Duecento euro e un manualetto che arriva a casa come a suo tempo accadeva con la Scuola Radio Elettra. Tanto basta, secondo tal Protocollo Discentes, per … avviare anche tu un bel master triennale in counseling relazionale espressivo integrato nella tua città… manca una bella supercazzola, e poi c’è proprio tutto… ci verrebbe da dire…
Tornando all’amara realtà, tutto ciò ci obbliga ad una riflessione! Come siamo finiti in una realtà in cui davvero tutto è possibile?
Il bello è che tutto è a norma di legge, sicuramente, ma che sta succedendo? Qualcosa rende oggi possibile pensare di diffondere le scuole di counseling sul territorio in modo del tutto capillare e a macchia d’olio, anche senza specifiche competenze. Siamo arrivati al rapporto di aiuto del tutto svincolato dalla competenza, dalla formazione professionale, dal passato. E in questa valorizzazione del vuoto, del nulla, del non sapere non c’è molto di nobile, visto che la cosa che viene più sottolineata nel protocollo è che questa “si configura come un’enorme opportunità di fare “impresa” nel sociale”. Come dire, accorrete, c’è grasso che cola.
Non c’è dubbio che quello che colpisce sia una preoccupante, davvero estrema facilità: fare il counselor e perfino il formatore diventa in questa spericolata impresa davvero un gioco da ragazzi. Investimento limitato, grande resa, guadagno sicuro. Il bello è che il counseling è vicino e per certi versi sovrapposta allaconsulenza psicologica che richiede una preparazione di sei anni e mezzo e un esame di Stato.
La proposta di esercitare una professione delicatissima di cura “anche senza competenze” ci riporta a prima del 1989, quando la consulenza psicologica era un fatto di sensibilità e istinto, non di scienza e preparazione, e fa saltare sulla sedia chi abbia qualche interesse nella salvaguardia di quel diritto alla salute che la legge 56 aveva tutelato, riservando l’esercizio delle attività di sostegno psicologico agli psicologi.
Che poi un soggetto privato dichiari che “ci pensa lui” a fornire tali competenze dà la misura del fatto che ci si trovi all’interno di una narrazione personale, del tutto autoreferenziale e ovviamente come tale in potenza estremamente pericolosa per gli utenti. Non ci si rende conto, è evidente. Ma in che modo un privato intenderebbe supplire ad una formazione accademica? In quali tempi? Con quali strumenti?
Difficile chiederlo perché chi organizza queste iniziative alla minima, legittima naturalissima domanda posta sui social si fa subito aggressivo e minaccia querele. Questi sono i tempi. Per fortuna è a buon punto il DDL sull’inasprimento dell’articolo 348 c.p, almeno ci sarà occasione di verificare cosa succede davvero là fuori e chissà mai che qualcuno dei soggetti che mettono a rischio la salute delle persone con troppa leggerezza possa un giorno ricevere la giusta sanzione.
Ma perché non leggo mai di counselor che si incazzano di queste cose? A volte sul blog mi fanno una testa così a spiegarmi che non fanno il lavoro degli psicologi e voglio pure credergli per carità… allora dovrebbero essere i primi a vigilare su queste cose…invece mai che leggessi qualcosa -.-
Nella vostra comunicazione manca una parte che avete tolto ad arte: NESSUNA COMPETENZA RICHIESTA….. POICHè FORNITA DAL CAPOFILA DEL PROGETTO!!!!! MA questo non lo dite perchè dovete fare notizia, vero????
Adesso vi denunciamo e poi ne riparliamo in Tribunale.
Stefano Centonze
Dir. Portocollo Discentes
Gentile dott. Centonze
la ringraziamo per la minacciata azione di denuncia. Ci ha spinto ad approfondire i contenuti e le proposte presentate all’interno del sito web di cui lei si dichiara responsabile legale.
Effettivamente vi sono elementi di interesse per cui, certamente, le confermiamo che ne riparleremo in Tribunale 🙂
Cordialmente
AltraPsicologia
Vorrei avere una informazione: Se si è a conoscenza di Psicologi, che insegnano a non psicologici tecniche e strumenti di esclusiva pertinenza dello Psicologo, cosa è possibile fare?
Inoltre vorrei chiedere cosa oggi è possibile fare per fermare-arginare i “couselor non psicologi”. (semprechè vi siano i limiti legali).
Non mi sembra giusto fare di tutta l’erba un fascio, ci sono scuole di counseling molto validi,come esistono counselor molto validi…Per colpa di persone avide di denaro che utilizzano la formazione e la professione di counsellor solo per fare soldi ,chi lo fa per passione e con competenza viene messo in cattiva luce.
da psicologo e psicoterpeuta trovo che ci stia solo bene. sempre li a difendere una professione mentre “loro” si occupano di diffondere una professione.
non solo
noi tagliamo le gambe a noi stessi impedendoci di fare formazione ai counselor. formazione che quanto meno verrebbe da professionisti e competenti. per non parlare della clientela che come vediamo è in aumento.
e alla fine qualche briciola per noi.
nonostante tutto i counselor offrono un servizio anche a noi.
con questa campagna formativa e capillare essi passano anche e soprattutto la cultura di avere una figura di riferimento a cui rivolgersi per le “cose” della vita. in qualche modo essi insegnano ad andare dallo psicologo
(quando il couselor non fosse sufficiente).
bravi cvounselor! magari un po’ bizzarri ed irresponsabili ma sicuramente più vivi di noi psicologi.
e per chi difende la salute dovrebbe sapere che la vitalità è il primo strumento.
Bravo !!! Mi riconosco nel tuo intervento ( sono psicologo-psicoterpeuta da 37 anni !!). Ma con quale “faccia” diciamo in giro che la formazione universitaria è un plus rispetto alla competenza relazionale e che la stessa sia la garanzia per non abusare del proprio ruolo “di cura”. Che facessero la guerra alle lobby accademiche che sfornano incompetenti distruggendo
la professione con il moltiplicarsi “metastasico” dei CdL ! Per non parlare dell’art. 21,miseria professionale peggiore di quella che avevano i medici negli anni 70′ conro gli psicologi.
Com’è che tutti i difensori del counseling spargono accenti, virgole e spazi a casaccio?
Sono indeciso tra 3 spiegazioni:
1. Nelle scuole di counseling c’è un corso obbligatorio su “lineamenti di fuffologia e disortografia applicata”;
2. la temibile setta degli Psicologi Oscuri ha immesso nel web un virus che modifica i commenti scritti dai Counselor in perfetto italiano e pieni di logica e buonsenso e li trasforma in accozzaglie di argomentazioni insostenibili e cimiteri di lingua italiana;
3. i counselor che commentano questo e altri siti sono in realtà una sola persona che usa diversi nick scrivendo una cosa e poi approvando con altri nomi ciò che ha scritto.
Non so proprio quale spiegazione scegliere.
Passando dall’umorismo all’argomento dell’articolo: ciò che mi sorprende non è che ci siano persone disoneste o presuntuose, ma che miei colleghi si schierino masochisticamente (e sadicamente, nei confronti di tutti gli altri psicologi) dalla loro parte.
“ Non discutere con un cretino: la gente potrebbe non notare la differenza”
(A. Bloch )
Ogni tanto mi lascio andare per discutere in questo sito
.
Si dice: mi lascio andare “a” (e non “per”) discutere in questo sito.
Scusi, che cosa insegna lei? ah si, counseling. Meno male, non italiano…
Inoltre: sembra che Lei abbia una propensione agli insulti… forse dovrebbe consultare uno psicologo per migliorare la Sua regolazione emotiva…
È oggettivo ed evidente al di là di qualsiasi possibile smentita che lei scrive ignorando l’uso della punteggiatura e della sintassi.
