Mi è accaduto varie volte di incontrare per strada qualche gruppetto di colleghe libere professioniste che correvano trafelate “a fare i punti”. Mi spiegavano ansimanti che c’era un corso su un argomento per il quale non avevano alcun interesse, ma che aveva il pregio di erogare crediti ECM; bastava sopportare la noia e sedersi vicino a qualcuno con cui chiacchierare, non senza avere preventivamente individuato un conoscente (di solito di sesso maschile, il contrario di quel che succedeva a scuola) disposto a compilare anche i questionari di chi non era stato attento.
Visto che alcune di loro non lavoravano per pubbliche amministrazioni, mi sono sempre chiesta a chi esibissero i crediti conquistati a prezzo della rinuncia a eventi per loro ben più interessanti ma non accreditati ECM. Penso che non lo sapessero neanche loro.
D’altro canto, i colleghi che non hanno mai smesso di lavorare sul loro lavoro, quindi quelli che studiano, si confrontano, traggono beneficio dallo scambio con altri, spesso nemmeno si curano di annotare le loro attività formative né di ritirare o inserire in un’apposita cartellina gli attestati di partecipazione a corsi e convegni selezionati in base a interesse e utilità.
L’attuale versione dell’art.5 del Codice Deontologico, del resto, già prescrive che lo psicologo sia “tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera”. Ma come dimostrarlo? E’ ovvio che un curriculum chilometrico in cui si sono annotate tutte le giornate di studio, conferenze, congressi cui si è partecipato di per sé attesta solo una lodevole attitudine compilativa.
La nuova formulazione dell’art.5 che siamo chiamati ad approvare ribadisce l’obbligo per lo psicologo di formazione e aggiornamento professionale “con particolare riguardo ai settori in cui opera”. Il passaggio dal singolare al plurale, da “settore” a “settori” registra un fenomeno attuale di expertise dello psicologo in diversi settori d’intervento. L’obbligo di dimostrare l’aggiornamento in ciascuno di essi dovrebbe indurre qualche opportuna revisione delle carte intestate di chi, non aderendo all’adagio “less is more”, vi inserisce una lista di titoli “esperto in” da far invidia a un premio Nobel, come se da un corso semestrale frequentato nel 1998 derivasse una competenza sempreverde.
Ma c’è di più. La nuova versione dell’art.5 recepisce la disposizione normativa contenuta nel DPR 137/2012 in materia di aggiornamento professionale, stabilendo che la violazione dell’obbligo di formazione continua determini un illecito disciplinare che deve quindi venire sanzionato.
Non che prima non sussistesse lo stesso obbligo, ma vi era un’indeterminatezza che doveva venire corretta: infatti un singolo Consiglio di un Ordine degli Psicologi non necessariamente include, nelle persone dei consiglieri, tutte le possibili competenze dello psicologo ed era quindi probabile che un determinato Consiglio non fosse in grado di cogliere un particolare difetto di expertise o accettasse una documentazione che agli occhi di un esperto sarebbe di scarso pregio. Per ovviare a questo inconveniente, gli Ordini saranno obbligati a emanare dei Regolamenti destinati a rendere più “oggettiva” e più facilmente verificabile la dimostrazione dell’aggiornamento.
Vi sarà dunque nuovamente un sistema basato sui crediti, ma sarà, auspicabilmente, più ricco e pertinente rispetto al sistema ECM, in cui i crediti potevano venire accumulati secondo la modalità di una raccolta punti che spesso somigliava a una specie di vendita delle indulgenze.
In linea di principio, questo metodo, che è pensato per incentivare la qualità e competitività dei servizi professionali, potrebbe assicurare ai prodessionisti diversi vantaggi. Uno di questi è la diminuzione dei costi, visto che molti eventi accreditati – come la formazione deontologica – saranno erogati dagli Ordini. E poi i professionisti potrebbero essere messi in grado di comporre un proprio pacchetto personalizzato di crediti composto da un complesso di attività differenziate: oltre ai corsi ECM, lo studio, la produzione di testi, la didattica, la supervisione, l’approfondimento di nozioni di altre discipline necessarie per operare nel proprio ambito di competenza e così via.
Si tratterà di vedere come e con quali passaggi e criteri il principio verrà tradotto in Regolamento attuativo da parte del Consiglio Nazionale dell’Ordine. Molti crediti agli estensori se, nella traversata dal dire al fare, il Regolamento non smarrirà la rotta.
