La “normazione” dell’abuso professionale
Visione del problema, empatia, situazioni problematiche, consapevolezza, accettazione, strategie, metodo interattivo, dialogo, cambiamenti, scelte, obiettivi, sviluppo, individuo, coppia, famiglia, organizzazione.
Ma veramente c’è qualcuno che si occupa di queste cose e non è lo psicologo?
L’ultimo incomprensibile attacco alla professione di Psicologo sta avvenendo per mezzo dell’UNI (l’Ente Italiano per la Normazione) che si è messo in testa di scrivere una Norma Tecnica che definisca la professione di Counselor! (Link).
Dal 12 al 25 ottobre l’UNI ha lanciato l’Inchiesta Pubblica Preliminare, una fase in cui a tutti è possibile esprimere opinione contraria per bloccare questo infelice proposito. (Link)
L’intera comunità professionale degli psicologi è contraria a questa iniziativa ben sapendo che il counseling è un’attività professionale propria e riservata dello Psicologo e conseguentemente non può esistere una professione autonoma di “counselor”, soprattutto nell’accezione che si sta avanzando in sede UNI, in quanto implicante attività riservate alla professione di Psicologo e protette dall’art.348 del codice penale sull’esercizio abusivo della professione. (Il comunicato dell’Ordine Psicologi Lazio – Il comunicato dell’ENPAP)
E allora, perché l’UNI insiste?
È interessante capire come si sia arrivati a questo punto.
UN BREVE RIASSUNTO. Come rappresentanti della Commissione Tutela dell’Ordine degli Psicologi del Lazio abbiamo avuto l’infelice esperienza di partecipare ad alcune riunioni preliminari a questa fase organizzate dall’UNI. Ci è stato richiesto di valutare un documento pre-normativo che voleva definire la presunta professione di “counselor” (in fondo all’articolo vi riportiamo molte delle definizioni proposte). Erano presenti al tavolo molti soggetti che hanno un interesse specifico sul tema: il CNOP, diversi Ordini regionali, compreso il Lazio, e tutte le principali associazioni di counselor, ovviamente promotrici dell’iniziativa.
L’UNI per mandato dovrebbe essere equidistante ma visto quanto deciso sembrerebbe che la posizione istituzionale di Enti pubblici come gli Ordini professionali, lì presenti in veste di autorità competenti in materia, sia considerata di serie B.
COSA ABBIAMO RIBADITO NEL MERITO? Le semplici verità scientifiche e giuridiche di cui sopra:
- In Italia, il counseling è una delle attività proprie dello Psicologo, in quanto tale tipica e riservata. Innumerevoli documenti, atti ufficiali prodotti dal CNOP (ad es., il documento “Atti Tipici dello Psicologo” che specificano e ricomprendono le attività di counseling), hanno ribadito in modo chiaro e categorico che il counseling è una attività tipica e riservata dello Psicologo.
Di conseguenza, non può esistere una professione autonoma di counselor, e qualsiasi attività professionale di counseling può essere svolta unicamente dal professionista psicologo regolarmente abilitato. - In aggiunta, abbiamo ricordato che in tutto il mondo, sia sul piano scientifico che giuridico, il counseling è internazionalmente riconosciuto come attività di consulenza psicologica e/o psicoterapeutica. Invitiamo a scaricare sul tema il recente documento prodotto proprio dall’ordine del Lazio. (Link)
Per giunta, queste posizioni sono state nella sostanza sostenute da tutti i rappresentanti istituzionali degli Psicologi, da alcuni con toni blandi e soporiferi, da noi in modo energico ma, nella sostanza, unanime.
Se da una parte questa è stata la posizione delle autorità competenti in materia, il tavolo gestito da UNI ha una composizione variegata. Chi lo presiede ad esempio, è un diplomato ISEF con una formazione professionale nel campo delle scienze motorie e della defektologia e si dichiara, coerentemente con la sua formazione, non competente nelle materie oggetto di normazione.
