Psicologi e Counselor: le ambigue posizioni dell’Ordine Veneto

Parafrasando Gino Paoli: e siamo ancora qui, qui a parlare di counselor.

Ancora?

Eh, sì, già. La cosa continua a riproporsi come la peperonata di zia Pinuccia con l’unica differenza che almeno la peperonata di zia Pinuccia è buona, l’argomento counselor, invece, è solo indigesto.
Ma, attenzione, questo articolo non vuole essere una crociata anti-counselor, piuttosto è una notevole tirata di giacchetta agli Ordini, in particolare a quello Veneto, che sui social, anche di recente, gioiscono per le varie sentenze a favore degli psicologi.

OPV ha, giustamente, segnalato attività illecite di counselor non psicologi, ma continua a non fare né a dire nulla nei confronti dei colleghi e delle colleghe che, in barba all’articolo 21 del codice deontologico e alle varie sentenze in merito, continuano a sfornare counselor non psicologi nelle loro scuole.

Perché parliamo di counselor oggi. Perché continuano i post su Facebook in cui OPV pubblicamente esulta per le vittorie a favore della professione di psicologo, gioisce quando i counselor non psicologi non ricevono incarichi sulla base dell’abusivismo (e fin qui tutto giusto), ma non fa nulla per evitare che il problema nasca. Le scuole che formano counselor non psicologi in cui lavorano (e guadagnano) psicologi e psicologhe continuano tranquillamente la loro attività: su di loro nessun post, nessuna dichiarazione ufficiale, nessun provvedimento.

Cosa dicono le sentenze. La posizione di AltraPsicologia sul tema è già stata esplicitata più volte, non ultima qui.

La sentenza 16562/16 della Corte Suprema e la 13020/2015 del TAR del Lazio non lasciano scampo ad equivoci: il counseling è un’attività tipica della professione di psicologo, tutti gli altri commettono abuso di professione. Gli articoli citati sviscerano davvero bene la questione e, se non lo avete ancora fatto, vi consiglio di leggerli, ma se non avete tempo in questo istante la questione si può riassumere citando direttamente la sentenza della Corte Suprema:

non deve per forza essere presente un disturbo psicologico franco ma è sufficiente che il cliente richieda di intervenire sulle conseguenze emotive dovute a qualche elemento esterno/oggettivo.

E ancora:

Interventi basati su sedute fondate sul dialogo nei quali si guida la persona indicando rimedi per prevenire o guarire il disagio come sopra descritto sono sovrapponibile agli interventi dello psicologo.

Possibile che OPV non abbia niente da dire in merito?

Perché, davvero, il problema qui non sono i counselor non psicologi in sé. Perché in fondo sono persone che pagano dei docenti, convinti di conseguire un titolo e di poter esercitare una professione, come più volte viene ribadito loro dalle scuole stesse. In fondo, quando ad un CNP (usiamo l’acronimo di Counselor Non Psicologi per velocità) si dice che è abuso di professione, di solito la risposta è “ma i miei docenti erano psicologi!”. Già, infatti.

Se non l’avete già letta, vi consiglio di leggere questa intervista di un paio di anni fa di Carlo Balestriere ad una counselor .

La posizione di OPV. E veniamo all’Ordine degli Psicologi del Veneto. Giustamente lo scorso aprile sulla pagina Facebook ufficiale di OPV ci si rallegrava per un successo ottenuto dal consiglio stesso nella lotta contro l’abusivismo della professione: un counselor non psicologo in servizio presso uno sportello di ascolto del Comune di Cordignano ha visto revocare il suo incarico proprio in forza alle sentenze sopra citate

Ed ecco qui un altro articolo sulla stessa tematica di maggio 2016

 

nel novembre 2015 sempre sulla pagina Facebook ufficiale di OPV veniva postata proprio la famosa sentenza del TAR del Lazio


E fin qui tutto bene. Anzi direi benissimo! Vengono diffuse notizie corrette rispetto alle sentenze, il consiglio porta avanti attività di informazione del pubblico contro l’abusivismo e interviene al bisogno. Però (perché c’è un però) nulla accade nei confronti delle scuole di psicoterapia che formano anche counselor non psicologi.

