Quando sentiamo parlare di mediazione, generalmente pensiamo alla mediazione familiare. Ma in questo caso si tratta di un settore diverso e per noi psicologi inconsueto: quello del diritto civile e commerciale.
Dal 20 Marzo, è necessario dimostrare di aver espletato un tentativo di mediazione (una forma di accordo stragiudiziale), per chiunque voglia avvalersi del sistema giudiziario per controversie in alcune materie del diritto. Questo significa che la mediazione diventa in qualche modo obbligatoria, essendo condizione di procedibilità per un eventuale procedimento in sede giudiziaria.
Le materie sono molte, e coprono una parte davvero rilevante del diritto:
- CONDOMINIO
- DIRITTI REALI (proprietà e diritti reali minori, come l’usufrutto o le servitù di passaggio)
- DIVISIONE (ad esempio, di beni in comunione di proprietà)
- SUCCESSIONI EREDITARIE
- PATTI DI FAMIGLIA (trasferimento di aziende all’interno della famiglia)
- LOCAZIONE
- COMODATO
- AFFITTO DI AZIENDE
- RISARCIMENTO DEL DANNO derivante dalla circolazione stradale di VEICOLI e NATANTI
- RISARCIMENTO per RESPONSABILITÀ MEDICA
- RISARCIMENTO per DIFFAMAZIONE a MEZZO DELLA STAMPA
- CONTRATTI ASSICURATIVI, BANCARI E FINANZIARI.
La mediazione deve essere svolta presso uno degli organismi di mediazione iscritti all’apposito registro del Ministero della Giustizia, con la conduzione di un mediatore iscritto al registro dei mediatori che abbia svolto una specifica formazione.
Gli ordini professionali possono contare su facilitazioni riconosciute dalla legge per aprire organismi di mediazione, e qualunque professionista iscritto ad albo, oppure qualunque laureato con titolo almeno triennale, potrà accedere ai corsi e svolgere l’attività di mediazione.
L’obbligo di mediare
Qualunque cittadino che abbia un conflitto in uno dei settori individuati, non può rivolgersi al tribunale senza prima aver espletato un tentativo di conciliazione attraverso una mediazione. Questo crea una sorta di passaggio obbligato: prima di andare in causa, le persone devono tentare di mettersi d’accordo davanti a un mediatore.
Questa disposizione, operativa dal mese di Marzo 2011, avrà probabilmente effetti importanti sul sistema italiano, per molti versi impreparato ad affrontare le centinaia di migliaia di richieste di mediazione che perverranno a breve ai pochi organismi di mediazione esistenti.
Ma il tema dell’obbligatorietà è anche uno dei più controversi di questo nuovo metodo di approcciare alle controversie più comuni. Da molte parti si sostiene che l’obbligatorietà è illegittima perché ostacolerebbe il cittadino nella sua libertà, costituzionalmente sancita, di rivolgersi ad un giudice per vedere riconosciuti i suoi diritti.
Il ruolo del mediatore
Il mediatore è una figura peculiare. Non è un giudice, o un avvocato: è un professionista che presta la sua opera per facilitare le persone nel raggiungere un accordo. In questo senso, è una figura che mantiene l’imparzialità del giudice, ma non è chiamata a decidere al posto delle parti, in base ai principi del diritto.
Invece, è nella posizione di aiutare le parti a raggiungere un accordo, da loro stabilito e accettato, che ha valore di scrittura privata e può essere omologato presso un tribunale, assumendo forza di sentenza.
I mediatori non possono esercitare da soli: devono invece operare all’interno degli organismi di mediazione, che sono strutture organizzate per questo scopo. Gli organismi di mediazione possono essere aperti da enti privati o pubblici. Tutti gli ordini professionali (che sono enti pubblici), sono facilitati dalla legge nell’aprire organismi di mediazione, con il solo vincolo di applicare un tariffario stabilito dalla legge. Gli organismi di mediazione degli enti privati invece non hanno vincoli tariffari.