Sin qui, nulla di male, al presidente di un tavolo di questo tipo si richiederebbe d’avere un ruolo di mediatore senza necessariamente essere un esperto nella materia che si tratta. Se non fosse che costui si è preso la responsabilità di entrare nel merito e guidare così il processo di normazione verso il suo avanzamento alla fase successiva.
I FATTI. Nell’ultima riunione a cui abbiamo partecipato, l’Ordine Psicologi del Lazio ha redatto un documento che criticava punto a punto le varie definizioni proposte nella scheda pre-normativa, facendo notare come quasi tutte le descrizioni che venivano proposte per la fantomatica professione di counselor non fossero altro che perifrasi e circonlocuzioni delle attività di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico, ovvero dell’art. 1 della legge 56/89 istitutiva della nostra professione.
Per fare alcuni esempi concreti, laddove la scheda pre-normativa recitava che
“il counselor accompagna il cliente (individui, coppie, famiglie, gruppi e organizzazioni) in momenti che comportano cambiamenti e scelte, verso obiettivi definiti, socializzabili e successivamente verificabili, affrontando i fatti problematici che il cliente intende risolvere”
si faceva notare che questa definizione è a tutti gli effetti una parafrasi definitoria dell’attività di sostegno psicologico, di abilitazione/riabilitazione e potenzialmente psicoterapeutiche, tutte attività riservata per legge alla professione di psicologo e/o allo specialista in psicoterapia, e che non si capisce a quali fatti problematici ci si possa riferire se non a dinamiche psicologiche e relazionali, a fasi di cambiamento del ciclo di vita, situazioni di disagio emotivo, affettivo, interattivo–relazionale, anche lievi, in quanto tali di pertinenza della professione di psicologo.
E ancora, laddove si affermava che
“il counselor basa il suo operato sul presupposto che il cliente è il maggior esperto di sé e del proprio problema e che, pertanto, è il detentore delle risorse per risolverlo […] utilizzando principalmente gli strumenti dell’ascolto attivo e dell’empatia, nel presupposto di un’accettazione incondizionata del cliente e attraverso l’autenticità e la trasparenza del professionista”
si faceva pacificamente notare che quella era una descrizione a tutti gli effetti di principi d’intervento riconducibili a specifici approcci psicologici e/o psicoterapeutici, e che avrebbero assunto toni grotteschi le affermazioni di chi cercava di sostenere che teorie, modelli o tecniche derivate dal lavoro psicologico di noti psicologi e psicoterapeuti quali Abraham Maslow, Carl Rogers, Fritz Perls o Rollo May, non sarebbero di natura psicologica.
E via dicendo: da una parte si sosteneva che il “counselor” collabora con il cliente per
“la determinazione di strategie finalizzate ad affrontare tali situazioni [problematiche], favorendo così anche lo sviluppo della sua consapevolezza” (sic!)
dall’altra si diceva che
“Opera individuando col cliente percorsi che implicano un’evoluzione nella visione del problema e che si traducono in un sistema di azioni condivise”
in un’altra parte ancora si sosteneva che “Operativamente adotta un metodo interattivo-dialogico” e che
“Per tutta la durata dell’intervento propone e sostiene un rapporto paritetico con lui, utilizzando un linguaggio comune e comprensibile al cliente, promuovendo un positivo clima affettivo di collaborazione”
Insomma, un profluvio di asserzioni circonlocutorie e POTENZIALMENTE INGANNEVOLI, che cercavano di mascherare concetti, prassi, teorie e applicazioni che il consenso scientifico internazionale di merito considera ovviamente costrutti di natura psicologica, propri della pratica psicologica e/o psicoterapeutica.
Visione del problema, empatia, situazioni problematiche, consapevolezza, accettazione, strategie, metodo interattivo, dialogo, cambiamenti, scelte, obiettivi, sviluppo, individuo, coppia, famiglia, organizzazione…. Ma veramente c’è qualcuno che si occupa di queste cose e non è lo psicologo?
Chiunque sostenga che tutto ciò non appartiene al mondo della professione psicologica fa affermazioni oggettivamente prive di alcun fondamento scientifico, giuridico, storico-culturale e tecnico-professionale.
