Il lavoro resta un tema centrale per gli psicologi. Come si può affrontarlo negli Ordini?
Per me i quarant’anni non sono ancora suonati. Vivo di psicologia, eppure non ho un contratto di lavoro stabile nel senso tradizionale del termine. Oggi non mi sento un ‘precario’, ma devo dire che spesso è stata dura. Durante l’università per vivere ho fatto il pizzaiolo, ogni sera per cinque anni. Precario? non lo so: lavoravo in nero e il mantenimento del lavoro dipendeva molto da come andavano gli affari e da come lavoravo.
Soltanto una volta ho avuto un contratto a tempo indeterminato. Da psicologo. Il paradiso? no, l’esperienza professionale più precaria della mia vita. Ho imparato al volo che un contratto non garantisce il pane: occorre lavorare molto e avere un po’ di sana fortuna, se si vuole sopravvivere. Occorre raddoppiare gli sforzi e la fortuna, se oltre a vivere si vuole essere buoni psicologi. Poi forse può arrivare un contratto di lavoro stabile, che è utile. Ma credo che ad un certo punto non sia più indispensabile.
Una lotta per la sopravvivenza. Ma noi psicologi siamo così soli nell’affrontare la ricerca di un lavoro? è solo una questione individuale?
Altrapsicologia è nata su alcuni pilastri. Il lavoro è uno dei pilastri. Ma il problema occupazionale di una categoria che è composta al 90% da liberi professionisti non può essere limitato dalla definizione di ‘precariato’. Se ci vediamo in questi termini, rischiamo di ridurci ad un comparto di lavoratori di varia estrazione, difficile da definire in termini di mansioni, che si aspetta da un Padre-Padrone il salario garantito e qualche garanzia.
Il problema degli psicologi non è il mero ‘precariato’. C’è altro. Uno potrebbe pure essere precario, con più clienti su cui distribuire il rischio e un remunero economico sufficiente, come fa in teoria libero professionista. Ma la teoria si scontra con la pratica: è il reddito troppo basso rispetto alla natura specialistica delle nostre prestazioni e al rischio imprenditoriale, a fare povera la nostra professione. Il centro della questione non è solo l’instabilità: un professionista costruisce la propria stabilità lavorando bene e offrendo competenze specialistiche.
Quello che manca oggi agli psicologi è la corretta remunerazione del rischio d’impresa, e dei costi che sosteniamo per arrivare ad esercitare.
Non dobbiamo accontentarci di ‘trovare lavoro’: dobbiamo anche creare il contesto perché il lavoro sia vero, redditizio a sufficienza, e stabile grazie al fatto che la società conosce e apprezza gli psicologi.
Lo possiamo fare con la promozione e l’innalzamento della qualità del nostro operato, attraverso il lavoro di ciascuno di noi ma soprattutto con i nostri Ordini e le nostre associazioni di categoria. Soprattutto, attraverso un senso di comunità professionale. É una sfida, quella che lancio. Ma anche un invito alla speranza.
Noi psicologi dobbiamo abbandonare l’idea che il nostro ruolo sia secondario a qualcuno, che il mondo non ci voglia e che orde di abusivi possano facilmente fregarci il lavoro. Non siamo così deboli. Ma non possiamo sederci sugli allori. La nostra è una professione, prima che un lavoro.
Un professionista gestisce e guida i processi, non li subisce. Crea lavoro per sé e per altri, non lo aspetta come un diritto garantito. Il lavoro non è un regalo che altri debbono farci, ma la conseguenza di un modo adeguato di porci sul mercato come categoria professionale.
Non siamo soli. Siamo una comunità professionale. Gli ordini appartengono a tutti noi. Dobbiamo solo farli rinascere. Spetta a chi governerà nei prossimi anni espellere definitivamente le tossine che indeboliscono la psicologia professionale, e far spuntare le ali per spiccare il volo all’interno della società italiana.
Gli Ordini sono strumenti per migliorare il rapporto fra psicologi e cittadini. Sono una delle vie per tradurre la professione in lavoro.
Gli Ordini non sono e non devono essere agenzie per il lavoro, ma potenti produttori di occasioni grazie ad un’azione vivace e turbolenta nella società e nei luoghi di lavoro degli psicologi.
Il compito dei consigli degli Ordini è l’innovazione, anche per il lavoro degli psicologi.
Grandi parole e pensieri, ma senza formazione professionale adeguata e senza contesti che possano fare da training adeguato la professione di psicologo è destinata ad essere sempre più un inferno. Continueranno tagli al privato sociale (QUI IN VENETO STANNO CHIUDENDO COOPERATIVE OGNI GIORNO E FALCIANDO TREDICESIME) come è normale che sia, essendo esse in gran parte dei carrozzoni inefficienti e lo Stato ha finito i soldi.
Gli psicologi scontano un’ignoranza abissale rispetto ad altri professionisti in quanto a cultura e mentalità professionale, sono arretrati di almeno 20 anni rispetto alle reali necessità per essere professionisti oggi, nel 2014 con questo assetto socio-economico mondiale.
E’ come voler entrare nella foresta amazzonica usando solo un coltellino svizzero: auguri.
Mi rendo sempre più conto di quanto questa sia una professione anche troppo abbozzata, eterogenea, confusa e dai piedi d’argilla. Condivido la necessità dell’ottimismo della volontà, ma quello della ragione è impossibile da generare.