Il problema dell’imparzialità si scontra con quello del pagamento: l’organismo di mediazione è infatti pagato in parti uguali dalle parti, in proporzione al valore della causa. Questo crea già una prima incongruenza, perché espone gli organismi di mediazione alle dinamiche del mercato, e di fatto ne stabilisce l’influenzabilità dai fattori commerciali. Il problema non è banale, specialmente in alcuni settori come quello bancario o finanziario, in cui una delle parti in mediazione è rappresentata da grandi società che ben potrebbero fidelizzare a livello commerciale degli organismi di mediazione, oppure aprirne dei propri con evidenti conflitti rispetto all’imparzialità.
Il ruolo degli psicologi
La mediazione è un processo volto a far emergere gli interessi delle parti che sono in conflitto per qualche motivo. Non si tratta di un procedimento civile, in cui un giudice terzo sente le parti, valuta la situazione ed emette una sentenza secondo il diritto. È invece un processo attraverso cui le persone o i soggetti in conflitto provano a raggiungere un accordo stragiudiziale soddisfacente per entrambi, prima di un eventuale procedimento civile.
L’accordo eventualmente raggiunto non è necessariamente disegnato dalle norme del diritto: ad esempio, in una mediazione per dividere l’eredità fra due fratelli, che secondo la legge avrebbero diritto a metà del patrimonio ciascuno, può anche concludersi con una divisione diversa (ad esempio, 40% e 60%), in cambio della conservazione degli interessi espressi da entrambi (ad esempio, uno dei fratelli può decidere di accontentarsi di un valore inferiore, in cambio della proprietà esclusiva dell’azienda di famiglia che ha sempre gestito).
Credo bastino queste prime informazioni generali per evidenziare il ruolo che lo psicologo può avere in questo nuovo istituto: in quanto esperti di gestione delle relazioni interpersonali, dei processi di decisione, e di valutazione degli interessi e dei desideri delle persone, possiamo validamente offrire il nostro contributo come mediatori.
A differenza di altre categorie professionali, con molta competenza tecnica in settori specifici (si pensi all’agraria, all’edilizia e al condominio, all’errore medico), noi possiamo offrire la capacità trasversale di gestire e comporre situazioni di conflitto relazionale che spesso sono alla base delle controversie dal contenuto manifesto di natura tecnica o giuridica.
Se il fine sociale della mediazione è quello di sciogliere le controversie con soddisfazione di entrambe le parti, nell’ottica di preservare i futuri rapporti di persone che dovranno convivere o condividere ambiti di vita (si pensi al condominio, ai patti di famiglia, alle successioni), allora come psicologi siamo probabilmente fra i professionisti più indicati per la mediazione.
Il ruolo degli Ordini Professionali
La normativa sulla mediazione sembra affidare agli ordini professionali di tutte le categorie un mandato sociale particolare: agevolando molto le procedure per l’iscrizione al registro degli organismi, sembra designare gli ordini e le camere di commercio come gli enti pubblici cui è destinato un ruolo preminente in materia, invitandoli ad aprire organismi di mediazione.
Agli ordini degli avvocati, sono addirittura riservati gli organismi di mediazione aperti presso i tribunali.
Lo spirito di questa scelta è intuibile: si vuole probabilmente affidare agli enti pubblici che rappresentano e governano i professionisti che faranno i mediatori, il compito di gestire la mediazione nel suo complesso. Del resto, il doppio controllo (normativa generale e deontologia professionale) a cui i professionisti con albo sono soggetti, e la natura pubblica degli ordini, sembra offrire una maggiore garanzia per i cittadini che si avvarranno della mediazione.
La posizione contraria degli avvocati
Gli avvocati, che forse più di tutti hanno interesse nel settore della mediazione per gli evidenti contatti con il core della professione, hanno manifestato il loro dissenso per una normativa che ha senz’altro dei limiti. Senza scendere nel dettaglio, molte sono le critiche mosse al nuovo istituto: dai dubbi di incostituzionalità, alle difficoltà di attivare gli organismi dal punto di vista concreto, fino alle comprensibili perplessità dal punto di vista della tutela dei confini professionali e degli interessi di categoria.
Gli interessi degli avvocati sono stati il punto di maggior rilievo per alcune manifestazioni delle associazioni di categoria. Ma il presidente del consiglio nazionale forense, l’avvocato Alpa, ha dichiarato che, pur esprimendo molte perplessità, gli avvocati rispetteranno la Legge e si attrezzeranno per portare la propria competenza nella mediazione.
