L’Ordine Psicologi della Lombardia ha pubblicato i primi risultati di una ricerca sulla formazione universitaria nella regione. Leggi QUI
Dalla ricerca emerge che ogni anno gli atenei lombardi “sfornano” circa 1000 laureati in psicologia e che altrettanti sono coloro che si iscrivono all’Ordine.
Se nel 1994 gli psicologi iscritti all’Ordine della Lombardia erano 502 , nel 2011 siamo arrivati alla cifra esorbitante di 10.406. A questi vanno aggiunti 3.500 psicoterpauti che fanno lievitare il totale a 14.000.
E’ chiaro che per nessuna professione possano esistere un tessuto sociale e un mercato che supportino e digeriscano una crescita esponenziale dell’offerta in un periodo così breve.
In parole povere: siamo troppi!
Ma il sentore che ci fosse qualcosa che non quadrava l’avevo già avuto da un bel pò di tempo…
1995. Il Palazzetto dello Sport di Padova è gremito di studenti che vogliono iscirversi alla Facoltà di Psicologia. L’accesso è a “numero chiuso” (ma non troppo!): le matricole saranno SOLO 2.000
Il Preside della Facoltà dice che la selezione sarà dura (???) e che arriverà a laurearsi solo il 10% dei presenti… difficile da credere!
2002: dopo la laurea cerco disperatamente un ente che mi “ospiti ” per svolgere il tirocinio annuale obbligatorio: con gran fatica individuo un Centro Socio Educativo nel quale tutto faccio fuorchè la psicologa.
2004: dopo qualche indecisione decido di affrontare l’Esame di Stato: lo trovo decisamente poco selettivo e comincio a chiedermi per quale ragione non venga messo un filtro a maglie più strette per “selezionare” i futuri professionisti.
2008: dopo 4 anni termino il percorso di specializzazione: anche in questo caso non viene operata praticamente nessuna selezione: tutti gli specializzandi.se ne vanno via contenti stringendo fra le mani il loro preziosissimo diploma.
Sempre nel 2008 , quando il picco dei nuovi iscritti annuali ha toccato quasi quota 1.000 è iniziato un processo inverso e singolare: 100/150 colleghi ogni anno hanno cominciato a chiedere di essere cancellati dagli elenchi dell’Ordine.
Dopo aver percorso un lungo iter faticoso e, come è noto a tutti i colleghi, tutt’altro che economico, 100/150 psicologi ogni anno decidevano di buttare la spugna.
Nella ricerca vengono riportati i dati ma non è difficile immaginare che dietro quei numeri vi sia una delusione cocente, una poco tollerabile frustrazione e tutta l’amarezza dei colleghi che hanno rinunciato al proprio progetto professionale (e di vita!)
A questo punto mi chiedo e pongo a voi tutti una semplice domanda: perchè nessuno ci ha raccontato come stavano le cose? Chi ha permesso che spuntassero come funghi dopo prolungate piogge, 18 corsi di Laurea in Psicologia solo nella Regione Lombardia?
Perché nessuno all’interno degli Ordini fino ad oggi ha fatto concretamente qualcosa per migliorare la situazione di una professione che è sofferente già da molti anni?
E in ultimo: perchè quasi tutti noi continuiamo a disinteressarci di una situazione che per tanti colleghi è al momento tragica, nascondendoci dietro una falsa ipocrisia (sulla quale a mia volta un giorno farò una ricerca) che ci spinge a bleffare anche con i nostri stessi compagni di sventura, ai quali ci proponiamo come professionisti “arrivati” e raccontiamo di studi brulicanti di pazienti? per dignità? o perchè non vogliamo ammettere neanche a noi stessi di aver toppato la scelta?
Solo lo spirito di categoria ci può salvare da questo sfacelo. Sappiamo che solo potendo decidere di noi stessi attraverso gli enti deputati (gli Ordini e l’Enpap) possiamo in qualche modo intervenire per cambiare le sorti.
