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Un “Atto di Pacificazione”.
Questo è il significato della Consensus Conference sul counseling, che il CNOP ha annunciato di avviare ufficialmente.
Il presidente del CNOP Fulvio Giardina sembra proprio svelarci significato del tutto politico della Consensus Conference sul counseling durante una conferenza stampa, l’ultimo atto di una procedura che si conferma in ogni sua fase del tutto surreale.

Una conferenza stampa che fortunatamente è andata del tutto deserta, tranne che per la presenza del sottoscritto.
Non fosse bastato presentarsi davanti alla platea di Assocounseling e apostrofarli con un “Cari Colleghi”, Fulvio Giardina ha confermato definitivamente la sua simpatia nei confronti del mondo del counseling.

E’ infatti l’ora di finirla, ci dice Giardina, di vedere i counselor come nemici.

Ad ascoltarlo due segretarie, i membri del comitato promotore regolarmente convocati (immagino con gettone di presenza), e noi di Altrapsicologia.

Basta inimicizie con i counselor, quindi.

E pazienza per il problema gigantesco di esercizio abusivo della professione: facciano silenzio quei noiosi, come quelli di AltraPsicologia, che sostengono che il counseling sia solo un trucco per evitare la riserva di Legge nell’esercizio della professione psicologica.
Del resto, un presidente dell’Ordine degli Psicologi “normale” che ricevesse da una rete di soggetti formatori di counsellor la richiesta di sospendere le ostilità, e di smetterla di ostacolare i loro corsi aperti a non psicologi, normalmente cosa avrebbe risposto?
Giardina l’ha fatta facile: gli ha risposto di sì.
E a quel punto, la strada è stata in discesa.
È bastato radunare quella cinquantina di persone che sul counseling formano, dissertano, vivono, mentre ad oggi uno psicologo in Italia ha alle spalle sei anni di studio universitario e un anno di tirocinio per esercitare, e creare un dispositivo organizzativo (la Consensus Conference) che scimmiotta lontanamente qualcosa di scientifico, ma che scientifico non è.

Ci appare evidente dove si vuole arrivare.
Bisogna solo fare qualche passaggio ammantato da un consenso che sta solo nel nome, e farlo pure con i soldi degli psicologi.
Già, perché al danno si aggiunge pure la beffa: paghiamo tutto noi.
Quanto?
Ad oggi non ci è dato saperlo: nessuna delibera pubblica riporta l’impegno di spesa per questa iniziativa.

Il resto è facile.
Come Altrapsicologia abbiamo comunque voluto credere alla buona fede.
Abbiamo quindi fatto parte – finora – del Comitato Tecnico Scientifico.
E così abbiamo potuto vedere quali sono gli ingredienti che si usano per creare una Consensus Conference sui generis.

Eccoli qui:
(1) La domanda mai analizzata.
Si parte dall’errore che uno psicologo non dovrebbe mai fare, ovvero si accetta una domanda senza analizzarla.
Cosa chiedono i formatori di counsellor al CNOP, e perché? Siamo poi così sicuri che questo interesse sia coerente con la tutela dei cittadini dell’esercizio abusivo della professione psicologica? E agli psicologi che Giardina dovrebbe rappresentare, fa così piacere che i loro soldi vengano spesi per in questa iniziativa quantomeno dubbia sul piano della tutela professionale?
E’ evidente che c’era di che fermarsi su questa rosa di domande. Invece no.
Giardina aggiunge: abbiamo lasciato entrare quelli che hanno voluto.
Appunto. Chi ha voluto è esattamente chi aveva un interesse specifico, ovvero chi sul counseling – e sulla pelle dei colleghi e dei cittadini – ci guadagna.

(2) Lo strumento sbagliato.
Il tema del counseling in Italia riguarda la legittimità di una pratica professionale. Rispondere con una Consensus Conference, che è uno strumento scientifico nato per valutare le opzioni terapeutiche su cui vi è il più ampio consenso di tutti i portatori di interesse quando le risultanze scientifiche non sono ancora pienamente confermate, è semplicemente un’anomalia.
Si tratta di un utilizzo improprio di uno strumento che dovrebbe essere scientifico, piegandolo a una finalità – regolamentare le professioni – per cui non è fatto. Si è fatto in questo modo per lasciare il processo in mano ad alcuni membri?

(3) Un comitato tecnico non rappresentativo.
Il Comitato Tecnico è formato da venti soggetti, di cui due non sono mai venuti e quindici sono implicati nel counseling a livello professionale e personale: tipicamente sono formatori privati, docenti universitari e referenti di associazioni di counseling. Questa scelta produce a catena un importante condizionamento di tutto il processo della Consensus Conference, suggerendone di fatto le conclusioni fin da subito.

(4) Conflitto di interessi gestito come nel far west.
Da sempre il problema del conflitto di interessi è uno di quelli più sentiti nelle Consensus Conference: il concetto è di regolare attentamente la partecipazione di chi ha interessi economici. Il regolamento di questa Consensus invece è abbastanza vago da consentire la partecipazione ai docenti e ai soggetti coinvolti sul piano economico nella formazione di counselor. Un regolamento inutile, che non selezionerà nessuno.

(5) La dimensione del silenzio.
Infine si è ben badato a fare in modo che in nessun punto di questa Consensus Conference si prevedesse la possibilità per gli psicologi italiani di esprimersi! Il che è singolare, fosse altro perché l’iniziativa è finanziata interamente da loro, tramite il CNOP.
Proprio questo è sembrato il punto su cui interrogare il presidente del Consiglio Nazionale, colui che ha deciso di finanziare la prima Consensus Conference sul counseling come strumento per arrivare ad una conclusione forse già scritta.
La risposta di Giardina, forse scontata, è la più chiara possibile.
Eppure è sconcertante sentirla: chiedere il parere dei colleghi, garantire la rappresentanza, proporre un sondaggio, fare una ricerca?

Populismo.

ci ha detto.