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Assisto all’intervista di Fulvio Giardina, Presidente del CNOP, sulle magnifiche sorti e progressive degli Psicologi. Afferma che in Italia ci sarebbero 5000 psicologi dipendenti del Sistema Sanitario Nazionale e 15.000 psicologi convenzionati.

15.000 psicologi convenzionati è un numero di fantasia. Gli psicologi convenzionati sono circa 1100. Posso affermarlo con certezza perché sono tutti iscritti ENPAP in una loro speciale gestione, per cui li possiamo contare uno a uno.

Devo ricorrere ad altre fonti per capire cosa potesse intendere. Dopo qualche confronto con colleghi attivi nel SSN, posso tradurre il presidenziale ‘psicologi convenzionati’: forse parla di una vasta galassia di contratti, collaborazioni, borse di studio e chissà che altro per arrivare a qualche migliaio di colleghi che gravitano attorno alla sanità pubblica.

Parto da queste prime “incertezze” numeriche per prendere atto che la presenza degli psicologi nella sanità pubblica è un cantiere aperto. Da decenni.

Rispetto a cui assistiamo alle ricette più strambe. Tipo lo Psicologo di Base. Ne parlavamo cinque anni fa come di una chimera (QUESTO ARTICOLO DEL 2013). Resto francamente stupefatto che ancora ne parli come di un’opportunità. Che molti colleghi pensino che un giorno esisterà davvero.

Credo si debba restare con i piedi per terra. La sanità pubblica è un contesto sufficientemente ampio, strutturato e complesso da non richiedere la creazione di altre fantasiose figure che albergano soltanto nella fantasia degli psicologi.

Come ben scrive Giuseppe Fucilli in QUESTO ARTICOLO che parte dalla sua esperienza di 25 anni con psicologo nell’ASL di Bari, sarebbe già sufficiente rispondere ai bisogni esistenti.

Salute mentale (comprendendovi anche lo strano e separato destino delle tossicodipendenze), la psicologia ospedaliera (dalle cure palliative alle patologie croniche), fino alla disabilità (che beneficerebbe di un percorso di continuità dall’infanzia all’età adulta) e a tutta l’area dell’età evolutiva e della famiglia. Tutti settori che scontano una cronica carenza di risorse, non solo di psicologi.

C’è molto da fare senza doversi inventare nulla, in sanità. Basterebbe rispondere con appropriatezza di mezzi, risorse e tipologie di intervento ai bisogni che già esistono.

Ma si combatte in un mondo di ristrettezze, prima di tutto economiche, che mettono seriamente in dubbio l’universalità della sanità a cui siamo abituati. E che forse diamo troppo per scontata, quando anche come categoria quando interpretiamo la sanità pubblica come una soluzione per noi e non per i cittadini.

E si combatte la drammatica difficoltà della professione di psicologo nel pubblico. A parte i 5000 dipendenti e i 1100 convenzionati, esiste una galassia inqualificabile di psicologi con i contratti più vari: dalle collaborazioni libero professionali alle collaborazioni, dai contratti tramite cooperativa alle borse di studio. La LETTERA DI UNA PSICOLOGA IN AUTO-ROTTAMAZIONE DALL’AUSL ci racconta la terribile realtà del precariato psicologico.

Per non parlare del problema delle graduatorie dei concorsi, utilizzate nei modi più bizantini e variegati nelle diverse Aziende Sanitarie, con il risultato di mantenere nel limbo per anni psicologi valutati idonei nei Concorsi Pubblici. Che non hanno praticamente alcuna tutela e che subiscono l’intrecciarsi di norme regionali e nazionali, sentenze e pronunce.

Le borse di studio sono l’estrema frontiera delle distorsioni in sanità: psicologi (e altri professionisti) che svolgono attività professionale – quindi non di ricerca o studio – attraverso borse di studio. Con enormi problemi aperti sul piano assicurativo, di responsabilità professionale e previdenziale.

No, non servono psicologi di base e altre mitologiche invenzioni. Ci basta quello che c’è, e che sarebbe da aggiustare attraverso un’azione di categoria unitaria, chiara e concorde almeno su alcune grandi direttrici.