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Recovery Fund: un’espressione a cui ormai siamo abituati, ma che spesso genera una resistenza immediata perché tutte le volte che ne sentiamo parlare si ha l’impressione di non riuscire davvero ad afferrare il punto della questione.

Di cosa si tratta? Perché dovrebbe riguardare tutti noi? E soprattutto, che c’entriamo noi Psicologi?

Proviamo a chiarirci le idee insieme, e per farlo cominciamo dal principio.

Cos’è il Recovery Fund? Letteralmente “Fondo di Recupero” è uno strumento europeo per la ripresa economica degli Stati Membri approvato lo scorso Luglio dal Consiglio Europeo Straordinario. In poche parole si tratta di finanziamenti europei per un ammontare pari a 750 miliardi di euro (390 di contributi a fondo perduto e 360 di prestiti). All’Italia, nello specifico, sono destinati poco meno di 209 miliardi, di cui circa 82 in sussidi e 127 in prestiti.

Ma da dove nasce? Dall’epocale crisi economica legata all’emergenza sanitaria COVID-19 che ha colpito il nostro Continente, la peggiore registrata dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. A maggio 2020 fu presentata una prima versione del fondo denominata “Piano Next Generation EU”, che ha visto una prima opposizione da parte di alcuni Paesi a causa della modalità di ridistribuzione dei contributi. Dopo lunga contrattazione si è giunti al piano come lo abbiamo descritto poco prima.

E come si può accedere a questi fondi? Ogni Governo, tra cui quello Italiano, dovrà mandare un Piano di Ripresa e di Resilienza (PNRR) entro fine aprile 2021. Un vero e proprio progetto di investimento che verrà valutato dalla Commissione Europea e che dovrà essere approvato dal Consiglio Ecofin (Economia e Finanza) con atto di attuazione (implementing act) entro 4 settimane.

Veniamo a noi: nel concreto in che modo il PNRR può interessare la nostra comunità professionale?

In potenzialità – con un vero e proprio ripensamento dell’intero assetto socio-sanitario del nostro Paese – e nel concreto – con uno stanziamento di fondi a missioni specifiche che coinvolgono la figura dello psicologo in modo diretto per le sue competenze di intervento.

Entriamo nel dettaglio riportando di seguito alcuni dei punti pubblicati nel Piano presentato dal Ministro Gualtieri alla Commissione Bilancio della Camera nella sezione 11 Parte II del Documento, denominata “Sanità e Politiche Sociali”.

“Con riferimento al settore “sanità e politiche sociali”, riconducibile prevalentemente alla missione n. 6, Salute, appare necessario adottare misure volte a:

    • b) assicurare l’organizzazione di una nuova rete territoriale di assistenza che comporti un ripensamento dell’intera offerta sanitaria e socio-sanitaria, mettendo in relazione professionisti – quali, ad esempio, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialisti, infermieri, psicologi, operatori socio-sanitari, fisioterapisti, farmacisti – strutture e servizi che erogano interventi sanitari e socio-sanitari di tipologia e livelli diversi, attraverso modelli organizzativi integrati e, altresì, mediante la promozione di una medicina territoriale costituita da équipe multidisciplinari composte da figure sanitarie e socio-sanitarie al fine di superare il concetto di ospedalizzazione come principale intervento assistenziale;
    • c) realizzare un nuovo modello organizzativo dell’offerta assistenziale, vicina al cittadino anche in assenza di malattia e imperniata sul concetto di prevenzione primaria e di promozione della salute, intesa come educazione ai corretti stili di vita, alla corretta alimentazione e all’attività fisica, e sul concetto di prevenzione secondaria (screening), attraverso un potenziamento dei dipartimenti di prevenzione in una logica intersettoriale, anche assicurando risorse adeguate per l’attuazione delle disposizioni del Piano nazionale della prevenzione (PNP);
    • d) integrare le politiche sanitarie, sociali e ambientali, al fine di favorire un’effettiva inclusione sociale, attraverso l’integrazione dei servizi offerti, un maggior sostegno alla domiciliarità dei pazienti cronici, fragili e non autosufficienti e la promozione dell’invecchiamento attivo, in modo da garantire, anche a coloro che si trovano in condizioni di non autosufficienza, una vita dignitosa in un contesto relazionale adeguato;
    • l) valorizzare il personale sanitario attraverso un adeguamento degli ordinamenti didattici formativi, prioritariamente per i corsi di laurea in medicina e chirurgia nonché in Scienze infermieristiche, e rivedere la logica dell’aggiornamento professionale in tali ambiti, al fine di adeguarne le competenze ai nuovi bisogni di salute;
    • r) potenziare e accrescere, all’interno di un progetto di rete nazionale, i posti letto di neuropsichiatria infantile e il relativo percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale, investendo contestualmente nella formazione degli insegnanti di sostegno e degli educatori in tema di salute mentale e neuropsichiatria infantile, anche al fine di garantire omogeneità nella rete dei servizi per la salute mentale sul territorio nazionale;
    • s) prevedere il monitoraggio e l’attuazione del “benessere organizzativo” affiancandolo agli indicatori BES (benessere equo e sostenibile), in modo da contemplare, accanto a un “indicatore di esito”, un altrettanto importante “indicatore di sviluppo organizzativo”, nel solco della cultura della valutazione delle politiche pubbliche e della progettazione e gestione delle reti ospedaliere e delle reti assistenziali della medicina del territorio.