I giochi non sono ancora fatti. C’è molto da lavorare ma tutti possiamo contribuire a cambiare le sorti della nostra professione. Non isoliamoci nello sconforto di vedere la professione bistrattata e poco riconosciuta: portiamo le nostre istanze a chi può operare concretamente per la professione, ma soprattutto impegnamoci in prima persona, continuiamo a confrontarci, lavoriamo per diventare una categoria riconoscibile dall’esterno e con un senso autentico interno di apprtenenza.
Solo così potremo valorizzare realmente il nostro specifico apporto professionale.
Allora, cari colleghi: COSA STIAMO ASPETTANDO?
Questo è un quesito che mi sono posto tante volte pure io, quel che mi sono sentito sempre dire è che a decidere sul numero di iscritti fossero le Università stesse, il MIUR mi pare, e anche l’Ordine Professionale che esprime un proprio parere.
Penso che ormai sia troppo tardi per porre un freno al numero di nuovi professionisti nel senso che anche se si fermassero ora definitivamente i nuovi iscritti agli ordini rimarremmo sempre troppi per diversi decenni.
Sono sostanzialmente d’accordo con l’articolo che mi sembra corrispondere alla linea che da tempo leggo su altrapsicologia. Mi chiedo anche come mai, oltre al dato evidente dei molti corsi di laurea in psicologia, in Italia ci siano così tanti psicologi e mi piacerebbe provare a ragionarci e a fare una ricerca in proposito. Ciò che invece mi lascia perplessa è che solo una difesa corporativa possa portare a qualcosa di buono nella nostra professione. Penso che gli psicologi più di altri possano ragionare su una situazione più complessa e complicata che ci accomuna sicuramente con altri estendendo l’idea di colleganza ad altre categorie, ad altre persone. Penso che questo possa essere una forza e non necessariamente una debolezza. Credo che chiudersi in una difesa esclusivamente corporativa possa depotenziare invece che rendere più vivace e quindi più attraente la nostra professione.
Gentilissima,
non trovo nell’articolo di Erica Volpi alcun cenno al fatto che la difesa corporativa sia la sola soluzione.
Altrapsicologia ha una posizione di assoluta apertura verso tutte le professioni riconosciute e tutti i settori sociali e produttivi del contesto in cui viviamo come cittadini e come professionisti. Del resto, è impensabile che l’attuale tessuto economico possa ancora contemplare professioni e professionisti che si isolano in un sapere teoretico e in un linguaggio iniziatico, non badando a cambiamenti sociali e antropologici. Ma la professione esercitata come una forma di ortodossia teorica non l’ha inventata Altrapsicologia.
Altrapsicologia rammenta soltanto che per fare lo psicologo servono alcuni requisiti, che per questioni di difesa della cittadinanza lo Stato ha accettato di normare, come avviene per molte professioni, attività e aziende in ogni parte del mondo.
Semmai, manteniamo da sempre una posizione di intransigenza rispetto alla ciarlataneria, intesa come metodo furbesco e artificioso di esercitare attività regolamentate aggirando la legge: non vogliamo vivere in case progettate da veterinari, attraversare ponti costruiti da macellai, essere operati alla cistifellea da tassisti, parlare dei nostri affari intimi con mimi e ballerine (citando un verso di Battiato che mi è molto caro). Parimenti, per quest’ultima attività, non vogliamo che siano mimi e ballerine a far cose al posto nostro, per il bene degli utenti e dei colleghi.
Un saluto
Ciao,
mi permetto di lasciare un commento che purtroppo è in linea con quanto leggo e vedo su AP da anni ormai e cioè che si da voce al disagio di una categoria professionale rendendola più ridicola di quanto in realtà sia.
Anche se in questo suo articolo vengono segnalati problemi reali e senza dubbio da risolvere, se si scorrono le pagine di questo sito si possono leggere solo argomentazioni di frustrazioni perenni….
Credo che anche questo possa portare discredito sulla nostra professione.
Alessandro Montenero.