Anche perchè, se anche si imboccasse la strada giusta e si procedesse in fretta, i tempi sono tali che forse la generazione di psicologi che oggi è al primo anno di psicologia vedrebbe i primi benefici e miglioramenti. Il cambiamento culturale e istituzionale per radicarsi e mostrare effetti ha tempi medio lunghi. Chi oggi ha dai 30 ai 40 anni o è già sistemato di suo perchè c’ha dato dentro ed è capace (come te) oppure ritengo non abbia speranza, e sarebbe meglio che pragmaticamente pensasse a qualche evoluzione lavorativa e di carriera un attimo più creativa, e prendendo della flessibilità a piene mani si ricollocasse in nuove iniziative, spesso più produttive che star li a girare sempre attorno a questa benedetta psicologia, amata da tutti ma veramente figlia di nessuno. Saluti e buone cose.
La professione “Psicologia” non esiste in Italia ed è questo il problema.
La psicologia non è di suo una professione dai piedi d’argilla, ma è l’Italia un paese dai piedi d’argilla che ha sventrato aspettative e speranze di molti.
Sono psicologo, ho lavorato nel sociale per anni, ora nella formazione, sempre precario, sempre con difficoltà.
Lo psicologo in Italia è un mercato che pochi sfruttano a danno di molti e le cooperative sono solo la rappresentazione di una scarsissima capacità organizzativa italiana.
Si è appaltato tutto, si sono spesi soldi a palate senza creare sani posti di lavoro in questo folle delirio Italiano in cui gli enti locali o appaltano all’esterno o assumono qualcuno (che non possono fare). I soldi che si spendono per un normale servizio di tutela minori ad esempio, se invece di avere intermediari finissero in tasca alla persona che lavora (con tasse e tutto) avremmo servizi migliori, meno spese e più ore a disposizione.. ma non è così.. Questo potrebbe essere esteso a molti altri settori..
Non si è mai posta una reale strutturazione della professione, si sono infilati decine di migliaia di persone dentro percorsi carissimi e che non hanno alcun sbocco lavorativo creando situazioni per cui chi è in gamba e ha lavorato bene magari l’ha spuntata, ma sono mosche bianche in un panorama desolante.
L’immagine dello psicologo ricalca ancora dei modelli quasi esclusivamente clinico/ terapeutici e, a fronte di un numero spropositato di psicologi in Italia (vero e proprio sistema cannibalistico verso le nuove generazioni) non abbiamo servizi essenziali come lo psicologo scolastico, lo psicologo di base, personale che lavora nel sociale territoriale, non siamo inseriti nelle aziende in modo professionale, non si fa orientamento, i servizi presenti sono vecchi e ricalcano un modello italiano di potere. Relegare questa massa di persone alla libera professione (quindi quasi mai contratti normali) è una posizione di una fragilità spaventosa che spezza le gambe, in periodi di crisi anche a quelli più bravi e capaci.
Sono una persona che sinceramente ad un certo punto si era stancata della psicologia, del precariato, in un moto di rabbia per una situazione lampante di sfruttamento e impossibilità alla crescita.
Ma non è questa la strada. La psicologia ha un fortissimo valore in termini di utilizzo delle competenze, ma gli psicologi vanno orientati verso diversi sviluppi professionali e la società va messa in connessione con questo. Quello che si assiste è invece un perdere terreno: Roma sotto Medicina, Padova sotto scienze dell’educazione/ filosofia/ ecc… siamo tornati indietro di più di 20 anni.. chi ha portato la psicologia in Italia, ha combattuto per il suo riconoscimento, ha lottato per far emergere (e con grande fatica) questa professione non aveva questa situazione in mente.
Ci sono atti concreti da mettere in campo e ho conosciuto persone (qua in AltraPsicologia Lazio c’è un gruppo di lavoro eccezionale) con una grandissima voglia di cambiamento… non si deve girare attorno alla psicologia, non si deve fissarsi su percorsi lavorativi standard e inutili, ma si deve riportare la psicologia al centro del proprio bagaglio di competenze ed utilizzarla nel migliore dei modi.. e chi lo capisce deve contribuire a dare una mano ad altri che sono stati convinti che certe strade fossero le uniche praticabili.
Ognuno può desiderare di fare lo psicologo o lo psicoterapeuta o l’astronauta o il commesso del supermercato.. ma quando tutti vogliono fare la stessa cosa le spiegazioni sono due: o sono tutti incoscienti o probabilmente il sistema informativo e di orientamento e sviluppo professionale è praticamente inesistente.. inutile dire che in Italia la seconda opzione è sicuramente quella corretta.
bel post, condivisibile completamente. Direi che anche la prima opzione, comunque, non sbaglia di molto. Pecoroni in fila.
E’ triste leggere questo blog. Non solo per la situazione economica, politica, culturale di grande arretratezza che ne viene fuori, non solo per la sensazione di una profonda mancanza di appartenenza e della mancanza di quegli strumenti di analisi che proprio la ns formazione avrebbe dovuto darci, ma perchè è lo specchio di quanta responsabilità abbiamo avuto come categoria a creare tutto questo e di quanta responsabilità ha avuto chi ci ha formato. Senza entrare in nessuna polemica, voglio riportare la frase in epigrafe ad un testo di Riccardo Venturini, che negli anni ’90 è stato docente della cattedra di Psicofisiologia Clinica dell’Università di Roma La Sapienza. ” A Quanti giovani ancora non abbiano messo il loro Dio nella loro carriera”.(Carlo Michelstaedter)
o ancora: “Profondi cambiamenti nella cura e nell’assistenza alla follia non sono stati possibili se non quando sostenuti da passione etica e civile. ” (Fausto Rossano).
E se la verità stesse dietro la negazione (che sappiamo essere un meccanismo di difesa)? E se fosse vero che il mondo non ci vuole e che il nostro ruolo è secondario a qualcuno? Questa secondo me è la nevrosi dello psicologo: fratelli minori dei medici, figli poco desiderati della società. Che gli psicologi si facciano una ragione di ciò e vivranno meglio.