Quando si pensa allo psicologo del lavoro molti pensano unicamente all’ufficio del personale o alla selezione.
E’ vero, siamo senza dubbio anche questo ma quello che si fa, a volte, è perdere di vista chi siamo e fissarci su cosa facciamo o su cosa le aziende si aspettano che si faccia.
PSICOLOGO DEL LAVORO: UN TRADUTTORE. Dopo più di dieci anni che lavoro in quest’ambito, la conclusione a cui sono arrivata è che ciò che siamo è più importane di ciò che facciamo; o meglio, ciò che facciamo è una conseguenza di ciò che siamo.
Nella mia esperienza, lo psicologo del lavoro è prima di tutto un “traduttore”.
Qualunque sia il nostro ruolo e qualunque sia il nostro obiettivo, la prima cosa che dobbiamo fare è ascoltare, comprendere e tradurre un problema che ci viene portato dal committente aziendale sotto forma di richiesta, ansia espressa, paura, domanda ecc….Per poterlo fare dobbiamo ascoltare, scrivere, rileggere, ri-esaminare. Molto spesso ciò che ci viene chiesto non è ciò di cui l’azienda ha bisogno.
UN CASO TIPICO. Recentemente ho incontrato una piccola azienda agricola che ha chiesto di condurre delle selezioni dicendo però chiaramente di aver già acquistato dei test che dovevano essere necessariamente utilizzati. Per uno psicologo non è certo difficile inserire uno o più test in una selezione ma la cosa importante era capire il senso di quel vincolo. Dopo aver ri-letto gli appunti dell’incontro, letto gli appunti del collega e ascoltato una telefonata fatta dal collega e da me, siamo arrivati a capire che il problema vero era che in azienda mancava la cultura della selezione; hanno sbagliato numerose selezioni in passato e le Risorse Umane, prese dallo sconforto, hanno proceduto ad acquistare dei test che però, mancando la necessaria cultura e competenza, si sono rivelati inutili. Questo ha gettato ancora di più nello sconforto le Risorse Umane che hanno quindi chiesto aiuto per fare qualcosa che desse credibilità alle loro scelte. Ovviamente fare delle selezioni usando quel test sarebbe stato colludere con una richiesta che non avrebbe avuto alcun impatto positivo. L’esigenza era quella di impostare un lavoro sulla selezione che si rivelasse efficace (e anche dare maggiore credibilità alle Risorse Umane) e quindi guidare l’azienda nella costruzione di un processo di selezione in linea con le necessità.
Essere efficaci come “traduttori” ci apre potenzialmente numerose strade che vanno oltre i “compartimenti stagni” della selezione, formazione, assessment ecc.
COMPETENZE SPECIFICHE NECESSARIE. Le competenze specifiche sulle organizzazioni sono essenziali. Uno psicologo del lavoro deve saper leggere un organigramma, costruire una job descripion, fare una job analysis, conoscere i processi aziendali (almeno quelli relativi alle Risorse Umane). Tuttavia, questo è inutile se non si sa leggere un bisogno o interpretare una resistenza o comunicare in modo efficace.
La comunicazione è un altro elemento chiave del nostro lavoro. Distinguere ciò che è esplicito da ciò che è implicito e, soprattutto, aiutare le persone a farlo, è fondamentale perché, non solo ci serve per capire la domanda, ma ci serve per aiutare il nostro committente ad acquisire consapevolezza.
Se facciamo un focus group o un’analisi di clima, ad esempio, a un certo punto dovremo fare una restituzione all’azienda. Qui è facile perdersi, non comunicare efficacemente quanto emerso.
Spesso a mancare è il metodo.
METODO E CAPACITA’ DI OSSERVAZIONE. La capacità di osservazione e di analisi attraverso un metodo è un’altra competenza essenziale per lo psicologo che voglia lavorare con le aziende. Se, ad esempio, devo selezionare, valutare il potenziale, fare una formazione ecc…quali sono le variabili su cui devo lavorare? Non posso selezionare persone “capaci di problem solving”, valutare la “capacità di guidare gli altri” o progettare un training sull’ “intelligenza emotiva” o sull’”assertività” se non ho definito in modo chiaro quali sono i comportamenti osservati che definiscono quella variabile (agli occhi miei, del committente e dei destinatari). Se voglio valutare il “problem solving”, potrò farlo definendolo, come la capacità di individuare e comprendere gli aspetti essenziali dei problemi per riuscire ad arrivare in tempi congrui ad una soluzione efficace che si traduce in questi indicatori:
I. individua con chiarezza il problema e si confronta con l’eventuale gruppo di lavoro e/o il proprio referente sulla sua definizione;
II. prende in considerazione possibili soluzioni alternative, individuando spunti originali e innovativi;
III. risolve il problema, anche in autonomia se necessario, implementando la soluzione più adatta per la persona o l’organizzazione
Chiaramente ciascuno può seguire il modello che sente più efficace (questa è la definizione di Levati e Saraò) ma la cosa importante è condividere con il nostro committente ciò su cui andremo a lavorare, altrimenti corriamo il rischio di deludere o comunque non rispondere alle aspettative. Capita spesso che vi vengano chiesti interventi, ad esempio, sull’assertività ma siete sicuri che il modo in cui la intende un cliente sia lo stesso in cui la intendete voi? Qui il metodo ci aiuta.
UTILIZZO DEI TEST. L’utilizzo dei test è un’altra competenza chiave e necessaria che uno psicologo del lavoro deve avere, ed è spesso sottovalutata e carente. Il test non è sempre necessario (come ogni altro strumento di lavoro) ma è sempre necessario sapere come funziona; anche perché se qualcuno prima di noi li ha usati e un committente ce li mostra, dobbiamo essere in grado di comprenderne il razionale e il criterio interpretativo.
Capacità di lettura, di analisi, sintesi, comunicazione efficace e conoscenza dei metodi penso che siano già un buon bagaglio per essere psicologi del lavoro e poter quindi proporre tante attività in azienda.