Cosa accade all’Ordine della Lombardia sulla Psicologia del lavoro?
L’Ordine degli Psicologi della Lombardia vive di continue contraddizioni. Non assumendo mai posizioni chiare nelle questioni che riguardano la psicologia può dire e fare tutto e il contrario di tutto. Lo abbiamo visto per la questione gender e omosessualità, ci è stato confermato sulla tutela della professione (che fine ha fatto?).
Toccherà anche alla psicologia del lavoro?
Cosa succede
È stato attivata una “task force” sulla psicologia del lavoro e si è tenuta la prima riunione. Il gruppo è composto da alcuni Consiglieri dell’Ordine (per AltraPsicologia è presente Cristina Contini, oltre a me) e colleghi professionisti che svolgono l’attività di “psicologo del lavoro”.
Il primo incontro, voluto da chi sostiene il presidente attuale, aveva l’obiettivo dichiarato di voler fare qualcosa per la psicologia del lavoro in Lombardia, ma ci siamo trovati spiazzati.
All’incontro non sono stati portati obiettivi chiari, non sono stati offerti dati o informazioni sugli psicologi del lavoro o sulla psicologia del lavoro, e non è stata neppure illustrata alcuna cornice di politica professionale che riguarda questa area di applicazione della nostra amata psicologia.
Però la riunione è stata proficua proprio grazie ai colleghi liberi professionisti presenti. Infatti hanno puntualmente posto le questioni cruciali (ad es. cosa differenzia lo psicologo del lavoro da un altro professionista? Quale valore specifico porta in azienda? Cosa può fare l’Ordine per questa categoria?).
Le contraddizioni
La prima contraddizione: voler fare qualcosa sulla psicologia del lavoro senza sapere cosa. Purtroppo è un atteggiamento già visto in altre occasioni, come aprire la Casa della Psicologia in pieno centro a Milano, con tutti i costi che potete immaginare, senza aver prima un progetto chiaro di come utilizzarla se non fare quello che si è sempre fatto nella vecchia sede.
Tornando alla psicologia del lavoro, ecco la seconda contraddizione: mentre da una parte l’attuale dirigenza dell’Ordine chiama i colleghi per individuare cosa fare per quest’area professionale, la stessa promuove gli ECM per tutti gli psicologi con il suo appoggio incondizionato all’Ordine Nazionale: peccato che gli psicologi del lavoro non sanno cosa farsene! (N.B. ricordo che per chi non lavora con il SSN non sono obbligatori, se pensavate il contrario è proprio grazie alle contraddizioni!).
Infine, mentre la task force sulla psicologia del lavoro ha impostato due macro obiettivi, se volete anche ambiziosi, cioè di definire l’identità dello psicologo del lavoro, cosa caratterizza tale figura professionale e di agire sulla promozione e valorizzazione di questa identità, l’Ordine non sembra promuovere a dovere un elemento che sta a cuore a molti colleghi: la tutela.
Assistiamo sempre più frequentemente a società che vendono a chiunque e senza alcuna limitazione test e certificazioni anche per valutare la personalità sul lavoro, depersonalizzando di fatto quotidianamente la figura dello psicologo del lavoro. Ma intervenire su queste pratiche non è tra le priorità dell’attuale dirigenza dell’Ordine che sembra preferire far finta di nulla e voltarsi dall’altra parte.
Le opportunità e la buona notizia!
L’occasione della “task force” è molto interessante. Parlare di psicologia del lavoro vuol dire includere circa il 44% dei colleghi e delle colleghe che tra i vari lavori svolgono attività per le organizzazioni lavorative (solo il 43% degli psicologi lombardi svolge un solo lavoro) . Inoltre, tra tutti i colleghi e colleghe, il 19% svolge prevalentemente un’attività relativa alla psicologia del lavoro (i dati sono di una vecchia ricerca sulla Lombardia).
Gli psicologi del lavoro sono maggiormente impiegati nelle aziende private e queste ultime riconoscono il valore e l’utilità del professionista in misura maggiore se è venuta a contatto con uno psicologo del lavoro rispetto a uno psicologo di altre estrazioni (clinico, sviluppo ecc.).
Inoltre, è risaputo che sia le aziende sia gli psicologi vedono l’area della psicologia del lavoro come la più promettente con maggior possibilità di occupazione e con maggior possibilità di sviluppo della psicologia, in particolare nella gestione HR, selezione e formazione.
Ecco la buona notizia. Il Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti ha fatto una proiezione delle professioni in maggiore espansione per i prossimi 20 anni ed ecco che la psicologia del lavoro è al primo posto! Se avviene questo oltreoceano significa che, pian piano, anche da noi ci sarà una domanda sempre maggiore di psicologi del lavoro.
Morale della favola
Come immaginato da parte di chi governa l’Ordine della Lombardia non c’è una gran visione del futuro di questa area professionale e soprattutto non c’è l’idea di inserire la psicologia del lavoro tra le attività prioritarie dell’Ordine dal punto di vista della politica professionale.
Al contrario dal punto di vista dei colleghi c’è una gran voglia di fare e proporre, ci siamo resi conto che le opportunità ci sono e soprattutto crediamo in quello che facciamo, siamo consapevoli che la formazione, gli assessment, il coaching e tutte le altre attività che svolgiamo regolarmente in azienda, quando sono fatte da uno psicologo rispettano la metodologia, si basano su fonti scientifiche verificate e verificabili, sono tutelanti sia per l’azienda sia per le persone valutate, anche dal punto di vista legale e del nostro codice deontologico.
Purtroppo sappiamo che le difficoltà maggiori risiedono nella nostra cultura nazionale, poco propensa al metodo scientifico e più attenta alle proprie opinioni, ideologie o lo status dell’interlocutore.