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Sto riflettendo da un pò di tempo sulla “Demografia” prossima ventura della professione di psicologo, e sugli scenari futuri di “sviluppo (in)sostenibile” in cui potremmo trovarci nell’arco di una decina d’anni.
Premetto che i dati numerici cui faccio riferimento sono orientativi, in quanto tratti da differenti fonti (siti ordinistici, discussioni in ML,
dati degli atenei, etc); e da cui ho derivato inferenze ed estrapolazioni “ad occhio” di cui mi assumo tutta la responsabilità (anzi, mi piacerebbe essere smentito!). Spero che comunque le stime siano “sufficientemente buone”.

Ad oggi abbiamo quasi 40.000 iscritti all’Albo (più almeno 20 triennalisti :-D), ed altrettanti studenti di psicologia in formazione, equivalenti a un paio di corpi d’armata di psicologi. Nel 2015, calcolando il pensionamento progressivo di chi ha iniziato la professione negli anni ’70, ma aggiungendo i nuovi studenti che entreranno nel contesto formativo psi- nei prossimi 3 o 4 anni, avremo circa 70-80.000 psicologi operanti sul territorio; una cifra pari al quadruplo di quella che c’era solo a metà degli anni ’90.Questi 75.000 psicologi dovranno lavorare, in un modo o nell’altro.

Il problema è dove. E non è solo un problema di “inventarsi nuove
nicchie”, o “proporre servizi innovativi”. E’ un problema di “macroeconomia”: esiste veramente una base di mercato (“domanda”) che possa soddisfare “un’offerta” che si è letteralmente, confusivamente, quadruplicata in pochi anni ? Non parlo dei circa 50.000 psicologi che nel 2015 avranno un’anzianità professionale di circa 10 anni, e che quindi avranno probabilmente una situazione stabilizzata (anche se alla meno
peggio), ma di quelli in quegli anni saranno troppo giovani o arriveranno sul mercato solo a quel punto (probabilmente anche in presenza di un trend di ulteriore, leggera, crescita degli accessi alla formazione universitaria psicologica).
Cosa mangeranno 30.000 giovani psicologi ultraqualificati (molti saranno muniti di specializzazione, master, etc., anche per motivi di necessità di rinviare il più possibile l’ingresso su un mercato del lavoro eccezionalmente saturo) ?

Alcune variabili e scenari possibili:

1) Il parziale ricambio generazionale nei Servizi Pubblici, ormai ad assunzioni praticamente bloccate, non inizierà prima di una decina d’anni circa. A quel punto, qualche centinaio di posti all’anno si libererà (forse una proiezione di 3-4.000 posti tra il 2015 ed il 2025).

2) Il settore psicoterapeutico privato è già “saturo”, almeno nelle
principali aree urbane del centro-nord; gli attuali specializzandi hanno forse la speranza di andare a riempire i dei “buchi” in alcune aree del Sud ed in città secondarie, o di scavarsi “nicchie operative” in aree già presidiate da molti colleghi. Alcune regioni presentano invece già ora una densità di psicologi drammaticamente alta, che andrà ulteriormente peggiorando nei prossimi anni (Veneto, Lombardia, Lazio, in parte Piemonte, Toscana e Emilia; bisognerebbe calcolare il rateo psicologi/popolazione su base regionale).

3) 200 Scuole private formano (o cercano di formare) alcune migliaia di psicoterapeuti all’anno. Ovviamente bisogna vedere se la domanda territoriale di psicoterapeuti (o la richiesta di titoli di
specializzazione a fini concorsuali) sarà nel 2015 ancora così sostenuta da giustificare tutte le 200 scuole e le molte centinaia di
psicologi-didatti che vi lavorano (certo, non come unica fonte di reddito; ma comunque importante). Anche se avessimo solo 2000 nuovi psicoterapeuti all’anno, tra i 75.000 psicologi del 2015 ci saranno allora circa 35.000 psicoterapeuti, il doppio di adesso (20.000 formati tra adesso ed il 2015, più circa 10.000 non ancora pensionati degli attuali 15.000).

