Per tutti gli studenti di ogni epoca e luogo, la scuola è un micro-mondo nel quale non solo apprendere contenuti ma anche “allenarsi” alla vita, stringendo relazioni ed alleanze, covando antipatie e rancori, vivendo amori segreti o scritti su tutti i muri.
I Professori da sempre fanno parte di questa Babele, con la loro umanità, i loro difetti, che i ragazzi spesso amplificano creando caricature; essi stessi, i temuti Prof, hanno simpatie ed antipatie verso gli alunni, anche piuttosto evidenti..a me in prima persona è capitato di essere ripresa in classe perché stavo chiacchierando…peccato che in quel giorno io fossi assente.
Nel mio liceo episodi di tale natura si tramandavano negli anni secondo tradizione omerica orale, con passaparola fra gli studenti; quello più eclatante riguardava una Prof nota per la sua severità…un alunno con il quale aveva un rapporto molto conflittuale, la chiamò a casa nella notte per insultarla…voce bassa, patata in bocca e straccio sul telefono alla Fantozzi, le rivolse un epiteto ingiurioso; lei, senza scomporsi, gli disse: “Rossi (cognome di fantasia)…ci vediamo domattina in classe”.
L’interrogazione del giorno dopo fu una disfatta di Caporetto, testimoni oculari affermano che al povero malcapitato fu dato addirittura il voto di UNO.
Sembra quindi particolarmente sorprendente, tenendo conto che episodi analoghi appartengono da sempre alla quotidianità della vita scolastica, che in molti istituti lo sportello d’ascolto psicologico venga gestito da insegnanti.
Il Codice Deontologico (art. 28), vieta espressamente rapporti di natura personale con la propria utenza, peccato che la scuola (articoli da 32 a 35 del CCNL del Comparto Scuola), preveda di attingere per prima cosa al proprio personale interno, qualora vi sia la necessità di un intervento da parte di un esperto, indicando esplicitamente che per la realizzazione di progetti formativi, “la risorsa fondamentale è costituita dal patrimonio professionale dei docenti“.
L’interpretazione di questa norma, in molti istituti comprende anche la gestione dello sportello, ma i limiti di questa procedura sono piuttosto evidenti: come può un insegnante, seppur psicologo, assumere un vertice di ascolto non giudicante, nei confronti di un soggetto che poco prima o poco dopo sarà tenuto a valutare (quindi giudicare)??
E, al contrario: come farà a fornire un giudizio scolastico su basi oggettive, dopo aver ascoltato la storia soggettiva e personale, magari tormentata e difficile, del proprio alunno?
Chiunque dica che si possono agevolmente differenziare i piani, afferma qualcosa di irrealistico, in quanto i sentimenti, le emozioni, i giudizi, albergano dentro di noi e si mescolano: se parliamo di ingegneria nautica, possiamo parlare di compartimenti stagni e camere di decompressione..ma se parliamo di esseri umani, allora la realtà è che non vi è nulla di “stagno”, poiché i piani mentali ed affettivi si intersecano continuamente, influenzandosi a vicenda.
Inficiando l’ascolto non giudicante, questa pratica molto diffusa di fatto lede il diritto dei ragazzi ad usufruire dello sportello: sareste andati a raccontare i fatti vostri alla vostra Prof? Magari ad alcune sì, ma non è detto.
Ed alla Prof di un’altra classe? Che poi incontrerà la vostra in sala insegnanti?
Bisogna ammettere che quantomeno le fantasie relative ai confini labili di questa modalità, hanno ben ragione di esistere.
Gli insegnanti/psicologi interpellati in merito segnalano però la mancanza oggettiva di fondi scolastici e di alternative: moltissimi istituti, se non potessero attingere al personale interno, sarebbero obbligati a rinunciare allo sportello.
A quel punto il diritto all’ascolto sarebbe leso per tutti, con buona pace del Codice Deontologico.
Quale scenario quindi sarebbe possibile, realisticamente?
Le soluzioni ci possono essere, occorre esaminarle in modo serio e fare in modo che diventino buone pratiche…in alcuni Istituti Comprensivi, gli insegnanti-psicologi di un ordine di scuola, svolgono ore di sportello in un altro ordine (i Prof della scuola secondaria fanno sportello alla primaria, e viceversa), in questo modo si attinge alle risorse interne ma si differenziano gli ambiti.
Alcune criticità permangono (i bambini della primaria, prima o poi saranno alunni della secondaria!), ma la strada potrebbe essere percorsa individuando forme strutturate di interscambio fra insegnanti/psicologi dei vari plessi scolastici.
Oppure, per attingere alle risorse esterne a costi calmierati, stringere protocolli d’intesa fra Ufficio Scolastico Regionale ed Ordine.
In ogni caso, il problema esiste, ed aprire il dibattito su questo tema può essere utile per individuare soluzioni che tengano conto delle risorse reali ma anche delle norme che regolano l’intervento psicologico all’interno del sistema scolastico, a tutela del professionista ma anche e soprattutto dell’utenza.
Sono uno psicologo, ho lavorato per dieci anni in una media della provincia di Cuneo, ero referente di un progetto di accoglienza a bassa soglia delle persone che si sentivano in difficoltà. Io mi occupavo dell’accoglienza agli adulti, alcune insegnanti di quella ai ragazzi. Il loro lavoro era monitorato e supervisionato da incontri periodici con me, nelle situazioni che lo richiedevano funzionavamo come un filtro rispetto ad agenzie maggiormente specializzate, come l’ASL o i Servizi Sociali.
Le difficoltà di equilibrio erano oggettivamente presenti, ma la possibilità di portare in un gruppo l’esperienza dell’ascolto messo in atto ha funzionato bene come contrappeso. Mi sembra che, al di fuori di una stanza di terapia (privata, oltretutto) sia difficile immaginarsi un setting pulito come nei libri, la realtà è sempre un po’ più incasinata, in quel casino si lavora e si cerca una posizione il più bilanciata possibile.