I conti che non tornano. Ma allora, se le sentenze ci sono, l’art. 21 del codice deontologico anche, le prese di posizione pubbliche di OPV contro l’abusivismo pure, perché nulla viene fatto nei confronti di chi continua ad intascare i soldi di queste persone sapendo benissimo che, una volta “diplomati”, commetteranno abuso di professione?

Al momento su questa particolare istanza non sembrano esserci risposte chiare e concrete da parte di OPV (e meno che meno del CNOP), ma noi continuiamo ad attendere fiduciosi (?) che, speriamo prima che poi, finisca questa commedia grottesca.

E tu, sì tu, che stai frequentando una scuola di psicoterapia privata o magari stai pensando di iscriverti, hai controllato se i tuoi docenti che ti insegnano (ti hanno insegnato) la professione, l’etica e la deontologia, si girano poi dall’altra parte per formare i CNP?




Unioni Civili a Rovigo: AP Veneto c’è

Questa storia comincia in una calda domenica di luglio, il 10 per essere precisi. Quando apro Facebook e mi trovo davanti la seguente dichiarazione da parte del sindaco della mia città, Rovigo:

«La Famiglia può essere solo una: l’unione tra un Uomo ed una Donna. E se un bel giorno si presentassero in tre? E se qualcuno viene qua con un cavallo e vuole sposare quello? Mai e poi mai, con la fascia da Sindaco, celebrerò un matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Ci sono problemi più importanti da affrontare. Conseguentemente, per quanto mi riguarda, esistono solo Mamma e Papà. Genitore 1 e genitore 2 non è roba che mi riguarda»
(link all’articolo del Gazzettino)

Ve lo ricordate? La polemica è (per fortuna) finita perfino su Vanity Fair, con la meravigliosa retorica del sindaco, “leggermente” omofoba e discriminante, che faceva un simpatico parallelo tra unioni civili e bestialità uomo-cavallo (good times!) 

Dopo aver provato (insieme ad altri collegh* appin*) a dialogare (senza risultati) sulla pagina Facebook del sindaco (che nel frattempo è stata chiusa), in un nanosecondo si è attivata AP Veneto e grazie al gruppo di lavoro sulle tematiche LGBTIAQ abbiamo cominciato a pensare a cosa potevamo fare per dare un po’ di informazioni corrette sull’argomento e sostenere i cittadini di Rovigo che desideravano contrarre una unione civile. Per chi non conoscesse l’acronimo LGBTIAQ, sta per: Lesbica, Gay, Bisessuale, Transgender, Intersex, Asessuale, Queer.

Nicoletta Pisanò ha coordinato il gruppo e in seguito moderato l’incontro, mentre Elena Toffolo ha dato fondo ai suoi contatti. Si sono così uniti alla corazzata AP Veneto Nicola Pizzamiglio, Presidente di Politropia ArciGay Rovigo che ci ha messo a disposizione l’associazione e le sue risorse,  AnnaMaria Barbierato, Consigliera di Parità della Provincia di Rovigo (le consigliere di parità sono figure presenti in ogni provincia italiana, il cui compito è prevenire discriminazioni lavorative di genere e, nel caso avvengano, assistere le persone discriminate al tavolo delle trattative con il datore di lavoro) e Stefania Guglielmi, avvocata esperta in diritto di famiglia.

A seguito della dichiarazione del Sindaco, la situazione a Rovigo è rimasta tesa anche nelle settimane precedenti alla prima unione civile della città, celebrata lo scorso 17 settembre, non senza polemiche e schermaglie sui social e sui giornali tra il sindaco e la coppia.