4) La psicologia del lavoro e delle organizzazioni (formazione, selezione, etc.) inizia a dare segni di stanca; non è più il settore che garantisce le migliore prospettive d’impiego. Una quantità spropositata di giovani psicologi si trova intruppata nel sistema degli stages come “selezionatori” presso le società interinali, da cui viene simpaticamente “espulsa” dopo un annetto in media. Il mercato si sta drogando anche in questo settore. La Formazione va ancora abbastanza bene, ma la saturazione è dietro l’angolo.
Siamo sicuri che in Italia ci sia mercato per un paio di decine di migliaia di persone che offrono gli stessi corsi di autostima, comunicazione (“messaggio, emittente, ricevente; siate assertivi”) e time-management da Aosta ad Agrigento ? Ovviamente semplifico, ne sono consapevole, ma scorrere le tipologie di corsi offerti dalle varie società di formazione presenta elementi di ripetitività impressionanti (perchè il mercato richiede questo, o perchè è l’unica cosa che sappiamo offrire e facciamo credere al mercato che è questo che gli serve ?).

5) Di psicologi scolastici nessuna traccia… Ed anche se arriviamo alla Legge, ci trasformiamo tutti di colpo in psicologi scolastici ?

6) Nuove professionalità: realisticamente, attività come la progettazione di interfacce Web, psicologia militare, psicologia viaria, psicologia della tutorship online e neoprofessionalità similari potranno assorbire stabilmente, nel loro complesso, più di 2-3000 psicologi nel corso dei prossimi anni (stima generosa) ? Nulla in contrario, anzi, ricavo soldi da una di queste cose… ma mi sto chiedendo quale sia la solidità strutturale a lungo termine, e su grandi numeri, di queste nicchie di mercato. In fondo anche dall’E-Commerce su Internet pochi anni fa tutti si aspettavano centinaia di migliaia di posti di lavoro, e si è finiti con la “bolla del Nasdaq”.

7) Si aprono in continuazione scuole di Counselling Filosofico/Reflectors/LifeCoach/EtcEtc. che “mangeranno” parte del mercato della consulenza e “psicologia clinica di base”, attraverso una politica di penetrazione commerciale volutamente aggressiva, e minori pastoie burocratiche.

8) Domanda: tra i terapeuti, quanti ricavano almeno il 30% delle loro entrate da altri “psicoterapeuti in formazione” impegnati nei loro percorsi personali o training formativi ? Il mercato di settore non sta diventando troppo avvitato su sè stesso ? Quando non si genera domanda dall’esterno, e la si sostiene artificiosamente con un travaso economico interno alla categoria (ormai strutturale), si arriva troppo vicini al paradosso storico dei tulipani olandesi… sostenibile per un pò, ma appena aumenta il numero di psi che per vivere devono avere altri psi che gli passano soldi… lo so, anche questa è una vexata quaestio, ma unita alle altre mi preoccupa ancora di più.
Il dubbio quindi è:

il CNOP, o qualche Ordine Regionale previdente, ha pensato che è
improrogabile basare le scelte strutturali di politica professionale nel medio-lungo termine su una analisi accurata ed approfondita del mercato del lavoro degli psicologi nei prossimi venti o trent’anni ? Analisi di “demografia” ed “economia politica” professionale da affidare magari adesperti di economia del lavoro, per comprendere quali saranno gli assetti demografici ed economici strutturali del nostro futuro prossimo venturo?
Un’indagine seria e necessaria per capire come progettare uno “sviluppo sostenibile” senza affidarsi solo ad intuizioni personali o stime a breve termine….
Il Club di Roma produsse stime troppo pessimistiche, ma lo studio sui “Limiti dello Sviluppo” che aveva commissionato obbligò tutti a prestare attenzione al tema della Sostenibilità delle scelte effettuate, in una prospettiva di medio-lungo termine.

A volte, pensando alle migliaia di studenti iscritti all’Università, alle
centinaia di ventenni che mi chiedono speranzosi, mese dopo mese, anno dopo anno, “E cosa potrò fare con la laurea triennale ? E se faccio il +2, le mie opportunità professionali aumentano di molto, vero ?”, mi sento preso dallo sconforto, e mi immagino sempre la corsa dei lemming più giovani verso il mare…

Articolo tratto dal forum di discussione di Obiettivo Psicologia