Alla fine credo sia stato un ottimo progetto; una volta strutturato e riconosciuto da studenti, genitori e insegnanti (dopo qualche anno) coinvolgeva con una spesa minima il 10% della popolazione scolastica, e si trattava di una grande scuola.
Il fattore più delicato e determinante era la scelta degli insegnanti che partecipavano al progetto, ma in questo il Dirigente ha sempre dimostrato una spiccata capacità di discernimento.
Mi rendo conto che tutto ciò non ha portato molto lavoro agli psicologi, neanche a me se è per questo, ma mi sentirei di riproporlo mille volte, soprattutto in tempi di vacche magre come questo.
A me l’idea di una scuola che si sforza di prendersi cura delle persone a cui si rivolge sembra sana.
Germano Chiotti
Concordo pienamente con questa modalità di intervento proprio perchè la scuola deve fare interventi educativi e non di cura (nel senso di condotti da specialisti di settore). Ben venga la supervisione e la formazione del personale, già presente in un Istituto e idoneo a fare interventi di sostegno ai bisogni adolescenziali (attraverso l’ascolto), ma ogni docente deve essere in grado di affrontare anche gli aspetti professionali legati all’età dei discenti dal punto di vista dell’educazione. Questo intervento di secondo livello può ben rispondere alle esigenze dei docenti di collocare nella giusta luce il loro ruolo di esperti di educazione.
E quando, come nel comprensivo in cui ho lavorato fino a due anni fa, lo sportello era tenuto da un’insegnante NON psicologa???
Ho lavorato per circa 5 anni come psicologa scolastica, la prima volta per un progetto biennale finanziato dal Centro Servizi Volontariato Poiesis di Brindisi(C.S.V.), gestito da una ass. di volontariato che ha voluto fare un discorso di prevenzione ma anche di educazione alla psicologia, di cui tanto c’è bisogno. Il progetto si è occupato di 2 Scuole Secondarie, una di I grado e una di II, quest’ultima la scuola più grande (x numero di iscritti) della provincia di Brindisi. La seconda volta come Esperta Esterna con finanziamenti PON, nella scuola superiore di II grado prima citata. Tutti e due i progetti hanno avuto grandissimo riscontro da parte degli studenti, sopratutto donne. Nel Secondo progetto il n° di ore previste dal progetto (50 ore annuali) non sono state sufficienti a coprire la domanda Non vi do qui i dati perchè non li ho a disposizione, ma non ho nessuna difficoltà a fornirli eventualmente. Vi dico invece come è finita: nonostante gli evidenti risultati, finiti i finanziamenti è finito anche lo Sportello Psicologico, pace per chi non ha fatto in tempo ad accedervi e preghiere perchè in futuro gli alunni non abbiano più problemi personali da risolvere!!!!
Quello che mi sembra importante dire e che purtroppo l’iniziativa dello Sportello d’Ascolto resta una scelta della direzione scolastica e che pochissime scuole lo effettuano, almeno qui al sud e in specifico nella mia regione che è quella che conosco meglio.
Credo che lo Sportello nelle scuole debba essere obbligatorio e che non si debba più chiamare Sportello D’Ascolto ma con un nome più appropriato e che allo stesso tempo definisca la competenza di chi lo conduce, ovvero con il nome di “Sportello Psicologico”.
Dico questo perchè, purtroppo, nella realtà italiana la confusione dei non addetti ai lavori riguardo il ruolo dello psicologo è molto forte, cosi’ come il pregiudizio: educare le nuove generazioni ad avere una diversa e più facile relazione con la cura psicologica credo sia dovere di ogni psicologo. La mia esperienza mi insegna che gli insegnanti (scusate la ridondanza) sono i primi ad essere felici per la presenza dello psicologo scolastico, perchè finalmente hanno un riferimento utile da dare ai loro alunni quando si rendono conto che questi hanno bisogno di un sostegno, perchè non devono accollarsi un carico che spesso non si sentono in grado di assumere e perchè possono demandare senza sentirsi in colpa per non essere intervenuti in aiuto del ragazzo o per averlo fatto con tutti i limiti del loro possibile intervento.
A mio avviso gli ordini professionali dovrebbero lavorare su questo fronte: rendere obbligatori in tutte le scuole la presenza di uno Sportello Psicologico qualificato!
Ho l’impressione che si confondano 2 piani diversi di intervento. Il primo a carattere educativo, che a mio parere potrebbe ben essere affidato a psicopedagogisti, che hanno esperienza di insegnamento e contestualmente sanno mettere in opera relazioni di aiuto anche, se necessario, indirizzando lo studente agli specialisti idonei a trattare i bisogni che hanno riscontrato. Il secondo che è proprio della cura psicologica, che deve essere affidato a psicologi specialisti dell’età evolutiva, e deve essere trattato al di fuori dell’ambiente scolastico, dove non si fa cura, ma educazione. Il confondere i due piani di intervento finisce per snaturare l’ambito educativo, dove si deve agire l’ascolto degli studenti in difficoltà, senza pretendere o far credere di poter iniziare un percorso di cura, e sminuire le competenze proprie di uno specialista, seppur della parola, che invece può iniziare con un paziente un percorso di guarigione. Luoghi educativi e di cura devono rimanere separati. Riguardo ai docenti, fa parte della professione intervenire a livello educativo nei confronti degli studenti e, se serve, saperli indirizzare verso i servizi specialistici territoriali.
buona sera
volevo sapere dopo quanti anni un alunno può diventare paziente della sua professoressa di psicologia.
grazie in anticipo.