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Da qualche tempo, un movimento di scuole di psicoterapia chiede al CNOP di dettagliare le attività che caratterizzano la psicoterapia e introdurre limiti più definiti agli psicologi.

E pare che il CNOP ci stia realmente pensando.

Nulla di certo al momento, perché non filtrano ancora documenti scritti.

Ma proprio perché siamo ancora nella fase ‘voci di corridoio’ mi permetto qualche riflessione preventiva.

IL TEMA GIURIDICO

Dettagliare le attività caratterizzanti la psicoterapia significa introdurre una regolamentazione ulteriore rispetto all’articolo 3 della legge 56/89.

L’operazione, interessante sul piano intellettuale, si scontra però con alcuni problemi sul piano giuridico e professionale.

Intanto, per essere legittima una tale iniziativa dovrebbe appoggiarsi su un solido radicamento normativo.

In altre parole, per limitare la libertà di esercizio di attività professionali servono delle norme di primo rango e serve un motivo di interesse pubblico.

È così ad esempio per la professione medica, che riconosce e dettaglia alcune riserve di attività (ad esempio radiologia, anestesia, attività di medico competente) solo sulla base di norme di rango primario.

Ed è così per la professione di Ingegnere, che riconosce settori di attività con specifiche riserve a partire dalle norme di rango primario che regolano della professione.

In nessuna professione le attività da sottoporre a riserva sono stabilite tramite atti unilaterali interni.

Per la nostra professione, l’unica attività a cui la legge riconosce una speciale riserva è la PSICOTERAPIA.

Non esiste però una definizione normativa di psicoterapia. Nella legge 56/89 la riserva è stabilita solo sul termine ‘psicoterapia’, senza ulteriori definizioni.

È il legislatore ad averla voluta così, in esito ad un negoziato ventennale.

E il primo scoglio è questo: trovo difficile che il CNOP possa intervenire efficacemente, con un atto interno, per integrare la definizione normativa voluta dal legislatore.

IL TEMA DEL RAPPORTO CON I MEDICI

Il secondo scoglio riguarda il fatto che la psicoterapia è condivisa da medici e psicologi.

Per cui un atto regolatorio dovrebbe quantomeno avere forza vincolante per entrambe le professioni.

Trovo quindi insufficiente rivolgersi al solo CNOP e non già, anche, alla FNOMCEO, al Ministero della Salute, al Parlamento.

Ed è singolare pensare di agire sul Codice Deontologico degli psicologi, come ho letto in alcuni appelli pubblici.

Il Codice Deontologico, oltre ad avere ben altri scopi, è vincolante per i soli psicologi e non anche per i medici abilitati alla psicoterapia.

Sarebbe tafazziano mortificare le prerogative professionali di una sola delle categorie interessate, senza toccare anche l’altra.

LA RICHIESTA AL CNOP ESCLUDE GLI PSICOLOGI DALLA CLINICA?

Penso sia opportuno entrare nel merito delle richieste che sta ricevendo il CNOP.

Un passaggio di richiesta di modifica del Codice Deontologico colpisce particolarmente:

“(…) se il destinatario della prestazione ha una diagnosi clinica di psicopatologia (…) [lo psicologo] dovrà astenersi dall’intervenire e inviare ad un collega legittimato alla psicoterapia (…)’.

È chiaro che la ricaduta di una modifica del genere sarebbe l’esclusione degli psicologi da tutte le attività cliniche, perché basterebbe un Disturbo dell’adattamento (o suo equivalente ICD) per esporsi a violazione deontologica.

Una previsione del genere fra l’altro confligge, ad esempio, con le varie leggi regionali sullo ‘psicologo di base’ che gli Ordini regionali stanno festeggiando.

LA SCOMODA POSIZIONE DEL CNOP

Ora, il destinatario di queste richieste, il CNOP, si trova di fronte ad un bivio: cedere e definire con atti intra-regolatori di dubbio statuto giuridico le attività proprie e riservate della psicoterapia, oppure lasciare tutto com’è, riservando al giudice le valutazioni sui casi di abusivismo?

