La possibilità di introdurre in Italia lo Psicologo nei Servizi Sanitari di base è da tempo nei desideri degli addetti al lavori. Sono molti gli psicologi che credono che, nella salute come nella malattia, si debba tener conto della totalità dell’individuo, intesa come unità psicofisica.
Già nel 2007 il Presidente dell’Ordine nazionale degli Psicologi, Giuseppe Luigi Palma, in un’intervista condotta dalla redazione di Almalaurea, sosteneva l’importanza di istituire lo Psicologo di base, dichiarando che “si tratta di dare voce ad un’esigenza sociale, rispondendo ad un preciso bisogno dei cittadini”.
Il 16 febbraio 2010 lo Psicologo di base approda in Parlamento con una Proposta di Legge, la n. 3215, per iniziativa dell’On.le Foti che insieme ad altri firmatari si fa promotore dell’“Istituzione della figura professionale dello psicologo di base”. Tra i diciotto parlamentari firmatari, purtroppo, non si enumera nessun laureato in psicologia e, tra le più svariate formazioni dei deputati, spiccano ben due laureati in medicina e chirurgia.
A sostegno del modello biopsicosociale e del fatto che un’assistenza adeguata a livello primario non possa riguardare solo gli aspetti di tipo biologico ma l’unità psicofisica individuale, sono state condotte alcune ricerche (patrocinate anche dall’Ordine degli Psicologi a partire dal 2007) dal professor Luigi Solano, Docente di Psicosomatica, Facoltà di Psicologia 1 e Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute, Università di Roma “La Sapienza”.
Nel corso di 10 anni le sue ricerche hanno visto come protagonisti 11 psicologi qualificati, specializzandi della Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute della Sapienza di Roma, che hanno ricevuto i pazienti insieme ad un Medico di Base, in un giorno fisso della settimana, in studi di Roma e di cittadine limitrofe. Complessivamente, ciascuno dei colleghi è entrato in contatto con circa 700 pazienti dei 1500 iscritti presso ogni medico.
A seguito di questa esperienza è partita in Veneto, nel settembre 2012, una seconda sperimentazione, nel Comune di Carmignano di Brenta. In questo caso sono coinvolte una UTAP – un centro che aggrega diversi medici di base che lavorano insieme – e una cooperativa sociale privata, attiva da oltre vent’anni nel territorio di Vicenza nel campo delle dipendenze e della consulenza psicologica. Le istituzioni coinvolte hanno avviato una collaborazione con i medici di famiglia ed hanno attivato un ambulatorio con quattro psicologi, che tre volte alla settimana ricevono gli utenti inviati dai medici di base, presenti alla visita se il paziente ne fa richiesta.
I desideri possono realizzarsi: l’Italia è pronta ad accogliere gli psicologi nei servizi di base?
La letteratura scientifica sull’argomento sostiene ormai da diversi anni l’importanza del nostro ruolo professionale nei servizi di medicina primaria, sia sul piano della prevenzione che della cura.
Per nominarne solo una, la ricerca svolta da Magill e Garret (1988), sottolinea che il 60% di richieste totali di visita per problemi di salute connessi ad un disagio mentale sono rivolte al medico di base e solo il 21% sono rivolte agli esperti della salute mentale, tali dati peraltro, sono stati confermati anche dalla Divisione della Salute mentale dell’Oms, sulla base dei resoconti di molte nazioni.
Inoltre, sappiamo che gli interventi preventivi rivestono un ruolo di fondamentale importanza nella riduzione della spesa pubblica sanitaria, ma urge nel nostro paese, un auspicabile quanto necessario, passaggio culturale che riconosca come fondamentale il ruolo degli psicologi nella tutela della salute. Ciò consentirebbe, peraltro, di garantire il lavoro a molti colleghi che, attualmente, hanno grandi difficoltà a trovare un’occupazione.
