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legnataChe legnata.

Per i counselor e i loro formatori sembra perduto anche l’ultimo bus, quello della legge 4/2013, che riguarda le professioni non riconosciute e che poteva consentire di svolgere di fatto attività di sostegno a soggetti che invece di chiamarsi psicologi si chiamano counselor.

Una pacchia il counseling, si esercita e si può non fare l’università, il tirocinio, l’esame di stato: un sacco di noie… comodo no?

Invece no. Perché l’interferenza, la sovrapposizione del counseling con un’attività sanitaria riconosciuta e normata, la psicologia, è vietata anche dalla liberalissima legge 4. Per questo da un po’ a questa parte i counselor hanno smesso di usare certe definizioni, ad esempio se ne guardano dal dire di svolgere “un’attività professionale in grado di favorire la soluzione di disagi esistenziali di origine psichica” (Sico, 1993). Oggi è quasi una bestemmia, da occultare come i gattini di polvere sotto l’armadio, per nascondere così cosa si faccia realmente, o cosa si aspira a fare. Ma se non lo dici, cosa rimane del counseling? Una descrizione troppo generica per chiunque, ci dice il TAR del Lazio…. quindi? Quindi: beh, quindi a casa.

Da oggi chiunque voglia riprendere il discorso (ad esempio a livello di Consiglio di Stato) sarà obbligato ad affrontare il tema della differenza:

  • tra sostegno e counseling, ma
  • tra competenze dello psicologo albo B (ex l.170/05) e counselor.

E sarà dura, anzi durissima.

elencoIntanto, proviamo a fare il punto.

Primo. La legge che stabilisce l’esistenza degli psicologi serve ai cittadini per tutelare il diritto alla salute.

La legge 56/89 esiste per un motivo. Questo motivo è la tutela dei cittadini dalla pratica indiscriminata della psicologia. Che deve essere riservata ad alcuni soggetti che abbiano una laurea, un periodo di tirocinio e un esame di stato. Questo è un primo punto: l’interesse tutelato dalla legge che istituisce la figura professionale dello psicologo è il diritto alla salute dei cittadini che allo psicologo si rivolgono.

Secondo. Solo gli psicologi possono usare strumenti e tecniche di conoscenza e intervento sui processi psichici.

Questo punto emerge chiaramente dalla giurisprudenza e da alcuni importanti documenti, uno a cura dell’OPL e a firma Campanini-Grimoldi, un secondo del CNOP a firma Vannoni, entrambi del 2013.
È un atto psicologico quello che si trova all’intersezione di tre coordinate: è uno strumento, è usato a scopo conoscitivo o di intervento su contenuti psichici, proviene da una tradizione culturale scientifica. Tutto ciò che serve a fare diagnosi, prognosi, terapia è quindi riservato. Tra le azioni concrete compaiono in giurisprudenza come atti riservati il colloquio clinico e i test, anche in ambito di psicologia del lavoro. Non a caso, la prima sentenza per esercizio abusivo della professione (la Platé) riguardava un selezionatore di personale.

Terzo. Se sembri uno psicologo sei abusivo (Corte di Cassazione n° 11545/2011).

L’esercizio abusivo di professione si configura come reato (ndr), “allorché venga realizzato con modalità tali, per continuità, onerosità e organizzazione da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale”.

Quarto. Se fai un lavoro superficiale non serve (ma se lo fai approfondito sei abusivo) (sentenza Conversano, 706/2014)

“ben difficilmente la persona che si trova è stato di disagio per una causa di rilevanza psichica può trovare benessere per un problema qui e ora senza affrontare la causa del malessere patologico”.

giustiziaQuinto. Anche solo insegnare strumenti psicologici a non psicologi equivale a facilitare la commissione di un reato (sentenza Zerbetto, 10289/2011)

…poiché l’articolo 1 della l.56/89 stabilisce che “la professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento…” deve convenirsi che l’insegnamento dell’uso degli strumenti a persone estranee equivale in tutto e per tutto a facilitare l’esercizio abusivo della professione, ciò che la legge e il codice deontologico (art. 9) tutelano direttamente prescrivendo comportamenti attivi per impedirlo.

Sesto e ultimo. Ci prendete in giro? La sovrapposizione tra psicologi e counselor è evidente (TAR Lazio, 13020/2015).

La descrizione delle attività del counselor fornite da assocounseling (ndr) “… è anche talmente generica da potere comprendere una vasta gamma di interventi sulla persona, sfuggendo ad una precisa identificazione dell’ambito in cui la stessa viene a sovrapporsi all’attività dello psicologo. Certamente, poi, è evidenziabile una interferenza con il settore di intervento degli psicologi cd. Junior.”

Chiaro, no? Sembri uno psicologo, fai azioni da psicologo, ti fai insegnare il mestiere da psicologi, ma non sei abilitato a esercitare: amico mio, emerge ed emergerà sempre di più.

Sei un abusivo, indipendentemente dal nome che ti dai.