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Abbiamo solo seguito il regolamento.

Così la Presidente dell’Ordine dei Psicologi dell’Emilia-Romagna Anna Ancona spiega la ragione per la quale l’ente da lei presieduto ha concesso il patrocinio al convegno del neocatecumenale Massimo Gandolfini, considerato uno dei fautori del Family Day e di Marco Scicchitano, noti per le loro posizioni decisamente “morbide” sulle terapie riparative dell’omosessualità.

Al di là del bene e del male, dunque, o al di qua di qualsiasi scelta di merito. Del resto presentarsi come burocrati, meri esecutori di regole da se stessi o da altri decise è una delle giustificazioni storicamente più utilizzate per spiegare nefandezze piccole o grandi.

Certo, sarebbe iperbolico e forse poco appropriato ricordare quanto questa giustificazione assomigli a quelle raccontate magistralmente da Anna Arendt e rievocando il processo di Norimberga. Eccessivo sarebbe anche ricordare l’introduzione alla questione della colpa di Jaspers quando si sottolinea il pericolo del “botton pushing”, quel meccanismo di deresponsabilizzazione per il quale chi prime semplicemente un pulsante – o concede un patrocinio – non ha di fatto alcuna responsabilità nel merito di ciò che viene patrocinato o delle conseguenze ultime che derivano dal fatto di premere quel bottone.

Però.

Però che proprio degli psicologi, che si sono profondamente nutriti di quegli insegnamenti lasciati dalla storia confondano il ruolo dell’amministratore con quello del burocrate, spogliandosi così di ogni responsabilità rispetto a quanto avviene sotto i propri occhi, questo non è tollerabile nemmeno su questioni minime come il patrocinio di un convegno.

Il patrocinio etimologicamente fa capo alla protezione del “patronus” e, ancora prima dalla radice “pater”, ovvero da un atto di parola che rivela la protezione di un’istituzione o di un personaggio autorevole che rappresenta la benedizione di un padre verso un figlio simbolico. Ben più quindi di una condivisione. Ma anche infinitamente più di un atto di segretariato consistente nella verifica regolamentare che le carte siano in regola.

Non a caso anche le amministrazioni locali, di centro-destra e centro-sinistra, si confrontano con il tema dei patrocini ai vari (gay)pride e dall’altro capo alle manifestazioni dei vari “Giuristi per la Vita”, “Manif pour tous”, Family Days a protezione delle famiglie tradizionali – e contro quelle meno tradizionali.

Peraltro l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna ha preso in passato posizione ferme du queste questioni. Come anche l’Ordine della Lombardia da me a suo tempo presieduto. Come tutti gli Ordini Psicologi regionali il Consiglio Nazionale. Come l’APA statunitense. Da sempre e da tutte le istituzioni è stata presa posizione sostenendo l’illegittimità delle terapie riparative e l’obbligo di rispettare l’identità e l’orientamento sessuale dei pazienti degli psicologi.

E’ l’unico Ordine che a suo tempo ha radiato un omofobo, quel Tiziano Tubertini che si augurava il ripristino dei forni per le famiglie arcobaleno e che ha poi ampiamente sostenuto – e strumentalizzato – il diritto di esprimere una posizione dissenziente (omofoba), e di essere vittima di una crociata da parte della lobby gay e a favore del pensiero unico.

Vecchie storie.

Ma il peccato di Anna Ancona e della maggioranza Aupi dell’Ordine dell’Emilia Romagna non è stato certo l’omofobia o l’intolleranza. Semmai la rinuncia ad esprimere una posizione che vada al di là dell’automatismo delle regole. Il nascondersi dietro la foglia di fico dell’esercizio di una burocrazia acefala.

Il contrappasso degli ignavi secondo Dante dovrebbe essere quello di inseguire una bandiera, una qualunque, pungolati dalla puntura di vespe a sostituire una passione così profonda da essere quasi automatica.

Perché – e su questo Dante la sapeva lunga – in fondo il desiderio, o la dialettica tra desiderio e ragione, tra passione e colpa riesce ad essere più tutelante di qualsiasi automatismo burocratico. Che invece è in grado di produrre mostri.