Caro Alessandro,
accanto alla [giusta] evidenza data alle criticità della professione, Altrapsicologia ha fatto e fa anche molto lavoro in favore e per la costruzione di prospettive positive. L’informazione stessa, contrapposta al vuoto informativo, è costruzione.
Ma concordiamo pienamente che la lamentazione continua sulla professione e su ciò che fanno i colleghi, che è uno stile molto diffuso, ci rende tutti ridicoli. Per questo, siamo sempre alla ricerca di colleghi brillanti che vogliano impegnarsi con noi in qualcosa di nuovo, di costruttivo, di creativo. Scrivici a redazione@altrapsicologia.it e potrai contribuire anche tu, un’altra psicologia è possibile!
Le banche internazionali danno incentivi economici agli Stati che hanno alti numeri di laureati, in parte potrebbe essere dovuto anche a ciò
La situazione che si è creata e anche da imputare alla creazione e consolidamento dell’Enpap. Per pagare le pensioni (ai decani fortunati che già ne beneficiano) occorrevano grandi numeri di iscritti …
Ma e’ senz’altro vero che un filtro a livello universitario andava e andrà posto comunque sia.
Vittorio Sacchi
Gentile collega,
mi permetto di dissentire in merito all’argomento per cui servono molti psicologi per pagare le pensioni ENPAP, per due ragioni:
1) l’enpap non paga le pensioni con i contributi dei lavoratori attivi, bensì con quel che ciascuno ha già versato, praticamente è una sorta di conto corrente personale, senza travasi. Applicata all’INPS, l’argomentazione avrebbe una sua logica, perché le pensioni INPS vengono erogate tempo-per-tempo attraverso i contributi dei lavoratori attivi.
2) non esiste nessun decano che riceve pensioni dorate all’enpap: questo quadro desolante fortunatamente appartiene solo ad altre categoria professionali con casse previdenziali di vecchia generazione (medici, avvocati, commercialisti, giornalisti, farmacisti). Ma anche in quel caso il fenomeno è in rapida estinzione.
Con cordialità
Salve a tutti!
Io ho quasi 19 anni e sono appena entrato in una facoltà di Scienze e Tecniche Psicologiche. Una follia? No, dato che è le altre opzioni erano Filosofia, Scienze Politiche e Lettere Moderne. Purtroppo non ce la farei a studiare cose che non mi appassionano, e purtroppo amo materie con cui difficilmente te potrei lavorare. In Italia almeno, ed è questo il punto. Io già la specialistica conto di farla all’estero, in Scozia o in Irlanda, per poi rimanere a vivere e lavorare lì. Non intendo rinunciare alle mie passioni, non intendo svendermi a un corso di studio inadatto a me. Preferisco rinunciare al mio paese. Non che sia una grande rinuncia, specie considerando che non sono affatto patriottico. Ma il punto è che io voglio fare lo psicologo. Ho scritto voglio, non vorrei. E se l’Italia non me lo permette non ci penso due volte ad andare all’estero. Ho già una buona competenza in inglese, ma mi sto anche impegnando per migliorare. E poi andando all’estero ci guadagno anche riguardo l’altra mia grande passione, la scrittura, dato che il tipo di narrativa che scrivo in UK è apprezzata mentre da noi no.
Comunque, tralasciando la mia esperienza personale, è ovvio che il sistema in Italia va riformato del tutto. Bisogna diminuire il numero di posti disponibili nelle facoltà e rendere più severa la selezione, soprattutto in uscita.
Non sono molto d’accordo sul rendere troppo selettivo l’esame di stato: che senso avrebbe aver studiato 5 anni + 1, senza poi l’abilitazione? Una laurea buttata. Allora meglio selezionare al test di ingresso, mettendolo in tutti gli atenei. E’ inutile che lo mettono nel 90% degli atenei, lasciandone però 6 a iscrizione libera, più le telematiche a iscrizione libera…a quel punto la massa che non supera il test si riversa sugli atenei a iscrizione libera e sulle telematiche e siamo punto e a capo.