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Alcuni giorni fa il presidente della Società Psicoanalitica Italiana, Sarantis Thanopolus, spiazzando gran parte della comunità scientifica e professionale, ha inviato una lettera alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni paventando un uso improprio di farmaci con adolescenti con disforia di genere.

Dico spiazzando perché è alquanto improprio che una discussione, legittima sul piano scientifico come se ne conduce su tante condizioni di interesse psicologico, si sposti con un volo così pindarico sul piano politico.
Ed infatti a tale lettera sono seguite immediate prese di posizione di opposto parere, di diverse società scientifiche e associazioni.

Noi stessi abbiamo avuto un primo “moto emotivo” che ci spingeva a dire velocemente qualcosa.
Ma saremmo caduti forse in una dinamica di collettivo acting out, in cui ci si esprime più con la pancia che con la ragione.
Laddove invece adolescenti sofferenti, famiglie confuse, cittadinanza acerba sul tema, chiedono al mondo scientifico e professionale di essere un faro che chiarisce la strada, non un’arena da cui uscire pieni di lividi.

Il tema del blocco farmacologico della pubertà è uno di quei grandi interrogativi che la scienza pone all’etica: come la procreazione assistita, l’eutanasia, la selezione genetica.

Temi che vanno maneggiati con cura aiutando le persone a capire, calibrando il linguaggio in base a chi lo riceve, senza allarmismi e senza ideologie.

Non condividiamo il tono e il contenuto della lettera del dr. Thanopolus ma prendiamo spunto dall’ultima frase: è importante avviare rigorose discussioni scientifiche.
Come Altrapsicologia diamo il nostro contributo a partire da questo approfondimento di Paola Biondi

 

Cosa si intende per identità di genere?
Qualunque persona ha un’identità sessuale unica, generalmente stabile nel tempo ma in dinamica evoluzione.
L’identità di genere è solo una delle componenti dell’identità sessuale, che è molto più articolata, sfumata, complessa di quanto si possa credere.
L’identità di genere è la percezione di sé come appartenente ad un genere, a più di uno, a nessuno.
In un sistema binario si fa riferimento solo ai generi maschile e femminile: ragazzo-ragazza, uomo-donna e la scelta ricade su uno dei due. È la condizione della quasi totalità della popolazione di questo pianeta.
Se si assume la cornice di un sistema NON binario le possibilità di identificarsi in un genere diverso da uomo/donna si ampliano e si estendono.
Ci sono persone che si identificano in entrambi i generi binari e si definiscono per es. genderfluid, genderqueer, ecc. Oscillano cioè tra un genere e l’altro, con o senza preferenza per uno dei due, senza alcuna difficoltà.
Ci sono persone che si definiscono non binarie proprio perché non si riconoscono nella dualità obbligatoria del sistema binario, sentono di non essere né uomo né donna, perché i concetti stessi di uomo/maschile/ecc (o viceversa) non li rappresentano o lo fanno solo in parte.
Ci sono persone nell’universo enby (da NB -non binary), per esempio, che non si riconoscono in nessun genere (agender) o in due generi (bigender).
Non tutte le persone che percepiscono un’incongruenza di genere stanno male. Alcune stanno male nei contesti sociali (quindi relativamente a come si relazionano le altre persone, all’uso di un nome non rappresentativo, all’essere scambiate per appartenenti al genere assegnato alla nascita in cui non ci si riconosce), altre stanno molto male per ciò che attiene al proprio corpo, ai propri genitali, alla presenza o assenza di caratteri sessuali primari o secondari.
In quest’ultimo caso parliamo di disforia di genere, condizione non patologica di rilevanza clinica.
Ancora più corretto sarebbe usare solo il termine Incongruenza di genere, con o senza disagio.
Per inciso tale termine nell’ICD-11 (in vigore da gennaio 2022) è stato spostato dal capitolo “Disturbi mentali e del comportamento” nel capitolo “Condizioni relative alla salute sessuale”.
Dopo questa premessa, necessaria per inquadrare il tema, rispetto a quanto asserito nella ormai nota lettera di Sarantis Thanopulos alla premier Giorgia Meloni, ritengo doveroso precisare:

1. È un errore scrivere che la disforia di genere sia il non riconoscersi nel proprio sesso biologico.
Se una persona non si riconosce nel sesso e nel genere assegnato alla nascita (locuzione corretta e preferibile a ‘sesso biologico’) si parla di condizione transgender, perché opposta alla condizione cisgender in cui una persona si riconosce nel sesso e nel genere assegnato alla nascita.
Se parliamo di età evolutiva questa condizione viene identificata come varianza di genere, incongruenza di genere, sviluppo atipico dell’identità di genere (AGIO), gender creative, gender non conforming, genere disarmonico.
La disforia di genere, come scritto in introduzione, è una condizione di disagio e sofferenza profonda dovuta alla propria condizione di varianza di genere, ma non è necessariamente presente e può avere un’intensità differente per ogni persona.