Non li invidio, gli amici del CNOP.

Non vorrei trovarmi nei loro panni.

Hanno davanti uno scenario complesso.

Da una parte ci sono le scuole richiedenti, che hanno come business proprio la formazione alla psicoterapia. È il prodotto che vendono.

Non c’è nulla di male in questo, s’intende. Ma quando si porta una proposta politica e si è al contempo portatori di interessi privati diretti, è bene essere chiari con il pubblico a casa.

I capofila di questo movimento non sono psicologi ma – per la maggior parte – medici psichiatri. Che chiedono quindi per una categoria professionale che non è la loro, restrizioni che alla loro categoria non si applicherebbero.

Come se io volessi dettare il regolamento condominiale del palazzo a fianco.

Dall’altra parte c’è la professione medica nel suo complesso. Dato che condividiamo la psicoterapia come attività riservata, non possiamo farci sopra ulteriori regole in modo unilaterale. Ci sarebbe da negoziare una cosa che ha richiesto già un ventennio di negoziati. Quanto può convenire?

E poi ci sono le organizzazioni complesse (Aziende sanitarie, università e strutture private convenzionate, Regioni) che impiegano psicologi per svolgere attività che potrebbero, da un giorno all’altro, essere sottoposte a riserve mediante un atto di dubbia consistenza giuridica.

E infine, cosa più importante: l’esercito degli ‘psicologi non psicoterapeuti’. Decine di migliaia di persone che per scelta o per necessità non hanno voluto effettuare la formazione alla psicoterapia.

LA RICADUTA SUGLI ‘PSICOLOGI NON PSICOTERAPEUTI’

Di fatto, per gli psicologi non psicoterapeuti sarebbe l’imposizione per via deontologica (o con altro atto non idoneo ad imporre alcunché) di una pesante tassa di accesso, per sbloccare attribuzioni che la legge 56/89 già gli riconosce.

Il tutto sulla base di un solo dato normativo: la riserva della parola ‘psicoterapia’, che la legge definisce ‘attività’ e non ‘professione’.

Un boccone sicuramente succulento per qualunque studio legale che volesse farsi un nome nel settore.

Fra l’altro temo che la comunità professionale non abbia una visione omogenea di cosa sia la psicoterapia, per cui pervenire ad una definizione unitaria non sarebbe comunque semplice.

Le visioni del mondo, si sa, sono tante e diverse.

IL CNOP CORRE IL RISCHIO DI INFILARSI IN UN GINEPRAIO SENZA FINE

E a quel punto occorre capire se ne vale la pena.

Lo scopo nominale di questa operazione sarebbe quello di tutelare i cittadini e la salute pubblica dall’abusivismo professionale.

Credo che si possa raggiungere anche lasciando tutto come sta, e contando sull’operato dei giudici.

Fra l’altro, sappiamo per esperienza che i casi concreti di abusivismo spesso vengono meglio contrastati in tribunale se le norme sono sufficientemente generali da coprire il più ampio spettro di situazioni.

Evitare di dettagliare troppo gli atti tipici aiuta i giudici ad includere nell’abusivismo anche i casi che stanno sul confine.

Senza contare che qui si andrebbe a orientare il cannone sui colleghi psicologi, non sui veri abusivi.

Chiaramente se lo scopo è anche altro – e non mi viene nulla in mente se non la tutela di interessi di parte – tutto questo mio discorso perde di senso.

Se fossero solo interessi di parte, si dovrebbe però tener conto che ogni interesse di parte lede altri interessi di parte.

Si rischierebbe ad esempio di accendere un conflitto fra psicologi autorizzati e non alla psicoterapia.

E a questo punto saremmo già in un campo che non riguarda più né la tutela né, forse, la politica.

Sarebbe una carneficina, una guerra civile interna alla categoria, di cui francamente non abbiamo bisogno.

Confido che il CNOP sappia tenere il timone.

Le istituzioni sono vulnerabili solo se gli attori che le popolano sono affetti dall’ansia di accontentare. Fortunatamente siamo tutti vaccinati.