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Dopo aver chiesto il suo permesso ed averla resa anonima abbiamo deciso di pubblicare la lettera di una collega che, come tanti di noi, fatica a trovare lavoro nonostante le numerose competenze professionalizzanti acquisite nel tempo. C. mi ha scritto nel tentativo di andare oltre la situazione difficile che sta/stiamo vivendo, nel tentativo di fare qualcosa, cercare una possibile soluzione: la collaborazione e la comunicazione tra colleghi.

E tu cosa ne pensi ? Ti ci ritrovi ?

 

Cara Dott.ssa Cristina,

più volte mi sono ritrovata a voler condividere con voi colleghi la mia situazione professionale, più volte ho aperto la posta elettronica e piu volte mi sono interrotta. Forse sarà stata la sensazione di fare un altro buco nell’acqua, o forse una mancata stima in quella professione per la quale abbiamo fatti molti sacrifici e nella quale abbiamo investito tutto il nostro impegno e dedicato tutta la nostra passione.

Mi presento. Sono C. , psicologa, ho 33 anni e da gennaio… sono costretta a lavorare in un negozio per mantenermi e, cosi, coltivare un progetto di vita personale, che da tempo aspetta che la mia situazione lavorativa, diciamo, si “stabilizzi”.

Laureata con lode mi sono buttata nel tirocinio professionalizzante con tutto l’entusiasmo del mondo, poi mi si presenta davanti una prospettiva di lavoro in uno studio associato. Ero inesperta e tanto volenterosa e accetto. Investo soldi, tutti quelli che avevo, ne rientrano molti di meno e il rapporto di colleganza finisce con un assistenza legale. Mi dico: Ok, ci può stare, si ricomincia. Mi sono data da fare, ho fatto concorsi, libera professione con la quale non coprivo le spese, collaborazioni con cooperative che mi pagavano 7,50 euro all’ora (le donne delle pulizie prendevano più di me) finché stanca della costante ed estenuante PRECARIETA’ ho accettato un altro tipo di lavoro, nel quale il mio titolo di studio non serve a nulla ma che mi permette di vivere e magari, anche sposarmi e comprare casa.

Sono sicura di raccogliere il pensiero di altre mie giovani colleghe, che spesso mi confidano questo disagio costante del non sapere cosa farne della tanto amata laurea in psicologia. Ed ecco che alcune fanno le impiegate ed altre le commesse, ma con il costante rammarico e la costante frustrazione di aver ricevuto un ingiustizia dalla vita. Il coraggio di scriverti è nato dall’assiduo impegno da parte dell’ordine e di colleghi in merito alle elezioni e alle candidature. Le più banali: Perché non muoversi cosi tanto anche per la tutela della nostra professione?

Tutelarci non significa abolire la figura del counselor, ma anche permetterci di lavorare. Perché richiedere sempre la specializzazione in psicoterapia? Come farla se non si lavora? Perché ad ogni concorso giravano nell’aria ancor prima i nomi dei vincitori?

Tante domande, molte domande..forse troppe domande che non hanno mai ricevuto risposta.

Questa lettera nasce da un bisogno di condivisione, non ti (mi permetto di darti del tu) si chiede di salvarci e di porre rimedio ad ogni problema. Il mio contatto nei tuoi confronti esula completamente dalle varie campagne elettorali alle quali ho assistito, e per le quali ho deciso volutamente di non andare a votare. Ti ho scritto dopo aver ricevuto la tua ultima mail, nella quale ho voluto percepire, tra le righe, la necessità di andare oltre al non raggiungimento del quorum, di fare qualcosa per noi psicologi. E, nel mio piccolo, credo di averlo fatto. Raccolgo quella fetta (grande) di giovani colleghi disoccupati , e vorrei davvero riaccendere una piccola speranza.

Mi fermo. Quanto ho scritto? Molto. E ne avrei ancora altrettanto.

Grazie della lettura

Buona Vita

C.