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Quanto sta avvenendo a seguito della riforma delle “Lauree Abilitanti” ha un alto impatto sull’ecosistema della Psicologia Italiana.
Può essere utile svolgere alcune riflessioni sulle possibili implicazioni per tutte le componenti della filiera formativa (Università, mondo della professione, Ordini, etc.).

Una trasformazione troppo rapida e poco elaborata?

Stimolata da un’attiva e coordinata azione di associazione studentesca nel periodo pandemico, la proposta di Laurea Abilitante è stata raccolta dal Legislatore.

Ma la Laurea Abilitante è stata inserita in normativa (L.163/2021) prima che si potesse svolgere un’adeguata condivisione e riflessione “strategica” dei suoi impatti organizzativi.
Alcune spinte politiche nazionali e la fretta, eccessiva, del CNOP di volersi adeguare ai modelli di altre professioni sanitarie (che hanno numeri nettamente inferiori e modelli di organizzazione formativa diversi dai nostri) hanno prodotto un impatto brusco su una categoria che aveva stabilizzato il proprio modello di “professionalizzazione” (laurea magistrale, tirocinio annuale post-lauream, Esame di Stato) da quasi 30 anni.

Il cambiamento è stato repentino, non chiaro nei tempi applicativi, e impattante sui processi gestionali di vari Enti; insomma, un piccolo tsunami istituzionale, che le complessità dei tre Decreti Ministeriali che ne descrivono le varie fasi (DM554, DM567, DM654) non hanno aiutato ad affrontare.

Cosa cambierà a regime?

Non ci sarà più il Tirocinio annuale post-lauream, che a regime (a partire dal prossimo anno) verrà assorbito e anticipato nelle Lauree Magistrali (per 20 crediti formativi) e Triennali (10 crediti), per un totale complessivo di 30 Crediti, pari a 750 ore in tutto.

Il Tirocinio Magistrale dovrà essere effettuato, per almeno 14 Crediti su 20, fuori dalle Università, per permettere al tirocinante di avere un minimo di esposizione ai temi professionali “sul campo”;

Non ci sarà più il classico Esame di Stato, che sarà sostituito da una PPV (Prova Pratico-Valutativa): sarà una prova orale unica, che si focalizzerà solo sul tirocinio svolto e su temi di legislazione e deontologia professionale. Dopo aver superato la PPV si potrà discutere la tesi di laurea e si sarà “abilitati” alla professione.

Un percorso quindi molto diverso dall’attuale, ridotto in lunghezza dagli attuali 6 anni e mezzo a 5 anni circa; con una componente professionalizzante molto più breve, inserita nel percorso universitario.

La normativa presenta però alcuni passaggi non lineari; la sua interpretazione ha messo a dura prova gli Uffici Legali di molti Atenei.
Dubbi che il Tavolo Tecnico Nazionale CNOP-AIP-CPA ha cercato di risolvere per costruire un necessario allineamento nazionale tra le varie “componenti del sistema”.
Purtroppo disallinearsi sugli aspetti applicativi, andare “ciascuno per il suo” su una questione così trasversale e complessa, crea danni a tutti.

I nodi aperti

Ed eccoci ai nodi che – a livello di Comunità professionale – richiedono la massima attenzione.
Questa riforma va a eliminare il tirocinio annuale post-lauream, riducendo le 1000 ore attuali a 350 ore di attività “esterne” e 150 interne nelle Lauree Magistrali (più altre 250 interne alla Triennale)

Una riduzione netta della parte più professionalizzante del percorso, che può esitare in un indebolimento identitario e di autonomia professionale, e necessita quindi la massima qualità dei tirocini e del loro aspetto pratico; compreso il trasferimento di competenze deontologiche e di conoscenza del mercato della professione, su cui molti Atenei sono tradizionalmente in difficoltà.

Altrimenti le prossime coorti di abilitandi saranno ancora più “fragili” in termini di skills professionali e inserimento nel mondo del lavoro, quindi più deboli da un punto di vista economico, con autonomie ridotte e una maggiore necessità di compensare queste carenze rivolgendosi al mercato formativo post-lauream.