I dubbi aperti sulla mediazione
Sono diversi i dubbi aperti sull’istituto della mediazione, espressi da più parti. Eccone una panoramica:
Una normativa ancora poco matura: introdotto rapidamente e sulla base di spinte esterne (europee), l”istituto della mediazione di fonda su una normativa con aspetti di fragilità in termini tecnici e di diritto, tanto che alcune parti sembrano in contraddizione con principi costituzionali. Certamente, i tempi ristretti e la mancanza di una tradizione precedente non hanno favorito la giusta maturazione della normativa, e occorrerà tempo perché venga perfezionata.
Un sistema senza tradizione: molti paesi del mondo hanno una lunga tradizione negli istituti per la risoluzione stragiudiziale delle controversie, mentre l’Italia ha un sistema basato largamente sul procedimento giudiziario. Se questa situazione ha dei pregi (ad esempio, la garanzia per il cittadino), ha anche dei limiti importanti (il numero enorme di controversie “minori” che attraversa per anni le aule dei tribunali, con tempi lunghissimi di risoluzione e costi ingenti a fronte di cause dal valore limitato). Tuttavia, l’introduzione “a freddo” di un nuovo istituto come la mediazione, in un sistema sociale, commerciale e giudiziario che non la conosce e non la utilizza in modo naturale, implica tempi fisiologici di adattamento, e prevedibili difficoltà.
Il pericolo di una applicazione solo “di facciata”: è uno dei potenziali pericoli insiti nell’introduzione forzata di un istituto in processi già molto consolidati. Nella prospettiva peggiore, potrebbe succedere che la mediazione sia vissuta ed espletata soltanto come un passaggio obbligato in più, una formalità da espletare per poter andare in tribunale, più che come l’opportunità di risolvere prima e con minori costi una controversia.
Un’eventualità del genere significherebbe la perdita delle potenzialità della mediazione, che non solo permette di ridurre i tempi di risoluzione delle controversie, ma anche la possibilità di concordare con l’altra parte un accordo “tagliato su misura” invece che imposto dal giudice sulla base del diritto.
I limiti tecnico-giuridici: sono diverse le parti della normativa a non convincere da punto di vista tecnico-giuridico. Pare evidente che la normativa è stata concepita e scritta in tempi troppo brevi, senza una base nella prassi e quindi con la difficoltà di dipingere uno scenario del tutto ipotetico. Questo espone l’istituto a incertezze applicative che oggi non si possono prevedere, ma che inevitabilmente si presenteranno nel momento dell’applicazione concreta.
Gli accordi potenzialmente nulli: molti mediatori saranno professionisti con una conoscenza poco approfondita del diritto. Questo potrebbe portarli a non accorgersi che le parti stanno sottoscrivendo accordi contrari alla legge o all’ordine pubblico, e quindi potenzialmente nulli. Un correttivo senz’altro applicabile nella pratica è quello di mantenere, nell’organico dell’organismo di mediazione, uno o più avvocati. Tuttavia, il rischio civile per il mediatore e per l’organismo di mediazione è rilevante: la parte che nella nullità di un accordo riporta un danno, potrebbe rivalersi su chi ha condotto la mediazione.
Per questo motivo, la normativa stabilisce l’obbligatorietà di una polizza per il rischio civile dell’attività di mediazione, che resta comunque una tutela per casi specifici, ma non per gli aspetti strutturali e sociali di questo problema.
Gli organismi di mediazione: attualmente sono poco meno di duecento, anche se molti sono in fase di accreditamento. Molti organismi nasceranno da zero, negli ordini professionali, mentre altri saranno una evoluzione degli organismi già presenti nelle CCIA, e altri ancora saranno aperti da società private, con contatti più o meno stringenti con banche, assicurazioni e avvocati.
Il funzionamento effettivo di queste nuove realtà è oggi un’incognita, e molte perplessità derivano dall’effettiva possibilità che gli organismi (specialmente quelli privati) possano essere terzi ed imparziali rispetto ai grandi interessi che sono chiamati a trattare, anche in virtù dell’esposizione alle dinamiche del mercato che deriva dal fatto di essere pagati dalle parti, in base al valore della controversia.