Così, lo scorso 1 ottobre si è tenuto presso il Centro Servizi per il Volontariato Rovigo l’incontro aperto alla cittadinanza intitolato “Unioni Civili: aspetti psicologici sociali e legali”, organizzato da Altra Psicologia Veneto e Politropia ArciGay Rovigo.

All’incontro a sala piena hanno relazionato i/le succitati/e membri dell’equipaggio, ed era presente in platea anche Raffaela Salmaso, Presidente della Commissione Pari Opportunità della Provincia di Rovigo.

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Di cosa abbiamo parlato?

Il pomeriggio è stato denso di contenuti. In riferimento al comportamento del sindaco, abbiamo sottolineato la dannosità delle sue esternazioni omofobe, prive qualsiasi fondamento scientifico e sensibilità umana, da parte di rappresentanti delle istituzioni, sia per la popolazione adulta, ma soprattutto per i ragazzi e le ragazze adolescenti.

Le unioni civili sono ora una possibilità per le coppie formate da persone dello stesso sesso. Una possibilità che è anche e soprattutto un atto pubblico, in cui due persone dichiarano davanti a parenti, amici, datori e colleghi di lavoro e istituzioni il loro impegno reciproco di vita.

Di sicuro non cambia l’amore che lega due persone prima e dopo la firma dei documenti. E’ indiscutibile, però, che cambia il loro ruolo all’interno della comunità di cui fanno parte, dimostrando pubblicamente che questa è una delle possibilità percorribili per i cittadini e le cittadine del nostro paese.

Molto interessante il punto di vista di una persona presente tra il pubblico che ha raccontato una sorta di smarrimento (felice) nel poter pensare di contrarre una unione civile, dopo aver pensato per tutta la vita che, essendo omosessuale, non avrebbe mai avuto questa possibilità di festeggiare pubblicamente e legalmente la propria unione.

Abbiamo proseguito parlando del minority stress, fenomeno che forse tutti sanno, che le persone LGBT affrontano quotidianamente, con particolare attenzione rispetto ai nuovi scenari di molti tipi di famiglie possibili, sia nelle difficoltà di muoversi in una Italia non proprio accogliente rispetto a formazioni famigliari diverse da quella considerata come “tradizionale”, sia nelle opportunità che le famiglie omogenitoriali creano e portano comunque avanti nel nostro paese.

Pensiamo alla sofferenza che dichiarazioni e atti omofobici possono creare a persone adulte. Il pubblico presente in sala, infatti, ha espresso il timore da parte di molte persone omosessuali a compiere il passo, desiderato, dell’unione civile, per paura di subire ritorsioni, discriminazioni e anche violenze. Immaginiamo, dunque, il danno e lo stress che tali esternazioni e comportamenti possono generare nella popolazione adolescente, alle prese con un importante momento critico della propria crescita e della formazione della propria identità.

E la legge?

Stefania Guglielmi ha trattato gli aspetti legali della legge 76 del 2016. Dopo una vivace introduzione in cui ha delineato i passaggi storici che hanno portato all’approvazione della legge sulle unioni civili, ha fatto riflettere la platea sul cambiamento epocale che questo nuovo istituto ha portato in Italia, pur con la rumorosa e retrograda assenza della stepchild adoption.

E’ stato impossibile non fare un parallelo tra matrimonio (così come è inteso in Italia) e le unioni civili, confrontandone differenze, punti in comune e diverse opportunità. Molti di coloro che sono contrari alle unioni civili spesso (come ha fatto anche Bergamin) portano l’esempio del matrimonio tra uomo e donna come unica, vera unione e base per la vita civile. Purtroppo, però, come psicologi sappiamo molto bene che non sempre il matrimonio e la famiglia cosiddetta tradizionale sono da soli garanzie di gioia e serenità. I dati sui femminicidi e le violenze famigliari ce lo ricordano ogni giorno purtroppo.

