Roma. Psicologi ASL in carcere. E l’Ordine degli Psicologi?
fonte: http://nicolapiccinini.it/roma-psicologi-asl-carcere-rebibbia/2010/09/
Di fronte al crescente numero di suicidi in carcere e, più in generale, alla realtà grave della salute psichica nel sistema penitenziario, è utile dar conto di taluni effetti aberranti del DPCM del 1° Aprile 2008, che ha statuito in via definitiva il passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Regionale, decreto approvato tuttavia con l’obiettivo di assicurare condizioni di salute più attendibili e democratiche alla popolazione detenuta.
In concreto, tale passaggio comprendeva un quantum determinato di risorse economiche; i beni e gli strumenti sanitari; il personale di ruolo medico, psicologico, infermieristico. Erano regolate altresì dallo stesso DPCM le modalità del transito dei dipendenti nelle nuove amministrazioni, disponendo tra l’altro che quelle unità fino allora occupate non negli istituti penitenziari, bensì in uffici centrali o periferici del Ministero della Giustizia, avessero diritto a esercitare una opzione relativamente alla ASL di destinazione, in un elenco di ASL, collegate per territorio ai vari istituti, sia per adulti che per minori.
La situazione del Lazio era rappresentata, fra l’altro, da n. 2 Psicologi di Ruolo presenti per tutti gli istituti di Rebibbia (circa 3000 detenuti), che appunto non hanno avuto diritto a optare per altre ASL ma sono stati obbligati a confluire nella ASL Rm B, anche quando, dopo circa 20 anni (!) di servizio con detenuti adulti, avessero preferito – comprensibilmente, per il loro proprio benessere psico-fisico e per l’efficacia, quindi, delle loro prestazioni – affrontare un’esperienza professionale diversa, magari con utenti del Minorile, magari in altre strutture del territorio.
Da un’altra parte, quella possibilità concessa ad altri di optare per la ASL preferita, ha determinato che ben 24 Psicologi confluissero nella ASL Rm D, che comprende nel proprio territorio un Centro di Accoglienza per Minori, nel quale il numero degli ospiti, in genere zingarelli arrestati per furto, è di gran lunga inferiore a quello degli Psicologi. Ogni commento su questa scandalosa situazione sarebbe insufficiente ad esprimere lo sdegno degli onesti.
Il problema dei suicidi e della salute mentale in carcere non deriva solo dal sovraffollamento (l’ultimo suicida a Rebibbia era alloggiato in cella singola), ma soprattutto dall’utilizzo intelligente, produttivo e professionale delle risorse. Quando la risorsa è data dagli psicologi le condizioni del loro operare, compreso il ricambio periodico del settore e dell’ambiente professionale, rivestono un’importanza decisiva per il raggiungimento degli obiettivi.
Va inoltre sottolineato come urga una Unità Operativa in carcere che abbia specializzazione eminentemente psicologica e psicoterapeutica, e sia guidata da psicologi-psicoterapeuti, non già perché carcere vuol dire luogo di cura psichica, ma in quanto le condizioni di vita devianti e quelle imposte dall’istituzione totale determinano tuttora gravi malesseri, e la capacità non solo di svolgere gli specifici interventi di cura, ma anche quella di individuare le fonti complesse e istituzionali di tali malesseri e di operare per il loro progressivo superamento, non possono che essere in primis di competenza psicologica. Le Unità operative create negli Istituti penitenziari di Rebibbia hanno direzioni e statuti meramente medici, ma la cultura medica perlomeno ignora le cognizioni e le operatività teorico-professionali proprie della materia psicologica. Basti pensare al caso famoso di Stefano Cucchi, per sostenere il quale nei giorni di degenza in cui egli rifiutava il cibo i medici non hanno pensato di ricorrere a uno psicologo del carcere di Rebibbia, nonostante già in precedenza per casi analoghi si fosse adottata questa opportunità. Non si può escludere che questa soluzione avrebbe avuto un effetto benefico e determinato un altro sviluppo della storia.
Ma se i tempi di tali riorganizzazioni possono presumersi non brevi, la decenza vorrebbe che a quelle storture derivanti dal DPCM del 2008, già descritte, si ponesse mano subito da parte del Commissario Regionale alla Salute, Renata Polverini, per correggerle radicalmente, su criteri di efficienza e non di assistenzialismo: la facoltà di avanzare un’opzione di scelta non deve comportare garanzia di esaudimento della stessa – se esiste almeno un prioritario interesse pubblico.
Di fronte a tali problematiche importanti – parliamo dell’assistenza psicologica a 6000 cittadini del Lazio, tra coloro per di più maggiormente svantaggiati – l’Ordine degli Psicologi del Lazio non ritiene di esprimere alcuna voce, che sia di dissenso rispetto alla residualità con cui sono trattati gli psicologi delle Asl in carcere e nella Sanità laziale nel complesso, e che sia di proponibilità verso un agire guidato da criteri di elevata professionalità, con tutto ciò che questo comporta, e su cui ci si potrà soffermare una prossima volta. (Non mi riferisco qui agli psicologi in convenzione con il Ministero di Giustizia, che si occupano del trattamento rieducativo, e non sono transitati nelle Asl : per costoro l’OPL ha svolto una battaglia di conservazione pressoché rituale e comunque assistenzialistica, da cui non è venuto nulla, tanto meno sul piano del progresso della qualità professionale ).
Dr. Daniele Rondanini
Dirigente Psicologo ASL Rm B – Rebibbia Nuovo Complesso