Con riferimento al settore delle politiche sociali, riconducibili prevalentemente alla missione n. 5, Equità sociale, di genere e territoriale, appare necessario adottare misure volte a:

    • a) ridurre, nell’ambito dei progetti concernenti le categorie fragili, le disuguaglianze connesse alle condizioni di disabilità, con particolare attenzione alle persone affette da disagio psichico e con dipendenze patologiche e nell’ambito dei progetti di dismissione delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), attraverso misure volte ad assicurare un reale inserimento sociale, scolastico e lavorativo, percorsi personalizzati, capaci di realizzare un welfare “generativo”, e un’efficace integrazione e coprogettazione tra le reti di servizi e con gli enti del Terzo settore;
    • b) mettere in atto le politiche volte a consentire la piena attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, destinando una specifica quota delle risorse per garantire l’accessibilità agli edifici pubblici e privati e a tutti i servizi, per la realizzazione dei progetti di vita indipendente;
    • c) colmare le carenze pubbliche strutturali e qualitative del sistema di accoglienza per le persone con disabilità e dei centri diurni per persone con disabilità e anziani, anche attraverso l’utilizzo del budget di salute per la deistituzionalizzazione, ferma restando l’esigenza di promuovere i progetti di vita indipendente;
    • f) definire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), al fine di garantire adeguata assistenza alle fasce più fragili della popolazione e di promuovere un welfare di comunità attraverso interventi e misure di contrasto alla povertà, alle fragilità sociali e al disagio giovanile, di tutela dell’infanzia, di cura e assistenza agli anziani e ai disabili, di inclusione socio-lavorativa e integrazione degli immigrati.

Proviamo ora a riassumere i concetti salienti: istituzione di equipè multidisciplinari che comprendano la figura dello psicologo; prevenzione della salute intesa anche come educazione ai corretti stili di vita; adeguamento degli ordinamenti didattici formativi delle professioni sanitarie; favorire l’inclusione sociale in contesti relazionali adeguati; garantire omogeneità nella rete dei servizi per la salute mentale sul territorio nazionale; implementare il concetto di “benessere organizzativo”; promuovere un welfare di comunità attraverso interventi di contrasto alle fragilità sociali; ridurre le disuguaglianze connesse alle condizioni di disabilità psichica e fisica.

Sono tutte azioni concrete per le quali il nostro Governo sta richiedendo un investimento economico che potrebbe consentirne una reale attuazione da qui ai prossimi anni.

Parliamo di certezze? Ancora no purtroppo! Il Piano di Ripresa e Resilienza deve ancora passare tutto l’iter di approvazione europeo.

Ma allora perché ne parliamo? Perché è proprio ora che le nostre Istituzioni di categoria dovrebbero diventare interlocutori autorevoli del Governo per trasformare in progettazione reale quanto abbiamo appena letto.

Al momento dal Recovery Fund è tutto … e da oggi, forse, saremo un po’ tutti più interessati a scoprire l’evoluzione del Piano Nazionale.