Dal desiderio alla realtà: alcuni articoli degni di nota della legge n.3215.
Art.lo 2.Comma 3. Lo psicologo di base provvede alla formulazione di una diagnosi e alla valutazione dell’opportunità dell’assistenza psicologica. La diagnosi e la valutazione possono essere altresì effettuate da uno psichiatra o neuropsichiatra dell’età evolutiva ovvero da uno psicologo clinico che forniscono, altresì, le indicazioni necessarie a definire il progetto psico-terapeutico.
>> ‘ovvero’ rivela una chiara confusione sui ruoli professionali e l’incompetenza dei firmatari…
Art.lo 3. Comma 2. Possono essere iscritti negli elenchi di cui al comma 1 i professionisti in possesso dei seguenti requisiti: a) iscrizione all’ordine degli psicologi da almeno dieci anni o all’ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri
>> Come è possibile? Per gli Psicologi è necessaria un’iscrizione all’Ordine da almeno dieci anni, mentre per i medici chirurghi e odontoiatri che non hanno nessuna formazione in ambito psicologico, è possibile un passaggio immediato?
ART. 6. (Clausola di salvaguardia finanziaria). 1. All’attuazione delle disposizioni della presente legge si provvede nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente (…)
>> sappiamo tutti che, allo stato attuale, i limiti della spesa sanitaria pubblica non ci permettono di sperare in un congruo contributo economico per l’assunzione di una schiera di psicologi di base su tutto il territorio nazionale, anche se è accertato che possono contribuire alla prevenzione e alla diffusione del benessere sociale.
Così titola l’articolo di Dario Di Vico sul Corriere della Sera di Giovedì 4 Luglio 2013:
Psicologi contro la crisi. Quota 100 mila nel 2016. Utili alla sanità, ma non ci sono soldi per pagarli”. Un ulteriore e utile contributo per la riflessione inerente lo Psicologo di Base.
Voi cosa ne pensate: il desiderio può trasformarsi in realtà? In che modo?
“Ovvero” dell’art. 2 comma 3 va inteso come “OPPURE”; è linguaggio giuridico, attenzione a cercare ogni pretesto per commentare negativamente.
Per il resto condivido, non ho nulla da aggiungere…
Penso che la confusione sia proprio nella implicita intercambiabilità dei ruoli, come se psicologo clinico o neuropsichiatra fossero la stessa cosa.
Ovviamente non si muove foglia che Dio non voglia. Se v’è una vaga ipotesi di vantaggio per gli psicologi bisogna minimo minimo condividerla con i nostri cari colleghi medici.
Ti ringrazio per la precisazione di carattere giuridico.
In ogni caso,considerando “OPPURE”, non si capisce per quale ragione lo psicologo di base che è abilitato alla diagnosi dovrebbe interpellare per questo un altro psicologo.
In vista dell’efficacia e dell’efficienza dell’operato dello psicologo di base e, perchè no, delle aspettative di chi come me lo auspica da almeno 15 anni (ne parlavo e lo auspicavo molto prima del 2007) credo dovrebbero essere valutati anche l’anzianità dell’iscrizione all’ordine e titoli di esperienza e formazione
Anch’io sono d’accordo con questa posizione. Io mi trovo senza lavoro.
Fabio, il significato è ancora più pesante, se prendiamo (come concordo che sia) l’accezione giuridica dell'”ovvero”: implica che, a poter valutare l’accesso o la necessità di assistenza *psicologica*, sia anche un non psicologo. Ulteriore aspetto di rischio di dequalificazione…
Rispondo a te e a Giuseppe Fucilli: non condivido il testo, sono assolutamente della vostra opinione (non si può non esserlo); per me è una conferma di come il nostro sia un Ordine debole fin dalle origini (è nato con il peccato originale): ammettere sociologi e pedagogisti per qualche non chiara anzianità e senza titoli penso sia un “vizio” che ci porteremo dietro per anni. Secondo voi gli avvocati fanno iscrivere i laureati in sociologia o scienze politiche? I medici fanno iscrivere i farmacisti?