Le sfide organizzative sono “equidistribuite” tra tutte le componenti del sistema:

Per le Università si tratta di cambiare paradigma: dal prossimo anno non formeranno più “laureati in psicologia”, bensì “Psicologi”.
Cambia il profilo che la filiera universitaria ha la responsabilità diretta di costruire.
Una sfida impegnativa, tenendo conto che molti docenti universitari di Psicologia non sono iscritti agli Ordini (una strana situazione, quasi unica della nostra categoria rispetto ad altre professioni).

Gli Atenei sono preoccupati del carico gestionale, dell’eccessiva riduzione dei tirocini interni che può creare problemi alla filiera formativa della ricerca; del problema dei tirocini in inglese per gli studenti dei corsi di laurea internazionali, della necessità di ristrutturare gli Ordinamenti didattici in velocità e con scarso supporto esterno.

Per gli Ordini si apre una stagione impegnativa di supporto organico e istituzionale agli Atenei e ai tutor/sedi esterne di tirocinio e di supporto alla fase di inserimento nel mondo del lavoro dei giovanissimi neoabilitati con ridotta esposizione al mondo del lavoro.
Per gli Ordini di Regioni ad alta densità di Atenei e studenti, i carichi operativi risultanti potranno essere estremamente impegnativi da gestire.

Per i colleghi che operano come Tutor, la sfida di integrarsi col sistema universitario, ed accompagnare gli studenti ad acquisire “sufficienti” competenze di base in meno tempo; dovranno veicolare competenze di contenuto, ma anche di contesto e di processo (conoscenza del mercato della professione, skills trasversali, competenze deontologiche, etc.).
I Tutor saranno invitati inoltre a partecipare a percorsi formativi e di aggiornamento; utili per “allineare” maggiormente le (spesso troppo eterogenee) modalità di tutorship attuale, ma un ulteriore impegno per chi sceglie di fare il Tutor.

E qui si aprono le dolenti note: il ruolo del Tutor diventa ancora più denso di responsabilità ma non sono previste forme di incentivo professionale o supporto economico per questi ruoli strategici.

Allo stesso modo i compensi dei Commissari EdS (e della futura PPV, plausibilmente), continuano ancora ad essere regolati da un Decreto del 1999 che prevede una compensazione economica imbarazzante, a fronte di grande lavoro e responsabilità.

Se Ordini e Atenei non costruiranno insieme forme alternative di incentivo professionale, i potenziali Commissari e Tutor potrebbero pensare che “il gioco non valga la candela”, che l’assunzione degli onerosi carichi non sia adeguatamente riconosciuta o incentivata, rischiando di bloccare l’intera filiera formativa dei tirocini (necessari anche per laurearsi, quindi con tempistiche rigide).

La necessità di navigare insieme

La categoria degli Psicologi ricorda purtroppo spesso l’Italia dei “Cento Campanili”: accademici versus professionisti; psicoterapeuti versus psicologi; strutture pubbliche versus strutture private, etc.

Siamo caratterizzati dal desiderio di occuparci della nostra Identità (da tutelare a tutti i costi in quanto spesso vissuta come “veramente centrale della Psicologia”), e dal Pregiudizio sull’Identità Altrui (secondaria o non così strategica come la propria…).

Il sistema classico di avvio alla professione consentiva alle varie componenti di non interagire troppo, rimanendo ciascuna nelle proprie “comfort zones” di… orgoglio e pregiudizio reciproco.

Un vecchio classico di J.K. Jerome descrive perfettamente ciò che queste tre componenti (Accademia, Ordini, Tutor) ora dovranno vivere: stare tutti e tre sulla stessa barca e cercare di navigare in modo “sufficientemente buono” fino all’orizzonte.

Il libro di Jerome veicola un insegnamento che dovremmo fare nostro: possiamo avere caratteri e obbiettivi diversi, la convivenza può essere a volte complicata; ma su quella barchetta nel Tamigi si sopravvive solo se si naviga insieme.