Un esempio per tutti, fra quelli che si possono trovare oggi nei forum di discussione: pensiamo al caso della mediazione per un risarcimento per infortunio stradale, in cui una delle parti è una compagnia di assicurazione che affronta centinaia di procedimenti di mediazione all’anno. Questa compagnia avrà tutto l’interesse a rivolgersi sempre allo stesso organismo di mediazione, con cui stabilirà un rapporto “fiduciario” che, di fatto, è anche commerciale.
Dal momento che l’organismo in cui si svolge la mediazione è quello in cui una delle parti inoltra per prima la domanda, una grande compagnia assicurativa (o una banca) può attrezzarsi per inoltrare tempestivamente le domande di mediazione presso un organismo di fiducia, che quindi dovrà molto del suo fatturato a questo “cliente”, con inevitabili dubbi rispetto all’imparzialità.
Per ritardare il raggiungimento di un accordo vincolante nei casi che prevede si risolveranno a suo svantaggio, una compagnia assicurativa (o una banca) potrebbe inoltrare la domanda di mediazione in organismi molto lontani dal luogo di residenza dell’altra parte, ostacolandone la partecipazione con un doppio vantaggio: il primo perché la normativa prevede che il giudice possa desumere, dalla mancata partecipazione, elementi probanti (avversi alla parte che non ha partecipato), il secondo perché in questo modo posticipa di anni la liquidazione di quanto dovuto.
Ed ora affrontiamo lo scenario più ardito: questa stessa compagnia di assicurazione (o banca) potrebbe benissimo investire in mediazione i propri capitali, attraverso l’apertura di un organismo gestito in modo indiretto.
Conclusioni
Chi vivrà vedrà, recita un vecchio detto. Ed è proprio il caso della mediazione, che ha in sé importanti possibilità sociali e grandi potenzialità per l’impiego degli psicologi, ma anche grandi punti interrogativi.
Un punto ulteriore riguarda gli ordini professionali, che oggi sono divisi: in tutte le categorie, vi sono Ordini regionali o provinciali che hanno scelto la strada dell’attesa e dell’informazione ai colleghi, Ordini che invece hanno scelto di aprire al proprio interno degli organismi di mediazione, e Ordini che hanno scelto di aprire anche enti di formazione accreditati per offrirla ai propri iscritti.
Anche in questo caso, è difficile stabilire oggi quale sia la scelta migliore: la valutazione è fra un atteggiamento di vigile attesa, che ha il rischio di perdere un’opportunità che potrebbe essere preziosa, e l’impegno operativo e di risorse nel settore, che presenta un certo “rischio d’impresa” ma anche la possibilità di cogliere tempestivamente le eventuali opportunità della mediazione, nell’interesse degli iscritti.
Per chi fosse interessato al tema come professionista, il miglior modo per approcciarsi è di non accontentarsi degli articoli introduttivi (come questo che state leggendo) o delle pubblicità dei corsi di formazione che oggi fioriscono, ma di approfondire nel dettaglio la normativa, facilmente reperibile in internet, di cui lascio la lista a piede.
Un passo ulteriore, da ponderare attentamente in base alle proprie inclinazioni e valutazioni, è quello di iscriversi ad uno dei numerosi corsi di formazione accreditati. Tuttavia, questo passo non dovrebbe essere fatto, a mio avviso, senza una preventiva conoscenza approfondita della normativa.
Riferimenti Normativi
I più importanti:
DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2010, n. 28 | Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.
- DECRETO MINISTERIALE 18 ottobre 2010, n. 180 | Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonchè l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
Altri riferimenti:
- Decreto legislativo n.179 del 8 Ottobre 2007;
- Regolamento attuativo del Decreto Legislativo 179 del 8 Ottobre 2007, concernente la conciliazione e l’arbitrato presso la CONSOB e relative procedure;
- Legge n. 69 del 18 Giugno 2009.