Questo non è sicuramente il motivo per cui ci usurpano le competenze, ma è un’eredità pesante…
Aloha!
Cara Valentina, condivido!
Sappiamo per certo quanto la psicologia può incidere sui contesti di vita quotidiana (numerose sono le verifiche/ricerche disponibili) e che può abbattere la spesa farmaceutica, ridurre il numero delle assenze dal lavoro e aumentare la produttività.
Per arrivare all’obiettivo “desiderabile” di essere inseriti a pieno titolo nel SSNN, dobbiamo diventare molto più forti nel confronto con i nostri interlocutori,istituzionali e non. La nostra professione deve compattarsi e finalizzarsi a questo cambiamento, solo così, potremo assumere quel peso politico che manca totalmente alla nostra categoria.
La chiamarono “Patursa”: sembra il nome di una Strega e non c’è proprio da stupirsi, visto il momento storico che l’ha battezzata! In realtà il nome piaceva al Dott. Almenar, medico astronomo, che volle ricordarne la nascita, invocando le influenze astrali della “migrazione di Saturno verso Ariete” (dalle iniziali delle parole Passio Turpis Saturnia),avvenuta poco tempo prima (25 novembre 1484). Un’interpretazione di tutto rispetto al passo coi tempi, niente meno di ciò che oggi, invece, definiremo approccio integrato tra i sintomi del corpo, i desideri della mente e l’influsso degli dei. Questa congiunzione era tra l’altro avvenuta sotto il segno zodiacale dello Scorpione, che nelle tavole anatomo-astrologiche del tempo presiedeva agli organi genitali: così la precisione del metodo d’analisi appariva lampante! A dire il vero, non tutti furono d’accordo nel battezzarla con questo nome, anche se in effetti nessuno metteva in dubbio la congiunzione tra i due pianeti “nefasti” per eccellenza Marte e Saturno. Lei, pur discreta e riservata, si era anche fatta strada tra i salottini intellettuali dei Palazzi, camminando per gli sfarzosi corridoi rinascimentali, trascinando le sottili vesti con la mano, lasciandone intravedere le sue generose movenze, aumentando così il suo fascino proibito e strano. Curiosando di stanza in stanza, ascoltava i lamenti e chi di patimenti d’amore parlava; di insuccessi e di mirabili amplessi tra le lenzuola; di fughe di amanti e di amori infranti; dei buoni e cattivi costumi tra la gente e del mal conseguente; di mal francese o di mal italiano, così il suo nome fu,a lungo,chiamato invano anche da chi si travestiva e camminava mano nella mano. A un bel momento, un certo Gerolamo Fracastoro, anche lui contagiato dal suo fascino irrompente e ambiguo, con l’approccio più moderno mai visto prima, la circuì, fino a dedicarle un libro, alludendo alla nascita di quel fatidico incontro che ancora oggi maledice e condanna le sue antiche ragioni d’esistere. Cosi alla Patursa cambiarono nome e fu chiamata “malattia”.