GLI ESPERTI IN MATERIA DELL’UNI. In quell’ultima riunione, il presidente del tavolo, dopo aver esordito dichiarandosi nuovamente non competente in materia, affermava di essersi avvalso di suoi “esperti in materia”, con l’aiuto dei quali egli avrebbe predisposto un documento di risposta ai commenti e alle osservazioni dell’Ordine degli Psicologi del Lazio.
A nostra esplicita domanda sul chi fossero e di fornirci le fonti, i nomi e le credenziali scientifiche e/o istituzionali di tali “presunti” esperti, il presidente si rifiutava categoricamente di rispondere.
Abbiamo così assistito a una situazione surreale in cui il presidente del tavolo procedeva a una votazione a maggioranza sui singoli punti dei nostri rilievi, e lasciamo immaginare com’è finita visto che i rapporti numerici presenti al tavolo tra istituzioni degli Psicologi e associazioni private di counselor erano di 1 a 5.
Con queste premesse, appaiono quantomeno inopportune e di parte le sue dichiarazioni pubbliche riguardo alla professione di Psicologo.
In un’intervista a Quotidiano Sanità del 29-06-2018 egli dichiara:
“Il counselor non è una professione sanitaria – dichiara a Quotidiano Sanità il Presidente della Commissione Uni dedicata alle “Attività professionali non regolamentate” -, ma è una professione che riguarda la salute delle persone. La salute è un concetto molto vasto: anche l’avvocato secondo me è un operatore della salute, perché per assurdo se non riesce a far assolvere il suo assistito, questo sta molto male. Salute non può essere solo patologia, è un insieme di benessere. Salute è benessere economico, è benessere sociale, è benessere psichico. Questa è la salute nella sua vera accezione che dà l’Oms, quindi il counselor è un operatore della salute […] il problema degli psicologi è che loro sono in tanti, e hanno problemi di occupazione. Quello che stanno facendo gli psicologi, e in particolare Altrapsicologia, è una battaglia di retroguardia, antistorica e anacronistica. “
Semmai, aggiungiamo noi, è vero l’esatto contrario: l’eventuale normazione di una fantomatica professione di counselor è in contrasto don il Diritto alla Salute, tutelato dalla nostra Costituzione, a garanzia del quale lo Stato ha dedicato un apposito percorso formativo universitario in Psicologia della durata di 5 anni, un tirocinio pratico di un anno, un esame di Stato, e un Ordine professionale, Ente Pubblico lo ricordiamo, che controlla l’operato dei propri professionisti. A garanzia della salute dei cittadini, non di organizzazioni private!
Ora, omettendo le coloriture relazionali che hanno caratterizzato il modo in cui siamo stati trattati, guastafeste a un party che avrebbe preferito essere privato, ci domandiamo: è ammissibile procedere in modo così palesemente contrario ai più basilari presupposti di democrazia, trasparenza, correttezza, aperta discussione nel merito, rispetto della Salute pubblica che ci si attende da un tavolo normativo?
È possibile continuare a tirare in ballo la legge 4-2013 per sostenere presunti riconoscimenti del counselor quando la stessa legge recita:
“Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art.2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e relative attività tipiche o riservate per legge e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative” (art.1, comma 2 della legge 14-1-2013)?
Per il rispetto che abbiamo per l’Ente Italiano di Normazione, ci aspettiamo che recuperi presto a questo scivolone.
L’eventuale normazione di una figura di counselor andrebbe in aperto e insanabile contrasto con l’esistenza della professione di Psicologo, sarebbe la “normazione” dell’abuso professionale della professione di Psicologo.
Per tutte queste ragioni invitiamo tutti, colleghi e cittadini, a dire NO a questa proposta di normazione.
Per tale ragione ti invitiamo a VOTARE NO, in 3 semplici passaggi:
Clicca su questo link https://goo.gl/XE6MDU
1) Seleziona NO nel menu “Ritieni che il progetto rispecchi i bisogni del mercato di riferimento?”
2) Inserisci le tue motivazioni nel box.
3) Completa la scheda anagrafica e clicca su Invio.
Contribuisci anche tu a proteggere la salute dei cittadini e a contrastare l’abusivismo professionale.