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o.69362AltraPsicologia Piemonte sta tenendo alta l’attenzione sulle pericolose manovre politiche volte a ridurre sempre più il ruolo degli psicologi all’interno delle equipe che si occupano di riabilitazione attraverso strutture residenziali, sia ad alta che bassa protezione. In questo articolo, vorremmo darvi alcuni elementi per capire meglio la situazione, un breve excursus storico della legislazione in materia e, come al solito, alcune riflessioni sul perchè si è arrivati a questa “emergenza”.
 
Tale problema è condiviso da molti colleghi, perlopiù giovani laureati, che cercano un primo impiego , ma no solo, il problema riguarda anche psicologi che già da tempo, per necessità o scelta, lavorano nei servizi. Ma è una storia lunga. L’emergenza dell’oggi, ha solide basi nella vacuità nella quale le nostre istituzioni, in primis il nostro Ordine Psicologi Piemonte, ha lasciato che le cose arrivassero al punto in cui oggi ci troviamo. Un punto certamente critico e molto pericoloso per la situazione occupazionale della comunità professionale.
 
Un pò di (utile) storia: Dal punto di vista normativo c’è molta confusione, perché si sono susseguite una serie di delibere regionali, a volte in contrasto con le normative nazionali.
La possibilità per gli psicologi di lavorare come educatori nella residenzialità è stabilita dalla D.C.R. 357-1370 del 28 gennaio 1997, nella quale (ai diversi comma relativi alle differenti tipologie di struttura) si delibera che sino al 30% del personale inquadrato come educatore può essere ricoperto da altre figure professionali, fra i quali i laureati in psicologia (ma anche i diplomati in educazione fisica e alle scuole magistrali…..).
 
Successivamente, la figura dell’educatore professionale nei servizi sanitari e sociali è stata normata da una valanga di delibere e leggi regionali; la principale è la L.R. 1/2004 (8 gennaio), che nell’articolo 32 al comma 1 stabilisce i titoli necessari per esercitare il ruolo di educatore nei servizi. L’inquadramento come “educatore professionale” è consentito, a detta di tale legge, solo a chi è in possesso dei seguenti titoli:
a) diploma o attestato di qualifica di educatore professionale o di educatore specializzato o altro
 
titolo equipollente conseguito in esito a corsi biennali o triennali post-secondari, riconosciuti dalla
 
Regione o rilasciati dall’università;
 
b) laurea in scienze dell’educazione-indirizzo educatore professionale extrascolastico, indirizzo e
 
curriculum educatore professionale;
 
c) laurea di educatore professionale conseguita ai sensi del D.M. 8 ottobre 1998, n. 520.
 
Per maggiore chiarezza, le cito un brano testuale dalla Delibera 94 – 13034 del 30 dicembre 2009
, “Indicazioni in merito al personale con funzioni di educatore professionale
 operante nei servizi sanitari, socio-sanitari e sociali della Regione Piemonte.”
Nel quadro generale di riordino dei servizi sociali la questione del personale operante nei servizi
 
stessi è stata considerata di primaria importanza: la legge regionale, pertanto, in carenza di un
 
normativa statale di riferimento ha inteso, con l’art. 32 “Personale dei servizi sociali”, dare alcuni
 
elementi di certezza al sistema dei servizi sociali regionali, tenendo conto che tale settore fa i conti,
 
a livello generale, con un sistema professionale assai fragile e un mercato del lavoro frantumato.
 
Ai sensi del citato art. 32, comma 1, pertanto, la Regione individuava le seguenti figure
 
professionali dei servizi sociali:
 
a) gli assistenti sociali;
 
b) gli educatori professionali;
 
c) gli operatori socio-sanitari e gli assistenti domiciliari e dei servizi tutelari;
 
d) gli animatori professionali socio-educativi.
 Come si può bene vedere, niente psicologi.
 
Vuoto legislativo. Il “gap” si è venuto a creare sia a causa di un vacuum legislativo intorno alla figura dell’educatore professionale (che in seguito a ripetuti riassestamenti dei percorsi formativi è divenuta sempre più ingarbugliata…le basti pensare che si sono create due classi di formazione differenti per chi opera in ambito sociale e per chi opera in ambito sanitario….alla faccia dell’integrazione!), sia a causa di incongruenze fra leggi statali e regionali; la L.R. 1/2004, art.32, c.1 e 2, è stata infatti contestata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel marzo 2004, ritenendo che la Regione avesse legiferato su un ambito non di sua competenza (per capirci: la Regione Piemonte aveva istituito una serie di norme che avrebbero creato incongruenza con quelle delle altre Regioni). La Regione Piemonte ha quindi risposto con la D.G.R. n. 30-3773 del 11 /09/2006 sostenendo che, quanto riferito nella L.R. 1/2004 era da intendersi “in via transitoria e a fini meramente ricognitiva”.
 