Fatevene una ragione, lei e Bloch.
Concordo pienamente con Andrea Careggio.
Credo che ogni corso di counseling dovrebbe essere verificato singolarmente, perchè ci sono davvero quelli che usano questo corso per far soldi e poi al’utente non insegnano nulla, ma ci sono anche quelli che davvero insegnano a saper fare, dato che l’università di psicologia, al giorno d’oggi, non insegna assolutamente nient’altro che nozioni, quindi non ci sono il saper fare e il saper essere… e badiamo bene a definire meglio gli anni del percorso dello psicologo: 3anni per la laurea di primo livello, 2 anni per la laurea di secondo livello (e fino a questo punto sembra che si è laureati in psicologia, ma non si può essere chiamati psicologi e non si può esercitare), 1 anno di tirocinio, ovviamente non retribuito (dove il laureato in psicologia dev’essere fortunato a trovare un posto dove davvero gli insegnano qualcosa, perchè spesso li mettono a fare fotocopie!!), 1 anno di tempo per l’esame di stato (sono 4 esami separati, a distanza di qualche mese! dopo essersi iscritti però, si può iniziare a praticare), infine ci sono gli almeno 4 anni di specializzazione dove, una week-end al mese (!!) si affrontano le tematiche riguardanti il pensiero che si è scelto di seguire.
io sono sia laureata in psicologia che counselor, e devo dirvi che aver seguito il corso da counselor mi ha ridato speranza nel lavoro che un giorno riuscirò a fare, perchè mi ha fatto vedere cosa si può fare realmente
Gentile Walla, la “laurea in counselor” NON ESISTE 😉
Siamo felici che il corso per counselor le abbia ridato speranza e concordiamo sul fatto che l’Università non riesce a sfornare professionisti dotati di strumenti e competenze adeguate. Tuttavia le chiediamo: ma se vi fossero corsi di counseling dedicati solo a Psicologi? Esperienziali, professionalizzanti, ma diretti a Psicologi… non sarebbe meglio per la categoria ed anche per l’utente finale?
Si accorge che lei, dopo una laurea in psicologia afferma che è il corso di counseling a farle vedere cosa potrà fare realmente? E’ normale, in quanto le hanno passato una serie di competenze psicologiche – declinate praticamente – che le permetteranno di fare la psicologa esperta in counseling psicologico
Perché quindi aprire i corsi di counselor a chiunque? Ricordi che, assieme a lei che ha fatto comunque un percorso universitario in Psicologia, si proporrà con la medesima speranza ed ardore anche il parrucchiere, l’avvocato, la casalinga prima passata in psicoterapia dal direttore, ed altri ameni…
non ho scritto che sono laureata in counselor.. ho scritto che sono laureata in psicologia e sono anche counselor…se ho fatto il corso penso di saperlo…
io credo che il tipo di corso che ho fatto io aiuta anche chi non ha seguito un corso di psicologia, perchè tutti, soprattutto chi svolge un lavoro dove si ha a che fare con gli altri, bisogna prima di tutto sapersi relazionare… inoltre dal parrucchiere, farmacista o altri lavori, i clienti spesso si aprono a conversazioni che riguardano le loro problematiche, e se il parrucchiere (o altri) ha questo tipo di formazione, ha anche la capacità di capire la problematica del cliente e ad indirizzarlo a persone specializzate (come lo psicologo o psicoterapeuta), in quanto quello che si viene a creare tra i due è un rapporto, una relazione di fiducia. il counseling dà degli strumenti utili a queste persone per riuscire a comprendere ancora meglio quello che il cliente gli porta, che non si ferma al solo taglio di capelli.
vado contro a tutti quelli che propongono il corso di counseling come una scusa per poter far soldi facili. le consiglio di approfondire l’argomento conoscendo il più possibile tutte le “scuole” di pensiero dei vari corsi di counseling per comprendere che ogni corso è a sè, e che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio.
Sono andata a vedere cosa fa il sig. Centonze e ho trovato questo su Linkedin:
“…..Dal punto di vista metodologico, il Protocollo Discentes è un modello didattico, ideato dall’Istituto di Arti Terapie e Scienze Creative e coordinato da ART.ED.O., che prevede l’acquisizione da parte degli allievi iscritti di forti competenze in ambito teorico-relazionale (conoscenza della psicologia, psichiatria e della neurologia), coniugate con competenze pratiche, per intervenire in tutti i contesti della relazione d’aiuto…”
Ripeto questa frasetta: “…prevede l’acquisizione da parte degli allievi iscritti di forti competenze in ambito teorico-relazionale (conoscenza della psicologia, psichiatria e della neurologia”
Se poi queste “forti competenze” che verrebbero acquisite sono poi messe in atto, io non sono un avvocato (sono SOLO una psicologa psicoterapeuta che si è fatta un mazzo così per una laurea di 5 anni, un anno di tirocinio seguito da un esame di Stato, e successivi 4 anni di specializzazione in psicoterapia con altro tirocinio e altra tesi)
ripeto, non sono un avvocato ma mi sembra che si possa configurare un abuso della professione psicologica e forse anche medica.
Basta non se ne può più, noi abbiamo i legacci degli Ordini e della pubblicità sanitaria,e della formazione continua ecc., chi non è imbrigliato pur avendo studiato molto ma moooolto meno può promettere di cambiarti la vita in un seminario pagato a caro prezzo.
Poi arrivano da noi con i problemi di prima ma già spennati, per cui noi dobbiamo fare i miracoli in poche sedute e per pochi soldi.
Scusate lo sfogo, ma non se ne può veramente più. Bisogna che qualcuno lo spieghi alla gente che lo psicologo si occupa della normalità e del potenziamento delle risorse personali, tramite consulenza e sostegno (counseling = consulenza)quindi il counselor si sovrappone!
Ragazzi psicologi svegliamoci, va bene che la nostra è una professione cosiddetta “a vocazione” , ma non per questo dobbiamo metterci a zerbino!
Grazie Anna, è interessante il tuo contributo 🙂
Il dott. Centonze ci minaccia denuncia, attendiamo con ansia che arrivi la raccomandata. Avremo molto di cui discutere… dovresti vedere che ne esce approfondendo meglio contenuti e proposte…
Ci aggiorniamo a presto 😀
Dal dott. Centonze, che da quanto ho capito legge questa pagina, vorrei sapere la sua posizione sulla seguente questione: ritiene egli che esista una qualche differenza tra il “counseling” e il “sostegno psicologico”? Se sì, quale?
Grazie Redazione.
Purtroppo spesso noi psicologi siamo i primi a non avere le idee chiare sul significato del counseling. E’ vero che l’Università ci fornisce una preparazione molto più teorica che pratica, ma che dire degli psicologi che dopo essersi laureati vanno a fare una scuola di counseling? per apprendere gli strumenti della loro stessa professione?
per ampliare i nostri strumenti non basterebbe leggere dei libri e fare degli stages esperienziali, confrontando ciò che di nuovo troviamo con le numerose nozioni che abbiamo? e cercando di utilizzare il tutto con un po’ di creatività e di fiducia in se stessi?
Si legge nell’articolo 1 della L.56/89: “La professione di Psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli
organismi sociali e alle comunità”.
Leggo ancora su Internet, su un sito di psicologi:
Esempi di consulenza psicologica.