“molti mediatori saranno professionisti con una conoscenza poco approfondita del diritto. Questo potrebbe portarli a non accorgersi che le parti stanno sottoscrivendo accordi contrari alla legge o all’ordine pubblico, e quindi potenzialmente nulli.” Tipo gli psicologi. Lascerei stare questa seppur “ghiotta” via per creare posti di lavoro: con l’attuale formazione degli psicologi, e la complessità del diritto in Italia, non basta un corsetto “forense” per diventare mediatori efficaci. Mi auguro che gli unici mediatori accreditati saranno gli avvocati, non abbiamo bisogno di italianate o altre chimere professionali tipiche del Belpaese. Gli psicologi facciano gli psicologi.
L’ennesimo corso a pagamento….ma chi non ha soldi non può più formarsi? Le proibitive scuole di psicoterapia non bastano? Poi si parla di servizi di psicoterapia aperti a tutti anche a chi non può pagare….e chi li eroga? a discapito della qualità? Da persona non abbiente,ma molto preparata e desiderosa di crescere sempre più professionalmente, per offrire un servizio ottimo a chi ha bisogno, vorrei che ci mobilitassimo tutti per aprire a chi non può permettersi rette astruse, la possibilità di frequentare le scuole di psicoterapia universitarie senza passare per “l’inutile ed umiliante” concorso di accesso per l’ingresso magari di “un” solo candidato!!!
Dimentcavo…da quando mi sono laureata (Laurea Magistrale) ho svlto il lavoro di psicologo solo da “volontario”….mai a pagamento e nelle strutture ospedaliere non si può avorare se non hai la specializzazione…ma se non vengo pagata come me la pago sta specializzazione????Perchè non pagano loro noi per frequentare le scuole???I “lavoretti” finora svolti, mi permettono solo di sostentarmi appena…
La mediazione è un processo psicologicoi molto delicato non improvvisabile ne in ambito familiare con tutti i risvolti patrimoniali,matrimoniali ed altri accordi tra coniugi,impliciti e o espliciti vedi australiani) per esempio,ma anche in altri ambiti come le liti di codominio ed altri conflitti su cui non mi dilungherò.
Molti tra dottori non sono neanche avvocati e se lo sono o solo procuratori per essere all’altezza dei loro propri ambiti (legali)e del bel diritto di procedure che in altri ambiti dovrebbere rispettare la professione normata dello psicologo e se specializzati che essi non confondano la mediazione con accordi “fuori legge se non addirittura”
altri aspetti della “conflittualità” su cui gli psicologi hanno professionalmente da dire qualcosa a chi invita gli psicologi a fare quello che da sempre hanno fatto nell’abito della 56/89 e che gli avvocati facciano almeno un corso di mediazione giuridica con le dovute distinzioni tra il commerciale,il condominiale ed il familiare,
a prescindere dai propri emendamenti gestionali,dovendo essere lo specialista del “conflitto” il primo ad essere interessato a che questo dispositivo di Legge 56/89 non venga ne saltato ne escluso ma applicato in tutta la deontologia che compete agli PSICOLOGI,con quella approvata e vigente a tutt’oggi.Che gli avvocati facciano gli avvocati ed anche i commercialisti dottori e facciano il loro proprio lavoro nper il quale sono abilitati,al resto come psicologi ci stiamo non solo pensando da almeno ed oltre la datazione della 56/89.Che mi risulti gli abusi sono di tutte le categorie mentre LA MEDIAZIONE richiede delle competenze che gli avvocati non hanno mai avuto,per questo prima di entrare in merito a cosa debbano fare gli psicologi frequentino per legge dei corsi dove SOLO LO PSICOLOGO ABILITATO deve spiegare loro la differenza ,come processo psicologico ed altri risvolti commerciali di atti nulli anche in presenza di “giudici”…
La legge 56/89 è uguale per tutti.LA DEONTOLOGIA INOLTRE VIETA ALCUNE COSE TECNICHE DI ESCLUSIVA COMPETENZA DELLO PSICOLOGO.
ciao Dimarco
scusami, ma non ho capito una parola del tuo post. Pare prodotto con un generatore casuale di parole…riesci in una riga a farmi capire cosa vuoi dire, qual’è la tua posizione a riguardo? grazie