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In questi giorni di assordante campagna elettorale siamo bombardati da parole chiave che vengono ripetute da tutti, quasi come se fossero le uniche verità e realtà concepibili. Sviluppo, Crescita, PIL, Debito Pubblico, Investimenti esteri in Italia, Spread, Default…

L’appiattimento del modo in cui vengono propinate le soluzioni ai problemi economici e sociali che ci attanagliano è tale per cui ascoltando o leggendo gli interventi dei politici che affollanno i media, diventa difficile a volte, distinguere i contenuti dell’una piuttosto che dell’altra compagine, eppure dovrebbero essere molto diversi!

Le ragioni di tale appiattimento su ricette in cui vengono modificate leggermente le quantità degli ingredienti sono relative alla visione, ai valori e alla progettualità che le forze politiche esprimono: una sostanziale accettazione del modello di svilulppo basato sul capitalismo finanziario; un modello produttivo basato sulla concentrazione di grandi strutture industriali e finanziarie, riduzione della spesa pubblica e del welfare; privatizzazione dei servizi pubblici mediante non finanziamento e inefficienza degli stessi.

E’ di fondamentale importanza a questo punto, focalizzarsi proprio sul modello di sviluppo che sta creando disastri economici e sociali che sono sotto gli occhi di tutti, basta pensare al dilagare della disoccupazione giovanile e degli ultra-quarantenni.

Questo modello non funziona più ed è destinato all’implosione perchè produce ricchezza per una  ristretta èlite e miseria per il resto della popolazione, rischiando di trascinare verso la povertà anche le classi medie.

Ribaltare questo modello è possibile e in Italia particolarmente perchè possiamo recuperare i valori della nostra civiltà dei comuni e delle piccole comunità agrarie in chiave moderna e tecnologica, creando un nuovo modello che rappresenta una reale sfida alla globalizzazione finanziaria, pur usufruendo degli strumenti che il progresso ci mette a disposizione.

Per fare ciò si deve iniziare da alcuni elementi basilari: il cambiamento di modello energetico e la transizione verso un ribaltamento del modello centralizzato e il passaggio ad un modello distribuito .

 Un modello produttivo diffuso, costituito da unità territoriali come i quartieri o i piccoli comuni, i quali possono organizzare le proprie economie locali prioritariamente in relazione all’approvvigionamento energetico e alle forniture alimentari.

Secondo questo modello diffuso, ogni unità territoriale organizza la propria centrale sfruttando maggiormente le energie rinnovabili, selezionate a seconda delle caratteristiche del territorio e  gestite mettendo in rete i consumatori che a loro volta sono anche produttori di energia, mediane impianti a livello domestico,  rilasciando in rete l’energia che non consumano.

Ogni unità territoriale effettua la raccolta differenziata dei rifiuti porta a porta, e ha  la sua centrale per la raccolta, il riuso e il riciclo dei rifiuti.

In ogni quartiere ci saranno dei punti vendita per i prodotti alimentari a  km zero provenienti dal territorio agrario circostante, strutturato da aziende agricole di piccole-medie dimensioni che praticano l’agricoltura eco-compatibile e di qualità, rispettando i cicli naturali e le tradizioni alimentari e agricole locali.

Anche la sanità dovrebbe essere organizzata con strutture diffuse a livello territoriale per il primo soccorso, la diagnostica e l’assistenza domiciliare che andrebbe fortemente potenziata. Le grandi strutture ospedaliere dovrebbero essere previste per le patologie che richiedono risorse terapeutiche complesse e attrezzature dispendiose.

Numerosi sono gli esempi che si potrebbero fare, anche per quanto riguarda le strutture turistiche, le strutture bancarie, etc.

Ciò che qui desidero evidenziare è che il ribaltamento da un modello economico basato sulle strutture di grandi dimensioni di proprietà di pochi grandi gruppi finanziari, è funzionale ad esistenze individualistiche della società di massa concentrata nelle grandi città. Questo modello sebbene in una fase iniziale abbia prodotto ricchezza, occupazione e crescita, spinto nelle sue estreme conseguenze per le quali l’unico parametro considerato è la rendita  finanziaria, porta alla delocalizzazione delle produzioni e allo smantellamento delle economie locali, che si spostano laddove la manodopera costa meno. Non prevede la molteplicità e diversificazione dell’offerta di prodotti e servizi,  poichè la standardizzazione determina volumi di vendite a masse  di consumatori ed è quindi più redditizia. Non crea senso di comunità poichè nessun soggetto coinvolto nel ciclo produttivo o distributivo,  ha possibilità di incidere sulle scelte del management.

Un modello economico diffuso sul territorio e basato su strutture di piccole-medie dimensioni, incrementa la classe imprenditoriale e la sua qualità professionale ed etica, così come comporta un coinvolgimento e una vicinanza maggiore ai consumatori che possono intervenire nelle scelte produttive e commerciali. Tale modello in Italia troverebbe terreno particolarmente fertile in quanto le PMI  sono sempre state molto vitali e presenti nei nostri territori: attualmente però, grazie a scelte politiche e amministrative a dir poco miopi, si trovano in estrema difficoltà e ogni giorno decine e decine di piccole imprese sono costrette a chiudere.

Il passaggio dalla società di massa alle comunità che condividono e sono rese partecipi delle scelte economiche, sociali e amministrative è la vera rivoluzione che possiamo e dobbiamo iniziare a fare, ora!

Bibliografia

Jeremy Rifkin, La Terza Rivoluzione Industriale, Mondadori, 2011

Livio de Santoli. Le comunità dell’energia. Quodlibet, 201Paul Connett, Patrizia Losciuto, Rifiuti Zero, una Rivoluzione in Corso, Dissensi, 2012

Manifesto degli Economisti Sgomenti, Minimum Fax, 2012

TerritorioZero, Manifesto per una società ad emissioni zero, rifiuti zero e km zero.

Livio de Santoli, Angelo Consoli

in libreria a gennaio 2013, edizioni Minimum Fax