Con il passare degli anni le tematiche LGBTQIA+ diventano sempre più presenti all’interno del discorso politico e per moltə psicologə si rivela essere particolarmente importante mostrare alleanza, solidarietà e vicinanza ad una comunità troppo spesso marginalizzata e che, anche a causa delle discriminazioni subite, verrà spesso a contatto con le professioni legate alla salute mentale.
Tuttavia, talvolta le buone intenzioni non bastano e vanno affiancate ad una decostruzione delle proprie modalità di approcciarsi a determinate realtà. Questo concetto è stato particolarmente evidente in un episodio avvenuto durante il Toscana Pride, al quale era presente anche un gruppo dell’Ordine regionale, con tanto di bandiere e magliette che rimarcavano i principi di non-discriminazione promulgati dal nostro codice deontologico. Durante uno dei discorsi politici, unə attivistə ha nominato, all’interno di un elenco di problemi sistemici che colpiscono le persone LGBTQIA+, la discriminazione da parte di psicologə. Fin qui tutto regolare, non è certo un segreto che la psicologia per decenni ha rinforzato le discriminazioni cis-etero-sessiste e chiunque conosca anche solo una manciata di persone queer sa bene che le loro esperienze con lə collegə sono molto spesso negative, richiedendo spesso diversi tentativi prima di trovare unə professionista che non lə discrimini in qualche modo. Dopo questo discorso una collega si è avvicinata all’attivista e ne ha criticato il discorso, portando la propria presenza e la scritta sulle magliette dell’Ordine come prova a sostegno del fatto che lə psicologə non discriminano, e le ha detto che non avrebbe dovuto dire quelle cose perché la professione è già molto stigmatizzata.
Questo avvenimento può essere un buono spunto sulle problematicità a cui si può venire in contro nel momento all’interno dell’alleanza nei confronti di una causa politica e sociale.
Innanzitutto è importante ricordare che il ruolo di alleatə dovrebbe essere un supporto spassionato, senza aspettative di ritorni economici o di altro tipo. Per questa ragione lə alleatə che di fronte alla minima critica si offendono per l’ingratitudine di chi la muove destano molto sospetto: se supportiamo una causa non dovremmo aspettarci di ricevere elogi o gratitudine e tantomeno possiamo pretendere di essere immuni alle critiche. Questo è un punto da tenere a mente anche leggendo questo stesso articolo, poiché è una risposta molto comune che emerge di fronte alle analisi delle problematicità di alcuni comportamenti. Nessunə pretende la perfezione dallə alleatə, ma è importante che siano in una posizione di ascolto invece di andare in difensiva e partire con le accuse di ingratitudine.
Un altro elemento su cui riflettere è quello della visibilità: quando si parla di tematiche sociali molto spesso le comunità da supportare sono invisibili e marginalizzate, per questo motivo il modo migliore di aiutarle è offrigli uno spazio in cui poter esprimere le proprie istanze, con la cruciale accortezza di non confondere questo tipo di azione con il parlare per loro. Qualunque occasione in cui abbiamo la possibilità di essere visibili dovrebbe essere usata per condividerla con chi non ha voce, non per prendersi il palcoscenico. Questo è il motivo per cui anche durante i Pride viene spesso messa in discussione la presenza di bandiere alleate, simboli di associazioni non prettamente dedicate all’attivismo LGBTQIA+ e di loghi di aziende impiegate nella pratica del rainbow washing.
Lasciare spazio alle voci direttamente interessate permette anche di evitare un altro tipo di problematica: quello di esprimersi senza cognizione di causa. Le persone che si trovano all’interno di un contesto ne sapranno sempre inevitabilmente di più di chi non ha quel tipo di vissuto, che spesso anche in buona fede è portatə ad errori ingenui e grossolani, slogan problematici e esclusioni di alcune parti più invisibili della comunità che si vorrebbe supportare.
Una delle pratiche più importanti quando si fa attivismo è la decostruzione, ovvero il riconoscere che alcune sovrastrutture discriminatorie sono presenti anche dentro di noi perché interiorizzate, così da poter iniziare a smontarle e a capirne l’origine. Questo processo solitamente è molto difficile perché include anche una dose importante di autocritica, sia individuale che sistemica. Nel nostro caso, ad esempio, è importante riconoscere che la psicologia ha rappresentato all’interno della storia LGBTQIA+ un importante nemico, che spesso ha legittimato l’odio sistemico contro questa comunità e che ancora oggi ha tanto lavoro da fare per risolvere realmente il problema annoso della discriminazione all’interno del setting clinico. Riconoscere questo fatto non dovrebbe essere un tabù e accettare che si porti una critica politica a questa situazione storica e attuale è un passo fondamentale se si vuole essere alleatə.
In generale un consiglio utile per chiunque voglia supportare una causa è di farlo senza mettersi in mezzo, senza andare in difensiva, senza sminuire le critiche o dettare le modalità della lotta altrui. Non sempre è facile incarnare questo ruolo, ma essere consapevoli dell’impegno che comporta non può che essere utile nel rapportarsi con i contesti di attivismo e la consapevolezza dovrebbe essere qualcosa a cui puntare sempre, umanamente e professionalmente.