Casi di assenza di patologia
Lo psicologo interviene in momenti di difficolta’ ma in assenza di patologia, allo scopo di dare alla persona/alle persone nuovi strumenti per gestire emotivamente o cognitivamente, o entrambi, la situazione di difficolta’.
Alcuni esempi possono essere: Matrimonio in crisi; Relazione con i figli adolescenti; Aiuto nell’elaborazione di un lutto; Momenti di svolta della propria vita; Normali difficolta’ relazionali; Aumento della propria sensazione di autoefficacia; Capirsi e conoscersi meglio; Miglioramento di alcuni aspetti della propria personalita’; Gestione dello stress; ecc.
Casi in cui esiste una patologia.
Lo psicologo interviene sul singolo o sul gruppo, con una finalita’ non terapeutica, ma di sostegno, di riabilitazione o direttamente di consulenza.
Alcuni esempi possono essere: Gruppi di autoaiuto; Supporto alla famiglia di una persona depressa; Intervento sulla persona sofferente ma senza lavorare sul nucleo patologico (es. fare empowerment); Lavorare sulla presa di coscienza del proprio stato patologico per poter dare alla persona la possibilita’ di valutare ed eventualmente scegliere un percorso di cura; Ridefinizione degli obiettivi di vita dopo un trauma (es. la persona perde l’uso delle gambe); ecc…
Mi sembra che siano tutte cose, ma dico tutte, in cui il counselor si sovrappone!
Quindi, consulenza psicologica è già counseling! e l’empowerment già ci appartiene! certo che se ci togliamo valore noi per primi…
Io avrei qualcosa da dire, un bell esempio di collaborazione
fra counselor e psicoterapeuta…
Uno che disprezzava il titolo rilasciato dall’universita’ e l’altro che si metteva a fare
Psicodramma, a supporto delle lezioni del primo!
Che dire? Pur di mettere in tasca soldi non si guarda che ai propri, e poco deontologici, interessi!
Certo che con quest’aria di “arroganza stupida” non ci facciamo mancare nulla,pur di difendere interessi indifendibili. Mi ricorda una storiella raccontata da F.Perls : “””Uno psichiatra un giorno inventò un test di Rorschach semplificato. Utilizzò 3 figure di base.Mentre esaminava un cliente tracciò un triangolo. Cosa è questo ? “Una tenda.Nella tenda vi è una coppia che sta facendo all’amore”
Allora egli tracciò un rettangolo.Che cosa è ?
“Un grande letto.Vi sono sopra due coppie che fanno all’amore”.
Allora egli traccio un cerchio. Cosa è ?
“Un’arena.Dentro vi è una dozzina di coppie che stanno facendo all’amore”
Mi dica un pò, lei ha l’aria di pensare molto al sesso !
“Ma,dottore, è stato lei a fare i disegni ” ! ( F. Perls )
In Italia vi è qualcuno che dice : “sono i giudici che fanno lle sentenze sbagliate”. Anche tra noi psicologi c’è molta gente che pensa : ” tutti i counselors fanno male il ns. lavoro ( e per giunta perchè incompetenti ) …!”
so che molti avvocati praticano le consulenze matrimoniali. mi chiedo se questa non sia per gli psicologi una concorrenza sleale (data la fonte degli invii) e per gli avvocati un conflitto di interesse che guida la consulenza verso il fallimento per passare alla fase di divorzio.
Non avevo capito l’intervento del dott. Ciavirella. Mi sono chiesta, forse sono stupida – e forse pure arrogante?
Poi sono andata a vedere cosa fa il dott. Ciavirella e ho capito un po’ di più.
Ho capito ancora meglio leggendo su un certo sito di formazione di counselors la seguente frase sul counseling:
“Da non confondersi con la tradizionale e più pervasiva psicoterapia, il suo obiettivo è fornire alla persona in difficoltà una diversa prospettiva della situazione problematica, in modo da far emergere in lei le risorse fisiche, emotive e psicologiche per affrontare e superare autonomamente la crisi.
Il counseling si distingue – quindi – dalla psicoterapia in senso stretto perché quest`ultima è un intervento specialistico inteso alla ristrutturazione della personalità a seguito di gravi disagi o psicopatologia conclamata. Specificatamente, ha invece una funzione di sostegno…”
Ecco, appunto, sostegno, è proprio uno dei compiti dello psicologo CHE SI OCCUPA DI NORMALITà (fasi della vita, separazioni, lutti, potenziamento risorse ecc) E NON DI PSICOTERAPIA.
Nelle frasi sopra riportate, ci si preoccupa di distinguere il counseling dalla psicoterapia sorvolando completamente (e questo lo fanno fior di psicologi e psicoterapeuti che organizzano i corsi triennali, aperti a diplomati)dicevo, sorvolando completamente sul fatto che quanto si scrive è totalmente sovrapponibile ai compiti istituzionali dello PSICOLOGO NON PSICOTERAPEUTA.
Sono ormai molti anni che continuiamo a dibattere della stessa cosa. A mio modo di vedere esistono due diversi tipi di criticità:
1. La prima è sul metodo
L’Ordine degli psicologi non è disponibile a confrontarsi con chi rappresenta il counseling. Non lo è stato in passato e non lo è ora (in futuro, vedremo).
Dunque, anziché il confronto, le strade che l’Ordine percorre sono quelle dello scontro indiretto: esposti in Tribunale per esercizio abusivo (esposti, non querele, così da non rischiare una denuncia) che fino ad oggi si sono rivelati fallimentari; modifiche a dir poco fantasiose del codice deontologico che ad oggi hanno prodotto poco o niente (qualche psicologo impaurito ha smesso di insegnare qualche materia nei corsi di counseling, lasciando spazio ad altri); tentativi di modifiche dell’art. 1 della 56/89 presentati da qualche parlamentare compiacente che sono miseramente naufragati nel susseguirsi delle varie legislature; ultimamente l’Ordine sta battendo la strada del fare pressioni sul Ministero della Salute affinché questo butti nel calderone “sanitario” anche il counseling (per fargli fare la misera fine che sta facendo la psicologia da quando è professione sanitaria), e questa partita vedremo come andrà a finire.
La seconda è sul merito
Premesso che esistono certamente delle aree di sovrapposizione (sui cui non mi dilungherò, ma chi è interessato troverà decine di miei articoli in rete che trattano le differenze tra counseling, consulenza psicologica e psicoterapia), la domanda è banale: ma gli psicologi davvero credono di poter pretendere il monopolio di tutte quelle attività che sono legate al disagio umano? Tradotto in termini tecnici: davvero gli psicologi ritengono che molti dei loro atti caratterizzanti possano innalzarsi a riserva di Legge?
Altro punto: si contesta, nel counseling, l’utilizzo di teorie e tecniche di matrice psicologica. Dunque, anziché essere orgogliosi del fatto che il “pensiero” psicologico si diffonda e contamini altre discipline, si ritiene questo dannoso poiché fa tuttuno con l’esercizio abusivo.
Visto che la psicologia ha attinto a piene mani, negli anni, a molte altre discipline, sarebbe un po’ come a dire che da domani i filosofi faranno causa agli psicologi per appropriazione indebita di teorie di matrice filosofica.
Mi si potrebbe contestare che la psicologia, però, ha assunto ormai un suo statuto autonomo. Non concordo al 100% (vedo ancora – per fortuna – tante psicologie e non la psicologia), ma rilancio: sarà il caso di dare tempo anche al counseling di compiere questo percorso?
Vedete: messe da parte le beghe di pollaio, sarebbero tutti temi molto interessanti su cui discutere. Ma, come detto nel punto precedente, l’Ordine preferisce la strada dello scontro indiretto, anziché del confronto.