2. Il mittente scrive che “La diagnosi di “disforia di genere” (scritta tra virgolette e non capisco perché) in età prepuberale è basata sulle affermazioni dei soggetti interessati e non può essere oggetto di un’attenta valutazione finché lo sviluppo dell’identità sessuale è ancora in corso”.
Ma tutto il processo diagnostico, l’intero lavoro di consulenza e di terapia, di qualunque condizione, non si basa sui contenuti e le autovalutazioni dei sintomi che le persone ci esprimono?
La psicoanalisi stessa, madre della terapia della parola, fonda la sua tecnica sulle libere associazioni (quindi parole pronunciate da pazienti in base al proprio vissuto).
Quando possiamo dire completo lo sviluppo dell’identità sessuale? Quando i genitali hanno assunto la forma “adulta” che ci si aspetta?
E per le persone intersex che hanno genitali ambigui come funziona? Possiamo dire che sia completa quando l’orientamento sessuale è definitivo?
Ma lo è veramente o lo è sempre o magari cambia solo la propria consapevolezza di esso?
Le linee guida internazionali (SOC8 per chi volesse approfondire il tema) ci dicono che la valutazione viene fatta da professionist3 in équipe multidisciplinare, ovviamente sulla base di autoaffermazioni come in ogni altra valutazione, ma non solo su queste.
Sappiamo anche che l’accesso ai bloccanti ipotalamici (GnRH) viene dato solo dopo accurata selezione e valutazione in base – non solo alle linee guida internazionali e nazionali – ma alla determina AIFA n.  21756/2019, approvata dal Comitato Nazionale di Bioetica il 13 luglio 2018.
Stesso documento che riporta le condizioni stringenti e inevitabili che consentono a pochissime persone in possesso dei requisiti richiesti di utilizzare questo tipo di farmaco (triptorelina), già usato da anni per le condizioni di pubertà precoce.
Al contrario di queste, in cui i soggetti coinvolti sono molto piccoli (prima degli 8 anni nelle persone assegnate femmine alla nascita, prima dei 9 anni per le persone assegnate maschi alla nascita), nel caso di disforia di genere si parla del raggiungimento – come minimo – dello stadio di sviluppo puberale Tanner 2 (ingrossamento di scroto e testicoli, nascita di peli lunghi arricciati alla base del pene, leggero ingrossamento di mammelle e papille, areola più larga, peli lunghi soprattutto sulle grandi labbra). Di fatto quando la pubertà è già iniziata.
Se la triptorelina può essere usata per bambini/e cisgender che sviluppano troppo presto, perché metterla in discussione per adolescenti con disforia di genere?
Se danni, effetti collaterali, conseguenze psicologiche si temono per i secondi, perché non vi è lo stesso allarme per i primi?
A fronte di un rischio suicidario spesso elevato, sospendere la pubertà è l’unico modo per tamponare la sofferenza.
Se è vero che lo sviluppo psicosessuale e corporeo assume un ruolo rilevante e indispensabile nella stessa costruzione identitaria, lo è a maggior ragione quando la sofferenza per la disforia è tale da rendere impossibile vivere il corpo anche nelle esperienze più comuni come lavarsi, toccarsi, vestirsi.

3. Si riporta che ‘Solo una parte minoritaria dei ragazzi che dichiarano di non identificarsi con il loro sesso conferma questa posizione nell’adolescenza, dopo la pubertà’.
Sappiamo bene che comportamenti gender variant nell’infanzia non sono necessariamente indicatori di disforia di genere associata, né predittori precoci di un’identità transgender in età adulta (Drummond, al., 2008), ma non si comprende cosa si voglia implicare concretamente con questa affermazione. Le condizioni di malessere vissute dalle minoranze vanno prese meno in considerazione di quelle vissute dalla “maggioranza”?

4. Nella missiva si lascia intuire che bloccare la pubertà nei casi di dichiarata disforia di genere (sempre tra virgolette) possa influenzare l’orientamento sessuale. Come se un corpo a cui viene impedito uno sviluppo fisiologico possa – per effetto della sospensione puberale – prendere una via differente.
Gli ultimi 40 anni di ricerca sui temi dell’identità sessuale non dicono questo.

5. Per concludere, ciò che viene chiamato “sperimentazione in atto”, ovvero l’uso della triptorelina per minorenni con disforia di genere (quindi off label), è stato approvato, come abbiamo visto, dalla Determina AIFA (n. 21756/2019), ha avuto parere favore da Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) in data 13 luglio 2018 ed è utilizzato frequentemente nella pratica clinica a livello internazionale.

Riprendendo la chiosa di Thanopulus, è importante continuare una rigorosa discussione scientifica, come già la comunità internazionale fa da decenni, a cui l’autore stesso è invitato a partecipare, visto che sembra non essere al corrente di quanto la ricerca a livello mondiale ha studiato, evidenziato, promosso, sperimentato, e porta avanti nei centri clinici più importanti nel mondo sull’incongruenza di genere.