Perché non sono né il genere né tantomeno l’orientamento sessuale a determinare la riuscita di una famiglia, bensì il rispetto reciproco e la progettualità condivisa. Forse il cambiamento epocale delle unioni civili non sarà solo per le coppie formate dalle persone dello stesso sesso, ma potrà portare anche ad una importante evoluzione nel dialogo pubblico sulle relazioni tra le persone.

L’incontro si è poi concluso con diversi interventi e domande da parte del pubblico, e un breve questionario di gradimento, le cui risposte positive non solo ci hanno fatto molto piacere ma ci hanno anche aperto nuove possibilità di collaborazione e approfondimento del tema.

Una nota conclusiva personale, visto che a Rovigo ci vivo e ci lavoro. Mi è capitato di parlare con una persona giovane, in un momento di presa di consapevolezza della propria sessualità, che temeva che “noi psicologi” la pensassimo tutti come l’Adinolfi o il Gandolfini di turno. In quella occasione, ebbi modo di parlarci un po’ e ricordo che lasciò l’incontro sollevat* che non ci fosse nulla di strano nell’essere attratti da qualcuno dello stesso sesso.

A volte, capita anche a me di dare per scontato che tutti conoscano la posizione della comunità psicologica mondiale sull’universo LGBTIAQ, ma non è così. Ecco perché credo che incontri come quello dell’1 ottobre siano importantissimi, e sono felice di esserne stata parte.




Harry Potter e l’Ordine dei Marò

Il 6 settembre alle 11.05 sulla pagina Facebook ufficiale dell’Ordine degli Psicologi del Veneto viene condiviso un articolo di giornale con la seguente didascalia.

Cresce la consapevolezza dell’importanza dello psicologo nello sport, in particolare nel calcio.

Essendo la psicologia dello sport un ambito di lavoro per me, leggo l’articolo con interesse.

Mi rendo conto ben presto che non si tratta di una iniziativa che OPV ha pensato e realizzato in funzione di tutti gli psicologi del Veneto che ambiscano a lavorare in questo settore o già la fanno, bensì è la semplice condivisione di una notizia che riguarda un accordo tra un istituto privato di formazione veneto e l’associazione allenatori calcio.

L’accordo prevede che chi ha frequentato il master in psicologia dello sport di quella scuola, accompagnerà le squadre in panchina in qualità di stagisti.

Quindi, ricapitoliamo:

solo diplomandosi a quello specifico master privato sarà possibile accedere a questo programma di affiancamento, tra l’altro come stagisti, non come professionisti.

Sorgono subito due domande:

  1. I colleghi sono retribuiti?
  2. Non si tratta di pubblicità, seppure indiretta, ad un istituto di formazione privato?

OPV ha risposto su Facebook alla mia obiezione sul post in questione, riferendo che la scelta della pubblicazione è stata

legata all’interesse e ad azioni concrete di una federazione sportiva (quindi nello strategico campo della psicologia dello sport) nei confronti della nostra professione. Il fatto che la cosa sia stata portata avanti da un ente privato non modifica questo elemento, di interesse per la professione e per la comunità professionale, e pone la condivisione dell’articolo nel solco della linea editoriale della pagina Facebook dell’ordine sin dalla sua apertura.

Personalmente, credo che un Ordine Professionale dovrebbe essere un organo di tutela di tutta la professione e, per quanto l’accordo tra un istituto privato e l’associazione sportiva possa comunque considerarsi di interesse per la comunità professionale, non dovrebbe trovare posto nella pagina Facebook di un Ordine

Mi piacerebbe, invece, che la promozione professionale fosse portata avanti dall’Ordine in primis, senza legare gli accessi ad opportunità lavorative ad una specifica formazione privata a pagamento, e possibilmente con concrete possibilità di guadagno da parte dei colleghi coinvolti.

«Se vuoi essere qualcuno, se vuoi farti strada devi svegliarti e stare in campana!»