Dott.ssa
Vorrei alcune delucidazoni. Chi per esempio per campare fa l’educatore e non ha piva aperta che deve fare? Rimanendo l’obbligo di iscrizione all’Albo ma amministrativamente rimanendo uno psicologo “silente” che deve fare? Si “aggiorna” anche se non usa l’aggiornamento obbligatorio?
Be’, in realtà non c’è obbligo di iscrizione se non si esercita la professione di psicologo, quindi in linea di principio ci si può cancellare e iscrivere nuovamente se si decide di ricominciare a esercitarla: è sufficiente mantenere i requisiti che consentono l’iscrizione. Presumo però che un collega che resta iscritto pur non lavorando come psicologo consideri la propria inattività professionale temporanea.
Ora, è logico che siano previsti degli esoneri per lunghi periodi di inattività professionale (vorremo pur permettere alle colleghe di avere bambini!), che probabilmente dovranno venire autorizzati dietro istanza motivata al proprio Ordine. Non so come ci si regolerà per colleghi che, poniamo, restino inattivi per un periodo molto lungo, ma ipotizzo che fino a quando i requisiti per l’iscrizione resteranno quelli attuali, le cose debbano funzionare esattamente come nel caso in cui ci si cancella o poi ci si iscrive nuovamente.
A parte gli aspetti regolamentari, che fatalmente non saranno mai del tutto soddisfacenti, forse saremo più portati a interrogarci sul nostro personale desiderio e interesse. Ci sarà chi vivrà la formazione obbligatoria come una vacanza dall’affanno quotidiano e chi la percepirà come un onere inutile e dovrà fare un calcolo del rapporto tra costi e benefici. Vedremo…
Scusami collega, ho capito bene? Questo è l’epilogo di tutto questo ragionamento? Te lo riporto
“A parte gli aspetti regolamentari, che fatalmente non saranno mai del tutto soddisfacenti, forse saremo più portati a interrogarci sul nostro personale desiderio e interesse. Ci sarà chi vivrà la formazione obbligatoria come una vacanza dall’affanno quotidiano e chi la percepirà come un onere inutile e dovrà fare un calcolo del rapporto tra costi e benefici. Vedremo…”
Qui c’è bisogno di risposte PRIMA di votare e non promesse su un forse, considerazioni “analitiche” in relazione a questioni normative.Ma scherziamo o cosa? Introduci la logica del desiderio in una materia in cui il legislatore parla ovviamente di ricadute pratiche giornaliere che incidono sulla vita di un cittadino? Ma scherziamo? Io delego qualcuno perché mi dica, assumendosene la responsabilità, PRIMA cosa farà o non farà, non perché rimandi alle mie considerazioni di coscienza una scelta che giustifichi ex-post le sue scelte normative. Fate così; fate un sondaggio e decidete una linea, sottoponetela poi ad un referendum e vedremo che cosa pensa la comunità…… ., Personalmente non farò alcuna coniderazione di “desiderio”. Siete stati eletti; dunque decidete e assumetevi le responsabilità delle decisioni prese. Se la comunità non vi segue andatevene a casa!
Bianchini, ti rivolgi in un modo così maleducato ad una collega che si dà la pena di informarci e gentilmente risponde ad una tua domanda? ma vai a casa te, va. Il solito vizio psicologhese della pretesa e della lamentela ovunque e comunque.
Io ho apprezzato molto questa parte di risposte relativa al desiderio: ci rammenta che alla fine non è il mondo esterno ad essere buono o cattivo, ma dipende molto da come siamo noi e da cosa vogliamo. Chiarirsi su questo è chiarirsi su tutto. Scaricare questo compito agli altri vuol dire aver perso di vista la posizione soggettiva che lo psicologo deve mantenere.
Grazie all’autrice.
Ritengo che gli psicologi, nell’autodefinizione delle procedure specifiche proprie riguardo all’aggiornamento professionale, non debbano dipendere dalla medicina. Se non sbaglio la sigla ECM sta per “educazione continua in medicina”. Forse i tempi sono maturi per cominciare a introdurre qualcosa di simile a una sigla quale ACP che stia per “aggiornamento continuo in psicologia”.
Apprezzo questo blog poiché spero possa contribuire a far emergere un dibattito, fra gli psicologi italiani, riguardo le possibili modalità di aggiornamento professionale: concordo con l’idea che la partecipazione a un convegno – magari per alcuni allettante esclusivamente alla luce dell’offerta di crediti – non garantisca l’avvenuto aggiornamento.