Ma non voglio svicolare dalla domanda di Ada Moscarella: “Ma perché non leggo mai di counselor che si incazzano di queste cose?”
Non è vero: i counselor si incazzano eccome. Non tutti, naturalmente. Ed io non posso che rispondere per l’associazione che rappresento: fin dal 2009 abbiamo sempre censurato (e certamente mai avallato) operazioni che non ci convincevano. Abbiamo messo in piedi un meccanismo di selezione e verifica delle competenze (non certo inventato da noi, si intende) che sicuramente è più efficace del vecchio impianto legato al così detto modello autorizzatorio (siccome c’hai una laurea e un esame di Stato allora sei un professionista DOC).
Basta farsi un giro sul nostro sito per leggere i nostri articoli, e basta farsi un giro sulla nostra pagina di Facebook per leggere le reazioni arrabbiate di chi questa professione la svolge con serietà.
Dunque mi permetto di aggiungere una terza criticità: attenzione a fare di tutta l’erba un fascio.
Gentile dott. Valleri, ho apprezzato molto la chiarezza con la quale lei ha esposto le sue idee, anche se concordo solo in parte sul contenuto. Guardando il suo sito, come Lei stesso invita a fare, noto una significativa contraddizione: Lei dice che i counselors non fanno sostegno psicologico (“…Il counseling non è una forma di terapia (medica o psicologica) né tanto meno di sostegno psicologico.”, riporto dal suo sito)
quindi di che tipo di sostegno si tratta? forse sostegno fisico, se non è sostegno psico-emozionale?
come si fa ad aiutare una persona a trovare le sue “potenzialità e risorse”, come Lei scrive, se non la si “sostiene” psicoemotivamente?
altra domanda: come mai il sito del suo collega formatore di counselors, riporta il sostegno come una delle cose che vengono insegnate? Riporto la frase sul sito del suo collega,che potete leggere sul mio intervento del 3 ottobre: “Specificatamente, ha invece una funzione di sostegno…””
Forse dovreste accordarvi anche voi, tra di voi, psicologi formatori di counselors, su come definire le competenze che insegnate?
Infine… lo sa che nella città in cui risiedo, uno psicologo psicoterapeuta di successo, non dice più che è psicologo ma si pubblicizza come “life coach”?
Forse avete ragione, la psicologia è antica, bisogna rinnovarsi, chiamare le cose (antiche, come il disagio delle persone) con nomi nuovi, possibilmente anglosassoni, così la gente non si spaventa e si può fare marketing…
Magari anch’io mi ribattezzerò “counselor” o “coach” o esperta in “mindfulness”… , perchè no? nascondendo i miei titoli perchè non nuocciano al mio “brand”
Buongiorno Anna, premesso che non sono psicologo, non entro volutamente nel merito di questa vicenda poiché non ne conosco gli estremi né conosco i promotori dell’iniziativa.
Come certamente saprà il counseling non è una professiona regolamentata, ciò significa che lo Stato non detta – attraverso norme, regolamenti o altro – delle linee guida a cui tutti devono attanersi. Parimenti non esiste neppure uno standard univoco per la formazione.
Le associazioni di categoria stanno faticosamente cercando di addivenere ad una posizione unitaria sia sul piano politico professionale della rappresentanza sia su quello più complesso dell’univocità delle linee guida (training standard, requisiti minimi, supervisione, etc.).
Ad oggi alcune associazioni hanno dato vita a Federcounseling, la prima federazione italiana che raggruppa associazioni professionali di categoria di counseling. Le associazioni che fanno parte di Federcounseling hanno certamente una visione unitaria.
Non per tutti però è così. Dunque, così come gli psicologi – pur ordinati da una Legge – hanno al loro interno personaggi alquanto fantasiosi, parimenti anche la categoria dei counselor è molto variegata.
Quello che ci differenzia sostanzialmente è che gli psicologi, per governare se stessi e la propria categoria, intendono fare leva su un principio di autorità (modello autorizzatorio), mentre i counselor intendono confrontarsi attraverso un principio di autorevolezza.
Da una parte vi è dunque un percorso pre-ordinato che poggia la propria ragion d’essere sul possesso di alcuni titoli (laurea) vidimati dallo Stato (esame di Stato) e raggruppati per categorie (ordini professionali).
Dall’altra parte invece c’è un percorso che, attualmente, è molto eterogeneo e che fa leva maggiormente sulle competenze acquisite più che sui titoli posseduti. Un percorso che si basa su principi molto diversi rispetto al regime autorizzatorio.
Se prova a rifletterci, in assenza di presupposti autorizzatori, uno che si spaccia come counselor quando magari fa i tarocchi o la carta del cielo reca più danno a me (counselor) che a lei (psicologa). Io infatti faccio molta più fatica a spiegare che il counseling non è fare i tarocchi di quanto non ne faccia lei a spiegare cosa sia la professione di psicologo.
Dunque l’unica cosa che le posso dire è come lavoro io e quali sono le linee guida promosse dall’associazione che, in questa fase storica, mi trovo a rappresentare. Parimenti le posso raccontare degli innumerevoli sforzi (naturalmente commisurati alle nostre disponibilità) che stiamo portando avanti affinché il counseling venga correttamente promosso ed esercitato, così come del lavoro che facciamo con le scuole di formazione per lavorare sui contenuti, gli standard, le linee guida, etc.
Onestamente non faccio fatica a comprendere le tante ragioni del disagio che può provare un giovane psicologo (sul piano della tutela, dei diritti, etc.). Vedrà che in tutti i miei scritti le posizioni critiche non sono verso lo psicologo, ma verso chi per oltre venti anni ha governato la categoria professionale.
scusi Valleri, ma lei usa il titolo dottore per quale motivo? in cosa è laureato? Sulla sua pagina personale dice di fare parte di una associazione di psicologi indipendenti.. e cioè? poi scrive che fa parte di un’associazione che si occupa di dipendenze.. non le viene il dubbio che un utente poco esperto la possa scambiare per un vero psicologo? inoltre sarei curioso di sapere, quando una persona con un problema contatta lei o un altro counselor accettate subito di prestare consulenza o valutate se è un caso che potete trattare o meno? e in base a cosa? sulla base di quali modelli? fate una valutazione diagnostica?
Mumble mumble… le tue parole, steve, sono “identiche” a quelle usate (il che è piuttosto strano…) dal direttore di una scuola di counseling piemontese da me criticata poco tempo fa… sarà un caso?
Sostenere che un counselor non debba usare, davanti al suo nome, il titolo di dottore poiché potrebbe far sorgere il dubbio che questi sia, come tu dici, un “vero psicologo”, è quanto meno bislacco.
Ti informo di una cosa che forse ti sconvolgerà: oltre il 60% degli iscritti all’associazione che rappresento, AssoCounseling, sono laureati… e qualcuno addirittura in psicologia!
Quanto a me… trovo non corretto utilizzare questo spazio che dovrebbe servire al confronto e al dibattito – messo a disposizione gentilmente dagli amici di AltraPsicologia – per fini personali.
Solo due cose rapide: 1) non faccio parte di “una associazione di psicologi indipendenti”, ma sono un socio del “Movimento Psicologi Indipendenti”, storica sigla italiana che, fin dalla sua nascita nel 1993, iscrive sia psicologi che altri professionisti (counselor, medici, mediatori familiari, pedagogisti, educatori, etc.) poiché ritiene che la psicologia debba essere pluralmente rappresentata da vari professionisti e non solo dagli psicologi; 2) faccio parte del comitato scientifico di un gruppo di studio e di lavoro che sia chiama “Rete Nuove Dipendenze Patologiche” e, non mi risulta, si debba essere professionisti specifici per occuparsi di studio e di ricerca.