Mi spiace dover essere tranchant, ma dopo anni che ne sento parlare ho tratto la conclusione che lo psicologo di base non ci sarà mai in Italia, non c’è da perder tempo a sperarci. E non solo per motivi economici o per la storica rivalità con la figura del medico. Lo “psicologo italiano” è una cosa diversa dallo psicologo tout court di altri paesi (non per niente ce ne sono così tanti solo in Italia). Intanto vediamo come “nasce”: nasce con la creazione di un’Ordine per motivi molto vari, anche politici, per lo più indipendenti dalle esigenze professionali (esistevano psicologi e psicoterapeuti prima dell’istituzione dell’Ordine e costituivano una frangia piuttosto marginale del panorama sanitario, anche se sicuramente riecheggiavano in essi istanze di innovazione e di ribellione). La creazione dell’Ordine fu voluta per volontà politica di aiutare queste istanze, ma anche di normalizzarle e controllarne i fermenti: lo si vede dalle conseguenze, ovvero la creazione di un mercato privato di scuole di psicoterapia parallelo alla formazione pubblica e la degenerazione con l’esplosione di professioni psicologiche extraordinistiche (counselor ecc.). Quindi non lo “psicologo di base”, ma la “base di psicologi” che risulta economicamente utile solo al mercato della formazione. Le spinte dinamiche di cambiamento date da questa base di psicologi sono ancora lontane dal penetrare nella società italiana, in cui vigono tuttora stereotipi e pregiudizi antichi sulla psicologia. Gli psicologi attualmente pensano che questo stato di cose si possa rovesciare, ma è illusorio, come è illusorio il progetto, evidentemente scollegato dalla realtà politica. sociale e culturale del nostro paese, di creare ex novo la figura improbabile dello psicologo di base. Né bastano certamente corsi, seminari e volontariato degli psicologi per cambiare la mentalità di una nazione. Che cosa possono fare gli psicologi in questa situazione? E’ evidente che una opzione è agire politicamente con una pressione di lobby, come fa Altrapsicologia, cosa però a mio avviso non funzionerà innanzitutto perché non c’è una unità di intenti e ispirazione all’interno del mondo psicologico italiano, non c’è un’identità professionale netta e la cultura psicologica veicolata è molto lontana dal sentimento comune, a meno di non appiattirsi sul “volemose bene” italico. Credo invece che si debba prendere atto del fatto che la psicologia italiana vada fortemente ridimensionata a partire dalle università e di conseguenza studiate appropriatamente ipotesi praticabili di inserimento degli psicologi esistenti nel mercato del lavoro.
Dada, credo che in risposta alla tua puntuale e condivisibile ricostruzione della condizione degli psicologi in Italia, possiamo scegliere di fare due cose: accettare passivamente che la politica professionale sia a servizio di lobbies di potere e lasciare così che gli psicologi siano, soprattutto, garanzia di lavoro per le Università e le scuole di Formazione o credere in un cambiamento che ci veda tutti protagonisti, capaci di scegliere attraverso il voto alle elezioni Ordinistiche, i programmi e le azioni di politica professionale che, oltre a dare dignità agli psicologi, diano reale slancio all’innovazione e a nuovi e realistici scenari professionali. Non possiamo più essere solo osservatori!
Con me sfondi una porta aperta. Ma ti rendi conto che la stragrande maggioranza degli psicologi non partecipa alle votazioni? Ti sei chiesta perché?
Certo che me lo sono chiesta!
E quando mi sono data delle risposte…mi sono fatta un’altra domanda: “Che contributo posso dare per invertire la rotta?”
E come mai pensi che la rotta possa essere invertita?
Dada, non so se la rotta può essere invertita.
Ma ritengo alcune cose…
Che tra il limitarsi a osservare la deriva della barca in maniera passiva e fatalista, e il tentativo di raddrizzarne duramente la direzione, mi sento più a mio agio nel vivere e sperimentare la seconda esperienza rispetto alla prima.
E che se pure fallisco, comunque il danno non sarà mai peggio di come sarebbe se non facessi assolutamente niente; pertanto abbiamo solo da guadagnarci, provando.
E che quando ci si è provato con passione, rigore e lucidità, il cambiamento concreto è avvenuto: vedi alle ultime elezioni ENPAP, dove nessuno ci avrebbe mai scommesso, ma migliaia di colleghi sono andati a votare ed a costruire un cambiamento concreto.
E quindi non so se la rotta cambierà, ma so che vale – eccome – la pena di provarci; e che a volte – nei fatti – vi si riesce davvero.
Ciao,
Luca
Non devi convincere me, ma i colleghi che non votano.