8ce60390-4e2d-0132-420b-0ebc4eccb42fCosì diceva Whoopi Goldberg ai suoi giovani allievi in Sister Act2 e aveva ragione da vendere, magari anche gli psicologi seguissero il suo consiglio!

Condivido perciò gli allarmi sveglia mentali che nel corso questi anni ho faticosamente impostato nel mio cervello professionale.

Allarme sveglia #1 – ma lo psicologo che cosa fa?

Psicologo dello sport (così come psicologo del lavoro, della salute eccetera eccetera) non sono titoli di cui ci si fregia a seguito di uno specifico corso di studi. Sono semplici etichette per indicare l’ambito in cui si lavora, ma dal momento che superiamo l’Esame di Stato e ci iscriviamo all’Albo A, siamo TUTTI psicologi e in quanto tali possiamo operare in tutti gli ambiti della psicologia.

Il che non significa partire come l’armata Brancaleone e improvvisarsi a lavorare in campi di cui non si sa nulla, ma avere facoltà di SCELTA su come formarci nel pieno rispetto dei nostri obblighi etici e deontologici. In altre parole, non esiste una sola scuola in Italia che ci forma per lavorare come psicologi dello sport!

Allarme sveglia #2 – Lavorare significa essere pagati

Non fraintendetemi: il volontariato è meraviglioso, io stessa lo faccio.
Possiamo scegliere anche di offrire, quando lo riteniamo necessario, i nostri servizi pro bono.

Ma non esiste che con regolarità si lavori gratis. Perché il lavoro, va retribuito. Punto.

Non ce ne facciamo davvero nulla di tutti questi accordi e convenzioni in cui ci viene chiesto di prestare il nostro lavoro per la gloria, “perché così impariamo” o  “perché così ci facciamo conoscere”.

Allarme sveglia #3 – L’Ordine come i marò?

Avete presente i troll (e pure certi utenti medi…) che nei mesi scorsi ad ogni argomento che veniva sollevato online commentavano con “e i marò?”. Gli psicologi spesso e volentieri non citano i marò, ma il mantra è divenuto “e l’Ordine?”.

Visto l’articolo 21 del codice e vista soprattutto la ben nota sentenza del TAR del Lazio sul counseling, mi aspetterei, come minimo, che OPV prendesse una chiara e inequivocabile posizione verso i colleghi psicologi che nelle loro scuole private continuano tranquillamente ad erogare corsi di counseling per non psicologi.

Le perplessità aumentano se poi a finire sulla pagina dell’ordine è uno di quegli istituti che formano counselor.

La bacchetta magica di Harry Potter non funziona per gli psicologi

Harry_Potter_wandFrancamente, pure Harry Potter, il ragazzo che visse, con tutti i suoi incantesimi e bacchette magiche ci ha messo 7 anni per sconfiggere Voldermort.
Quando è stata ora di prendere in mano la situazione non ha detto “e l’Ordine?”, nell’Ordine (quello della Fenice) lui ci ha combattuto.
In prima persona.

Perché per noi psicologi, che viviamo in un mondo decisamente meno magico, dovrebbe essere diverso?
Avete presente quando diciamo ai pazienti che non c’è una bacchetta magica per stare bene? Che la strada della terapia è faticosa, quotidiana, ma che la faremo insieme?

La politica professionale non credo sia molto diversa in fondo. Non c’è la bacchetta magica.

Migliorare lo status degli psicologi in Italia significa che dobbiamo lavorare tutti insieme, ogni giorno.

Significa che dobbiamo leggere, informarci, andare a votare.

Significa che dobbiamo prendere posizione ogni volta che qualcuno vuole farci lavorare gratis o che non tutela gli interessi di una intera categoria ma solo di pochi.

Significa che non possiamo permetterci di cadere nella trappola di altisonanti slogan con echi anni ’90 (ve lo ricordate quello del milione di posti di lavoro?) come “lo psicologo in farmacia!”, “lo psicologo di base” e adesso pure “lo psicologo dello sport!”.