Altra cosa: io non “presto consulenza”, ma faccio counseling, che per me è una cosa molto diversa e solitamente metto in pratica quella cosuccia che si chiama analisi della domanda, per decidere se seguire una persona oppure no.
Per il resto, se sei interessato ai miei titoli, scrivimi pure in privato, sarò lieto di soddisfare la tua curiosità.
il direttore di una scuola di couseling piemontese? guardi.. io scrivo da Roma.. è fuori strada.. non ci conosciamo e prima di questo post ignoravo chi fosse (questo per placare le sue ansie e interrompere sul nascere la errata catena associativa che va sviluppando.. ma non l’ha fatta l’analisi??). guardi neanche per me è una cosa personale con lei. si concentri sui contenuti Valleri e non svicoli. Quella “cosuccia”, come dice lei, dell’analisi della domanda è un modello di intervento largamente utilizzato in ambito CLINICO, il cui sviluppo lo dobbiamo in gran parte a tre Professori della Facoltà di PSICOLOGIA della Sapienza di Roma, e cioè Renzo Carli, Rosa Maria Paniccia e Massimo Grasso, i quali, all’interno di un’ottica psicodinamica, hanno sviluppato un modello di intervento in PSICOLOGIA CLINICA, definita appunto “analisi della domanda”. Il testo base su cui può studiare cosa sia l’analisi della domanda e a cosa serva (e per quale professione) è ANALISI DELLA DOMANDA – Teoria e tecnica dell’intervento in psicologia clinica (Carli, Paniccia, il Mulino). In un altro testo, LA RELAZIONE TERAPEUTICA (il Mulino), di Massimo Grasso, può addirittura scoprire come il modello dell’analisi della domanda sia da considerarsi come un modello di Psicoterapia Dinamica Breve (capitolo quarto). Le cito testualmente: “un intervento di consulenza (Ndr: l’autore si riferisce proprio all’analisi della domanda) si configura non come un semplice processo valutativo, ma è contraddistinto da CARATTERISTICHE ASSIMILABILI A UN VERO E PROPRIO TRATTAMENTO (al quale può seguire, ma non necessariamente, un lavoro terapeutico approfondito e formalizzato), poiché comunque contiene in sé VALENZE TRASFORMATIVE”. Massimo Grasso, è uno dei più autorevoli in materia di analisi della domanda. Che vogliamo fa? Lei sostiene di non fare né diagnosi né terapia né consulenza ma di fare counseling e analisi della domanda.. ma l’analisi della domanda, come le ho dimostrato e le potrebbe dimostrare chiunque sappia di cosa si parla, ha a che fare con la consulenza psicologica, con la valutazione psicologica, con la diagnosi psicologica, con la terapia, anzi gli autori la indicano proprio come “consulenza”.
Io ho un’impressione Valleri.. che si giochi molto con le parole per negare il dato di realtà. Mi chiedo..non lo chiedo a lei.. ma il counseling serve a questo? a mistificare la realtà? quali sono ste prospettive di crescita del counseling se si parte da una premessa epistemologia che somiglia ad un continuo detournement situazionista?
Sì, mi sa che giochiamo con le parole…
In italiano “analisi della domanda” significa capire cosa ci chiede la persona che abbiamo di fronte e se noi, come professionisti, siamo in grado di dare una risposta professionale a tale richiesta.
In tal senso l’analisi della domanda la fa anche l’idraulico.
Ti suggerisco di fare come quelli dell’EMDR o della PNL, facendo apporre una bella (R) di marchio registrato… così stai tranquillo che la locuzione “analisi della domanda” la possono usare solo determinati soggetti.
E’ del tutto evidente che molte professioni utilizzano un linguaggio trasversale. Tale linguaggio va chiaramente riportato al contesto in cui il linguaggio si sviluppa.
La psicologia per prima, in quanto scienza pre-paradigmatica, utilizza costrutti e di conseguenza termini mutuati da altre scienze (pedagogia, filosofia, antropologia, sociologia, medicina, etc.).
Ad esempio il termine “diagnosi” (tanto per citarne un altro), ove non ricondotto ad un contesto di psicologia professionale (dunque di diagnosi psicologica) è un termine generico che può essere utilizzato da chiunque.
Hai presente quando il concessionario collega il tester alla centralina della tua auto? Bene, sta facendo una diagnosi… non psicologica, evidentemente. Così come il medico farà una diagnosi medica e via discorrendo.
Detto questo resto ancora in attesa che la categoria degli psicologi italiani metta al corrente il resto del mondo di quali sono i propri atti, suddividendoli tra riservati, tipici e caratterizzanti.
In assenza di questo (vuoto che gli psicologi devono colmare da circa 20 anni) starà a te dimostrare che quando io chiedo ad un mio cliente cosa vuole da me sto compiendo un abuso della tua professione, non certo a me discolparmi del fatto che glielo sto chiedendo.
Io allo stato attuale mi attengo ad un semplice principio giurisprudenziale (ribadito almeno un miliardo di volte dalla Cassazione) ovvero che “la prevenzione, il sostegno, l’abilitazione e la riabilitazione di eventi morbosi spetta alle professioni sanitarie”.
Gli psicologi sono una professione sanitaria, giusto? Poi non dite che sono quei cattivoni dei counselor che dicono che gli psicologi si occupano di patologia ( = eventi morbosi). Lo dice la Legge e lo dice la giurisprudenza.
Se poi, al di fuori di quanto vi riserva la Legge, volete occuparvi anche di altre cose, benissimo: non saranno certo i counselor ad impedirlo.
Perché però vuoi impedirlo a me?
Ciao Tommaso, ho letto le tue argomentazioni e le trovo interessanti anche se non le condivido. Ritengo che gli psicologi abbiano una competenza maggiore dei counselor in qualità di esperti della relazione d’aiuto, infatti sono stati gli psicologi ad insegnare ai counselor abilità di counseling e non viceversa. Leggendo i programmi delle scuole di counseling, mi sembra di scorrere il programma di alcuni insegnamenti del corso di laurea in psicologia, pertanto ritengo che non sia affatto una disciplina distinta dalla psicologia. A tal proposito, vorrei chiederti cosa pensi del fatto che gli psicologi pratichino il counseling senza aver fatto un corso magari accreditato dalla tua associazione… grazie.
Ciao Cristian, la mia posizione è molto semplice. Consentimi un brevisismop preambolo, però: in un mondo che si sta evolvendo nella direzione della complessità nonché della così detta iper specializzazione (delle professioni e dei segmenti lavorativi), trovo di base anacronistico ritenere che una formazione in qualsivoglia disciplina possa essere esclusiva di una categoria professionale. Dunque, restando nel nostro campo, trovo del tutto inappropriato che una formazione psicologica, di qualunque spessore e profondità, debba essere ricondotta solo e soltanto all’esercizio della professione di psicologo.
I così detti training standard relativi alla formazione in counseling stanno rapidamente evolvendosi, e così anche le figure professionali di riferimento che insegnano. Siamo partiti da una posizione iniziale in cui erano gli psicoterapeuti ad insegnare counseling e stiamo arrivando ai counselor che insegnano ai counselor.
I nostri traning standard, infatti, concertati con la European Association for Counselling (EAC) nonché condivisi da alcune associazioni italiane (quelle che sono confluite in Federcounseling), prevedono che le materie specifiche e di indirizzo (storia del counseling, tecniche di counseling, etica e deontologia professionale, supervisione didattica, etc.) siano insegnate solo da counselor, mentre le materie propedeutiche e aspecifiche siano insegnate da chi abbia competenza specifica nella disciplina che insegna (dunque anche gli psicologi).