Aggiungiamo noi: peccato che già allora molti psicologi lavorassero con qualifica di educatore; sono sfuggiti alla ricognizione???
 
Si sono quindi susseguite varie proposte volte a integrare e/o modificare la D.C.R. 357-1370, soprattutto nell’ottica di stabilire criteri idonei all’accreditamento. Fra queste, l’ultima è la D.G.R. n. 63-12253, del 28 settembre 2009, nella quale sono definite le caratteristiche delle strutture rivolte a persone con disagio psichico ed a persone con patologie da dipendenza con o senza sostanze, che ricadono tutte nell’ambito sanitario. E nella quale non si fa menzione delle differenze fra educatore e psicologo.
 
Il problema è quindi sollevato dalle normative legate alla definizione del ruolo di educatore. Per dirla in breve, non è teoricamente possibile assumere uno psicologo con un contratto che lo definisca “educatore”; dovrebbe essere assunto come “psicologo”, ma questo gli impedirebbe di svolgere le mansioni educative. C’è un vuoto fra la 357-1370 e la DGR 30-3773.
 
Per “superare” la 357-1370, è stata recentemente avanzata una proposta da parte di alcuni consiglieri regionali facenti capo al gruppo Progett’Azione (trova maggiori informazioni in merito sul nostro sito) che, per “tagliare la testa al toro”, nei fatti elimina gli psicologi tout-court dai servizi residenziali, anche da quelli “leggeri” (gruppi appartamento, che rimanevano sotto una normativa differente perché considerati non completamente di competenza sanitaria, essendo principalmente unità abitative).
 
Molte cooperative continuano comunque ad agire diversamente da quanto le normative prescrivono, in attesa che si faccia chiarezza; altre preferiscono non rischiare eventuali sanzioni o intoppi in seguito a controlli.
 
 
 
Cosa stiamo facendo? Come AltraPsicologia ci stiamo muovendo su più fronti.
Insieme ad un gruppo di colleghi, stiamo lavorando in primis per sollevare il problema agli estensori di tale delibera e a chi dovrà valutarla e, si spera non succeda, approvarla così com’è. Il lavoro sul fronte politico quindi procede serrato. Stiamo lavorando, insieme ad altri soggetti, per proporre modifiche alla delibera, in modo da scongiurare, o perlomeno minimizzare, il danno verso la categoria degli psicologi.
 
Sono inoltre stati presi contatti con Confocooperative e con Legacoop (che non sono mai state contattate in tutti questi anni dal nostro Ordine), due soggetti istituzionali che rappresentano gran parte del mondo cooperativistico piemontese. Su questo fronte si sta anche qui portando alla loro conoscenza il problema visto che, di fatto, non ne erano al corrente. Gli incontri e i contatti procedono spediti. Vi terremo aggiornati.
 
Qualche riflessione finale
 
Un emergenza che non è un’emergenza. Un aspetto, tra i molti, ci colpisce in questa situazione. La totale mancanza di tutela e di proattività del nostro Ordine regionale. Nel nostro breve excursus storico, si è visto come sia una storia partita molti anni fa.  Il problema  quindi non è da inquadrare nell’ottica dell’emergenza, quanto piuttosto dellinedia istituzionale del nostro Ordine Psicologi Piemonte. Se cercavamo ulteriori prove, le abbiamo trovate.
 
Non ne sapevano nulla? Non sapevano che la gran parte dei colleghi lavora per le cooperative nel settore socio-assistenziale? non sapevano che gran parte dei colleghi è inquadrato come educatore?
 
Mettiamola così: nel famoso libretto che tanto si prodigarono di inviarci a nostre spese (costo dell’operazione 25 mila euro), la ricerca sulla professione di Bosio per capirci, che risale al 2008, quindi cinque anni fa, i dati parlavano chiaro. Bastava leggerlo. Più del 16% del campione dichiarava di lavorare presso associazioni o cooperative nel settore socio assistenziale e, questo 16%, era inquadrato come educatore. Era tutto scritto. Peccato che non l’abbiano letto.