tratta di un’ingiusta riduzione di servizi che dovrebbero essere garantiti dalle direttive UE al fine di tutelare i loro diritti fondamentali, inclusa la salute mentale.
Dall’altro lato, c’è una preoccupante correlazione tra la mancanza di tali servizi e l’identificazione delle persone vulnerabili, le uniche che dovrebbero beneficiare dell’accesso al Sistema di accoglienza e integrazione (SAI) in cui si può fare affidamento sull’assistenza materiale, legale, sanitaria e linguistica.
Posso accedere all’assistenza sanitaria (psicologica) se sono vulnerabile, ma nessuno mi può dire che lo sono: neanche fossimo sulle scale di un quadro di Escher!
In questi dieci mesi l’unica uscita del nostro ordine nazionale è una breve nota sul sito di inizio giugno 2022 nel quale il Presidente Lazzari ricordava al Ministro degli interni Piantedosi che per assistenza si intende non solo quella medica ma anche quella psicologica.
Poi il buio!
Nulla più è stato fatto per tutelare questo ampio settore in cui lavorano (lavoravano!) tantissimi colleghi. Nulla più è stato fatto per tutelare la salute psichica di queste persone. Nulla più è stato fatto per sottolineare quanto sia necessario un cambio di rotta politica e di pensiero, per evitare una ricaduta sul sistema sociale nazionale e locale.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) dimostra così una totale mancanza di rappresentatività politica e responsabilità nel proteggere i diritti fondamentali nel rispetto della Carta costituzionale.
Non solo ha fallito nel tentativo di sottolineare l’urgente bisogno di modificare tale politica, ma ha anche trascurato di agire con determinazione per tutelare il lavoro dei colleghi.
Oggi, mentre i CAS si svuotano di psicologi che perdono contratti di lavoro, opportunità e progettualità, il decreto Cutro continua la sua strada limitando sempre più l’individuazione e il riconoscimento delle vulnerabilità psicologiche…il tutto nel totale silenzio assenso di un CNOP più impegnato a fare post colorati e autocelebrativi.