Parimenti la nostra associazione iscrive al proprio intero solo professionisti che abbiamo una formazione in counseling – secondo i principi su esposti – dimostrabile. Mentre prima, ad esempio, le vecchie associazioni di counseling iscrivevano al proprio interno anche psicoterapeuti che non avevano mai fatto un’ora di formazione in counseling (cosa che a mio avviso, per inciso, ha creato solo confusione).
Venendo alla tua domanda: non essendo il counseling una professione regolamentata ed essendo dunque esercitabile anche dal fruttivendolo sotto casa, certamente un qualunque psicologo può dire: Io faccio counseling.
Poiché per noi il counseling non è però la traduzione inglese di consuelnza psicologica, va da sé che non riteniamo che un laureato in psicologia abbia le competenze per esercitarlo. Dunque sarà libero di farlo poiché la disciplina non è regolamentata, ma non potrà richiedere di essere certificato da un’associazione di counseling.
Potresti obiettarmi: E perché mai uno psicologo dovrebbe essere interessato a farsi certificare da un’associazione di counseling?
Perché accade più spesso di quanto non ci si aspetti… Sono moltissime le richieste di laureati in psicologia (al 90% con la triennale) che riceviamo.
Credo infatti che in un prossimo futuro vada effettuata una riorganizzazione generale della formazione. Sono reduce da un seminario molto interessante dove mi sono confrontato con un counselor inglese e con un counselor statunitense:
– in UK per diventare counselor occorre una formazione indicativa di circa 3-4 anni (senza obbligo di laurea) ai quali puoi aggiungere altri 3-4 anni di formazione (sempre senza obbligo di laurea) per diventare psicoterapeuta;
– in USA invece è richiesto un percorso universitario di base di 4 anni (in varie discipline) a cui aggiungere una specifica formazione in counseling di 2 anni.
Se consideri che ormai in Italia il possesso di una laurea triennale è quasi la norma (noi in associazione abbiamo oltre il 70% dei laureati e le nostre scuole stanno discutendo di innalzare alla laurea il titolo minimo di accesso alla formazione in counseling) e che i corsi di counseling sono triennali, vedrai che la formazione italiana sta piano piano avvicinandosi a quella anglosassone (3 + 3 = 6).
Ciao
Valleri, secondo me lei se la canta e se la suona. Ma sulla base di quali titoli o meriti accademici parla di psicologia?
Certo! Io, faccio di tutta l’erba un fascio!!! Valleri, mi rivolgo proprio a te. Io non so se sei uno psicologo, uno psicoterapeuta o qualcosa d’altro ma, per favore…non schiaffeggiare l’intelligenza di chi non conosci e, come vedi, qui non stai parlando a gente raccattata. Non puoi raccontare a noi che Gesù Cristo è morto dal freddo. Ripeto: Sì, IO faccio tutto un fascio con chi ruba due lire e chi un miliardo; con chi tradisce i suoi colleghi per qualsiasi tipo di tornaconto; IO, faccio tutto un fascio con chi non ha un briciolo di etica e di onestà intellettuale nell’ammettere che alcune persone vogliono fare sempre “all’italiana” e cioè ad arrivare prima e belli freschi dove gli altri arrivano dopo sudati e stanchi! Spiegami Valleri, di grazia, perché sorvoli quando le persone ti oppongono il fatto che il counsellor fa esattamente quello che fa lo psicologo??? Allora, te lo dico io perché: perché pensi che siamo tutti dei cretini, con l’autostima sotto le scarpe (e in alcuni casi è proprio così, anche tra noi psicologi ci sono un sacco di cretini, certo) ma a me, e a quelli come me me che si sono fatti un “culo tanto”, come dicono i ben parlanti, non mi freghi con le tue chiacchiere. Non ti dimenticare che non facciamo gli ortolani ma ci occupiamo di psicologia e abbiamo l’occhio clinico. Mi dispiace per quelli che dopo una laurea in psicologia, invece di fare tante altre cose interessanti per affinare la loro professione si vanno a ficcare in una scuola per counsellors insieme a gente che ha la terza media e fino a ieri faceva la badante (parlo perché ho contezza di ciò che dico! e con tutto il rispetto per la badante). Io preferisco morire di fame piuttosto che svendere la mia professionalità, la mia etica e la mia onestà. Ho una sola vita e, se magari rinasco, non voglio rinascere insetto!!
Ciao Maria, sono non poco stupito dalla tua domanda: “Spiegami Valleri, di grazia, perché sorvoli quando le persone ti oppongono il fatto che il counsellor fa esattamente quello che fa lo psicologo???”
Io sorvolo?
Credo di aver scritto decine e decine di articoli sull’argomento… dunque, in tutta franchezza, le tue accuse un po’ scomposte proprio non mi toccano. Documentati, e vedrai quanto e cosa ho scritto. Poi, nel merito, se vuoi ne riparliamo.
Molto rapidamente: non vi è dubbio che in passato, in assenza totale di regole condivise e di percorsi concertati (come invece oggi abbiamo), qualcuno con la terza media abbia frequentato un corso di counseling. Così come vi sono, all’interno dell’Ordine degli psicologi, alcuni in possesso del solo diploma di scuola media superiore (senza contare le migliaia di persone prive di laurea specifica in psicologia). Immagino che il tutto si inquadri in una normale evoluzione della professione.
Quanto a me, non sono uno psicologo, ma un counselor.
La formazione di uno psicologo, a maggior ragione se psicoterapeuta, é una formazione lunga, anzi lunghissima. Ed é estremamente faticosa, dispendiosa, anche frustrante.
L’università, il tirocinio posto lauream e l’abilitazione francamente non sono stati nulla rispetto al percorso successivo fatto di enormi dispendi di denaro, tempo e energie. Mi sono arrabattata tra formazione, supervisioni, analisi personale e naturalmente il lavoro.
E ora faccio il mestiere che ho scelto di fare e che amo fare, e lo faccio bene.
Non é stato affatto facile tenere insieme il tutto; eppure come l’ho fatto io, l’hanno fatto i miei colleghi.
Quanto alla formazione di uno psicologo non psicoterapeuta, non é certo riducibile soltanto ai cinque anni universitari, ma viene poi completata negli anni con master, corsi e aggiornamenti vari.
Che cosa spinge una persona più o meno sana di mente a fare tutto questo? Puro masochismo? Forse. O forse invece é la passione per un mestiere che, come tutti i mestieri artigianali, deve essere appreso lentamente, affinché il sapere teorico possa divenire tutt’uno con l’esperienza.
Questa é una delle cose che differenzia la psicologia dal counselling, soprattutto da un certo tipo di counselling “furbetto” (non dimentichiamo che counselling é un termine inglese la cui traduzione italiana si avvicina alla parola “consulenza” e che a buon diritto, viene utilizzato con successo in moltissime situazioni anche e sopratutto da psicologi).
Purtroppo però mi pare che troppo spesso, anche se non sempre, in Italia (all’estero non so) il counselling aspiri ad avvicinarsi più ad una pratica magica invece che ad un mestiere. E questo a partire dalla formazione dei cousellor, e dai suoi criteri, che letteralmente operano la magia di creare una realtà all’interno della quale é possibile fare finta di saper fare un mestiere, che nella fattispecie é quello di psicologo, senza tuttavvia saperlo fare e senza aver tollerato i tempi fisiologici dell’apprendimento, ma facendo propria la regola del “tutto e subito” e del “tutto é possibile”. E a forza di fare finta si finisce per crederci per davvero.
