Il 6 febbraio scorso il Consiglio e il Parlamento Europeo hanno raggiunto un accordo sulla “Direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica” senza includere il tanto discusso Art.5 riguardante il reato di stupro.
Dell’argomento si parla molto in rete da qualche giorno, e purtroppo il punto a cui si è giunti non è confortante.
La “Direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica” è un testo a cui si è faticosamente arrivati dopo un lungo lavoro di ratifica, a livello di Consiglio Europeo, della Convenzione di Istanbul (2011) entrata in vigore soltanto lo scorso 1° ottobre.
Da una parte il testo appena firmato – che andrà in approvazione definitiva ad aprile – ritorna a garantire il riconoscimento e l’inclusione di servizi specializzati nel sostegno e nell’assistenza alle vittime di violenza di genere oltre che a facilitare l’accesso alla giustizia, non solo alle donne ma anche alle persone vulnerabili e ai bambini, introducendo anche aggravanti per reato ripetuto.
Dall’altro lato la cancellazione di articoli relativi ai reati di stupro e molestia sessuale sul luogo di lavoro non può passare inosservata.
Originariamente il testo prevedeva un articolo n. 5, in cui si definiva il reato di stupro come rapporto sessuale in assenza del consenso esplicito della donna, ed è proprio su questa definizione che gli stati firmatari si sarebbero trovati ad avere opinioni differenti che hanno rischiato di bloccare l’intero documento.
La motivazione ufficiale che viene riportata riguarda la competenza dell’Unione Europea nell’ambito del giudizio penale. Motivo per cui si è di fatto cancellato l’art. 5, invitando comunque tutti gli stati ad una sensibilizzazione pubblica sul fatto che il sesso non consensuale sia considerato un reato.
Nelle premesse al testo della direttiva si sottolineava in origine la necessità di accogliere l’assenza di consenso esplicito al rapporto/atto sessuale, come requisito a garanzia della tutela delle vittime di stupro, nonostante si tenesse in considerazione il fatto che gli stati firmatari si basino su valutazioni e definizioni differenti nel parlare di stupro.
Se, come si legge nel testo della direttiva, l’obiettivo è quello di prevenire e combattere la violenza di genere e quella domestica, attraverso “norme minime comuni” – e aggiungerei imprescindibili – non risulta efficace stravolgere completamente la definizione e la sanzione di un crimine così grave come quello di stupro.
In una politica di azioni volte ad affrontare e contrastare la violenza contro le vittime di discriminazioni di genere ed intersezionali, risulta rischioso favorire ed appoggiare un punto di vista così superficiale rispetto al genere e ad i reati ad esso connessi.
La direzione di questa vicenda assume connotazioni ancora più gravi se pensiamo che il testo della direttiva nasce – come detto – dalla necessaria ed esplicita volontà a livello europeo, di ratificare la Convenzione di Istanbul, che nella definizione di stupro, all’Art. 36.2 esplicita chiaramente: “Il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto.”
Le tematiche della violenza di genere, le definizioni dei reati e le parole che usiamo per parlare di questi argomenti non possono essere oggetto di compromesso.
Il rischio è che una mossa di questo tipo indichi una tendenza a voler livellare, minimizzare e rendere neutri concetti che sono alla base del contrasto alla violenza di genere e che la storia, ma tristemente anche la contemporaneità, ci insegnano essere fondamentali.
È stupro ogni atto o rapporto sessuale con una donna senza il suo consenso esplicito e non dovrebbero esserci divisioni di pensiero su questa definizione.