Il punto é che noi psicologi, oltre ad opporci a questa situazione, forse dovremmo cercare di diffondere con maggiore energia la passione che ci ha animati nella nostra formazione prima, e nel nostro mestiere poi. Siamo diversi dai counsellor? Beh, invece che continuare a sottolineare i punti di sovrapposizione, cominciamo a sottolineare i punti di differenza! Che cosa ci differenzia? Non certo, o per lo meno non solo, la lunghezza e l’articolazione del percorso formativo! É la qualità del nostro lavoro, del nostro pensiero!
Capisco che sia estremamente facile indugiare nella critica a questi cosiddetti “professionisti alternativi della salute mentale” (anche perché non perdono mai occasione per prestare il fianco).
Tuttavvia, così facendo, rischiamo di fare la fine del PD con Berlusconi. A buon intenditor…..
Questo che sì che è parlare chiaro,sincero ed onesto. Brava collega apprezzo molto quello che hai detto. Forza e coraggio ! … andiamo avanti con passione e serietà…..
Gentile Chiara,grazie! Non mi sarei potuta esprimere meglio.
La questione dei counselor si colloca psicoanaliticamente come questione dell’identità del soggetto, del suo bisogno di riconoscimento e del confronto del soggetto con l’autorità.
Al di là delle implicazioni sociali, giuridiche, economiche, che pur sono importanti e di cui teniamo conto, è interessante, per chi si trova ad essere nel discorso della psicologia, da un punto di vista psicodinamico.
Molte di queste persone, lo si apprende da quello che scrivono e da quello che fanno, non sono stupide, avrebbero quindi gli strumenti cognitivi per comprendere, a maggior ragione in virtù di un discorso che parla nei termini e attraverso le categorie del “percorso”, della “crescita”, del “cambiamento”, dell’ “evoluzione”. Eppure sembra che il loro discorso si arresti proprio sulla questione della crescita, dell’evoluzione e del cambiamento arroccandosi sul livello dell’identità. Intervengono meccanismi di diniego e razionalizzazione, quindi difese, che non permettono di fare i conti con il dato di realtà: che esiste la Legge e che il desiderio deve fare i conti con essa.
La strada pre-scelta è quella di una guerra identitaria volta ad un riconoscimento impossibile da parte di un padre severo e ingiusto (simbolicamente incarnato dallo Stato).
La questione appare in fondo come una richiesta inconscia di aiuto, un bisogno di riconoscimento della propria identità di soggetto che provoca continuamente un’ autorità al fine di mantenere la questione sul piano dello scontro e che ha l’effetto di mantenere il desiderio nella sua impossibilità a realizzarsi.
Ciò, a noi psicologi e psicoterapeuti fa estremamente paura perché sono questioni che intimamente ci riguardano e con cui siamo portati a fare i conti nel nostro percorso di formazione. Guai se uno psicologo o un terapeuta fosse mosso dal desiderio di “aiutare” gli altri senza aver prima fatto i conti con queste questioni perché quell’aiuto che propone rappresenterebbe proiezione sull’altro e utilizzo dell’altro per scopi legati ai suoi complessi, al suo bisogno di essere aiutato. Il superamento di certi meccanismi rappresenta proprio una indispensabile premessa alla possibilità di fare il mestiere del terapeuta, di essere quindi in grado di aiutare l’altro.
Il discorso del counseling, dal punto di vista psicodinamico, porta con sé una quota importante di provocazione e di aggressività passiva ed ha la capacità di innescare un meccanismo paranoico poiché muovendosi nei termini di un Altro persecutorio (gli psicologi, lo stato, e tutti quelli che non lo riconoscono) porta i soggetti assunti come persecutori ad agire proprio nei termini del persecutore (identificazione proiettiva).
Ci staremmo ore ad analizzare la questione. Dunque che fare?
Combattere la questione del counseling non cadendo nel gioco dell’identificazione proiettiva attraverso uno scontro diretto. Non serve a molto. Il confronto sul problema del counseling non può essere con i counselor ma tra psicologi-psicoterapeuti, con le Istituzioni e con gli Ordini Nazionale e Regionali.
Ovviamente la Legge a cui mi riferisco è quella che regola il desiderio, cioè la Legge del Padre (J. Lacan), non la Legge dello Stato.
Il commento di cui sopra è la ragione per cui tra uno psicologo (di orientamento psicodinamico)ed un parrucchiere counsellor, la gente per problemi spiccioli sceglie quest’ultimo e per problemi grossi semplicemente non sceglie.
Ciao Tommaso, ti rispondo alla fine perché sembra non sia possibile farlo immediatamente dopo il tuo post. Credo sia essenziale definire il costrutto di prevenzione e sostegno e forse ancora più cosa s’intende per attività di psicoterapia.
Per quanto riguarda la prevenzione e il sostegno rimando al lavoro che sta facendo l’Ordine. Qui vorrei soffermarmi sulla differenza tra psicoterapia e counseling.
I counselor dicono che iI counseling è differente dalla psicoterapia, a me i confini sembrano molto labili; mi si può obiettare che il counseling non è una forma di psicoterapia, da essa differisce per obiettivi, modalità di attuazione, tempi e metodi. In realtà, i tempi possono dilatarsi e talora vi è una sovrapposizione di tecniche e metodi (es. che differenza c’è tra Gestalt counseling e psicoterapia della Gestalt?)
Forse la differenza più marcata è relativa al fatto che la psicoterapia è riservata a psichiatri o psicologi che hanno ottenuto una specializzazione post-lauream in psicoterapia e tratta gli ambiti psicopatologici e di personalità, ma è pur vero che l’obiettivo di una psicoterapia può essere anche quello dello sviluppo personale e della crescita interiore.
Ancora, nel mondo anglosassone therapy e counseling siano considerati sinonimi, forse perché in effetti sono la stessa cosa? Forse perché il percorso per diventare counselor prevede un corso di laurea di 4 anni preferibilmente in psicologia?
Ciao Cristian, hai perfettamente ragione. Dall’angolo di visuale che hai esposto, i confini sono molto labili. Non intendo girare intorno alla questione.
Ritengo che l’argomento vada affrontato sotto vari aspetti:
1) Il primo è l’aspetto normativo: la 56/89 è stata un pasticcio (inutile girarci intorno), ed infatti è proprio a seguito della 56/89 che iniziano a costituirsi le così dette professioni altre. Questo non perché alle persone faceva o fa fatica prendersi quella benedetta laurea in psicologia… come molti psicologi sostengono, quanto perché quelle persone non si riconoscono in quella psicologia. Meglio ancora: non si riconoscono in quell’intervento rivolto alla persona che, nella cieca rincorsa di un modello scientifico, evidence-based, medico, inevitabilmente sta appiattendo la psicologia italiana su un modello esclusivamente sanitario.
2) Il secondo è l’aspetto sociale: la psicologia (dove io per psicologia intendo l’organizzazione professionale che si è strutturata) non è stata minimamente capace da una parte di cogliere tutti quei cambiamenti che stavano avvenendo nella società, dall’altra ha continuato a riproporre in ogni contesto un modello di intervento completamente inadatto a determinati contesti (la scuola, l’azienda, lo sport, etc.). Qui il counseling ha dato risposte diverse.
3) Il terzo è l’aspetto epistemologico: il fatto che nel counseling l’individuo è un cliente e non un paziente, non è un fatto puramente lessicale, ma un fondamento essenziale poiché racchiude in sé una diversa visione del soggetto. Parimenti, anche l’obiettivo dichiaratamente non terapeutico del counseling, marca una differenza sostanziale con la psicoterapia.
4) Il quarto è l’aspetto giuridico: premesso che vi possono essere delle aree di sovrapposizione (come è naturale che avvenga e come sta avvenendo sempre di più in molte professioni, questo perché si sta andando verso una iper-segmentazione degli interventi), occorre capire se tali aree di sovrapposizione debbano ritenersi riserva professionale (e come tale esclusiva di una professione) oppure no.
5) Il quinto è un aspetto prettamente politico e culturale: si stanno affrontando due diversi modi di concepire le professioni, il rapporto di queste con la società e le loro capacità di adattarsi innovando. Due sistemi si stanno confrontando: quello autorizzatorio-ordinistico da una parte (la riserva, la salvaguardia di un interesse pubblico, il valore legale del titolo di studio, etc.) e quello accreditatorio-associazionistico (la non obbligatorietà, la centralità della scelta libera, il valore delle competenze e dell’esperienza rispetto al titolo di studio, etc.).
Io continuo a ritenere, in un mondo e in una società che cambia, che questi temi andrebbero affrontati più serenamente, favorendo il confronto della varie anime e della varie posizioni.
Mi sembra che talora che i counselor tendano a definire chi è lo psicologo, a dire cosa fa e cosa non fa. Tendano cioè a proporre al pubblico l’immagine che il percorso psicologico o psicoterapeutico sia troppo impegantivo, troppo lungo, alimentando l’idea della gente di dover stare sul lettino dello psicoanalista per il resto della vita. Questo lo trovo non rispettoso verso gli psicologi e psicoterapeuti, descritti come appiatiti verso la clinica, limitati a una visione medica, focalizzati sul sintomo e non sulla persona.
Vorrei aggiornarti sul fatto che gli psicologi e psicoterapeuti hanno già integrato nei loro approcci i suggerimenti e le lezioni della psicologia umanistica.
Mi lascia molto perplesso anche l’uso della parola cliente al posto di paziente di cui farebbe uso lo psicologo. Io con le persone che vengono in studio, con i colleghi etc. non parlo né di paziente, né di cliente ma sempre di persona che può essere in difficoltà ma che comunque ha anche delle risorse oltre a soffrire eventualmente di un disturbo. Non pratico insomma alcuna sorta di riduzionismo, anzi la mia è una visione olistica particolarmente attenta alla persona sofferente. Ti dirò di più, la maggior parte delle persone che vedo non hanno alcuna psicopatologia ma difficoltà contingenti o vivono momenti di crisi. Credo di possedere le competenze per avere cura di queste persone (mi pare di avere fatto 2000 ore di formazione in psicoterapia e centinaia di ore di analisi personale). Mi chiedo allora per quale ragione le persone dovrebbero rivolgersi ai counselor e non a psicologi e psicoterapeuti? Soprattutto, non è meglio che si rivolgano a questi ultimi? Grazie.
Non posso essere daccordo, Cristian. Io ritengo che tutti gli interventi sulla persona svolti al di fuori della patologia (vedi sempre Cassazione: è sanitario ciò che attiene all’evento morboso – prevenzione, sostegno, cura, abilitazione, riabilitazione, etc.) debbano essere liberi e rimessi alla scelta del cittadino, il quale, in totale autonomia deve poter decidere di rivolgersi allo psicologo, al counselor, al prete, al padre spirituale, al mago, allo psicoterapeuta, al medico, etc.
Deve esserci consapevolezza nella scelta e consapevolezza di cosa quella professione/quel professionista è in grado di fare.
Reputo cioè, in buona sostanza, che tali interventi non possano e non debbano essere ritenuti uan riserva professionale.
Il cittadino sceglierà se è meglio uno psicologo con 2000 ore di formazione in psicoterapia alle spalle piuttosto che un altro professionista.
Mi permetto però di farti riflettere sull’ultima frase che hai scritto: “Credo di possedere le competenze per avere cura di queste persone (mi pare di avere fatto 2000 ore di formazione in psicoterapia e centinaia di ore di analisi personale). Mi chiedo allora per quale ragione le persone dovrebbero rivolgersi ai counselor e non a psicologi e psicoterapeuti? Soprattutto, non è meglio che si rivolgano a questi ultimi?”
Ricordati che troverai sempre qualcuno che sta sopra di te, nella catena alimentare, poiché nel mondo sanitario lo psicologo è l’ultima ruota del carro (mondo sanitario nel quale, per me inspiegabilmente, avete fatto di tutto per esserci).
Ricordati, ad esempio, che la PdL sulla psicoterapia convenzionata è miseramente naufragata in Parlamento poiché i medici hanno detto e sostenuto che gli psicoterapeuti psicologi NON sono in grado di fare una diagnosi, e che quel compito spettava a loro.
Ricordati anche cosa pensano gli psichiatri della diagnosi differenziale fatta dagli psicologi: nella migliore delle ipotesi, quando riescono a trattenersi dall’esprimere volgarità, la reputano una barzelletta.
Ricordati anche che, principalmente, l’Ordine degli psicologi nasce su impulso del sindacato per acquisire qualche misero privilegio dentro le ASL.
Insomma, io ci andrei con i piedi di piombo.
Purtroppo, credo che la diatriba tra medici e psicologi esista davvero. Ma i modelli e le teorie a cui le due categorie si rifanno sono molto diverse. Mi pare siano pochissime le ore che gli psichiatri fanno di psicologia all’università (magari qualcuno qui può confermare?).
I counselor hanno come insegnanti psicologi psicoterapeuti, studiano libri di psicologia e hanno come autori di riferimento Rogers, Perls etc. che guarda caso sono altri psicologi e/o psicoterapeuti.
Per quanto riguarda la libertà di scelta. Sono d’accordo sul fatto che le persone sono libere di decidere a chi rivolgersi, ma viste le competenze degli psicologi magari pure psicoterapeuti non dovrebbero esserci tanti dubbi.
Dimenticavo la recente sentenze che stabilisce che la psicoanalisi è una psicoterapia per cui è obbligatoria la laurea in psicologia o medicina, mi chiedo perché non si possa dire sempre la stessa cosa anche per la Gestalt o la terapia centrata sul cliente. Si tratta sempre di un colloquio orientato e già la realizzazione di un solo atto tipico si configura come abuso… Grazie a chi mi sa rispondere.
Non sono né avvocato ne psicologa ma credo che se una persona ha bisogno di sostegno psicologico d ve rivolgersi ad un psicologo psicoterapeuta no di certo a persone che tra un weekend e un altro va a corsi di couselor…in settimana fa la segreteria commerciale …e nei weekend va a fare questi corsi … X poi dare cosa ? Seguire i cosiddetti clienti ? Da quello che so chi va dal psicoterapeuta si chiama paziente … usano il termine clienti come mai ? Perché sanno che non possono usare l’altro termine medico .. insomma in che mani siamo finiti ? Io conosco una persona che sta facendo questi corsi che sinceramente quando avrà finito il biennio di couselor manco con il binocolo la vorrei consultare .. perché sarebbe lei da mandare dal pisicolo .. insomma una che prima fa le unghie i massaggi ecc oppure fa l’impiegata ventennale si inventa di fare questo lavoro ? Follia !!! Cari psicologi e psicoterapeuti cercate tra di voi di aiutarvi e tenere alta la vostra professione e i vostri studi acquisti per decenni … con sacrifici.. perché con questi corsi weekend biennali e triennali sono in pericolo per le persone e i bambini !!!