Già a sentirla, una cosa del genere è strana. Se a questo aggiungiamo che l’idea viene proposta dentro un Ordine regionale – proprio l’ente che dovrebbe vigilare sulla professione, far rispettare le normative, e tutelare il rispetto dei confini professionali – la faccenda sfiora il paradosso.
La faccenda emerge per la prima volta nella riunione di consiglio del 28 Maggio. Al punto 3 è in discussione la convenzione fra Università di Padova e Ordine degli Psicologi per la gestione dei tirocini post-lauream. Fin qui è ordinaria amministrazione: una convenzione è sempre esistita e serve per dividersi in compiti rispetto alla gestione dei tirocini post-lauream per l’accesso all’esame di Stato.
Quello che è straordinario sono due piccole clausole aggiunte questa volta al rinnovo della convenzione: la prima è nell’articolo 6, nella parte riguardante i requisiti dei tutor, e recita testualmente che
Possono svolgere la funzione di tutor Psicologi iscritti da almeno 2 anni alla sezione A dell’Albo (…) Il rapporto tra tutor e tirocinanti è di norma di 1:2.” ma “Tale rapporto potrà essere derogato laddove lo psicologo faccia da “garante” per i tirocini svolti con tutor non psicologi (docenti e ricercatori)”
Tutor non psicologi? per il tirocinio post-lauream dei futuri psicologi? sembra qualcosa di strano, ma sulla fiducia proseguiamo, fino al secondo tradimento. Un altro articolo recita:
Nel caso di docenti e ricercatori che insegnassero discipline psicologiche senza essere iscritti all’albo – quindi senza essere psicologi, n.d.a – una commissione congiunta università-ordine valuterebbe caso per caso il loro inserimento nell’elenco degli psicologi-tutor.
Cioè: non solo si permetterebbe a non-psicologi di seguire in tirocinio dei futuri psicologi, ma li si iscriverebbe pure in un elenco di ‘psicologi tutor’. Il tutto senza essere psicologi, senza pagare un euro di tassa di iscrizione, senza un esame di Stato, senza l’anno di tirocinio obbligatorio. Ad honorem, insomma. Mentre per i comuni mortali resterebbe l’onere di affrontare tutto l’iter previsto dalla legge.
Naturalmente, c’è una spiegazione per tutto. Questa nuova convenzione non nasce dal nulla, ma da un tavolo di lavoro preparatorio in cui rappresentanti dell’Ordine e rappresentanti dell’Università si sono incontrati e ne hanno parlato, impostando la bozza. L’Università avrà esposto le proprie necessità e caratteristiche, che non coincidono necessariamente con quelle di un Ordine. Ma evidentemente i consiglieri dell’Ordine presenti devono aver ritenuto di presentare al Consiglio una proposta con clausole che – nel contesto di un Ordine – suonano quantomeno strane.
I consiglieri sostenitori della nuova prassi dei tutor non-psicologi hanno le loro ragioni: arrivano a dichiarare che qui si mette a repentaglio il rapporto con l’Università.
Ora: si può discorrere allegramente di tutto, ma che l’Ordine degli Psicologi venga posto sotto il ricatto del mantenimento di un rapporto con l’Università, mi pare esagerato. Non esito a dire che si tratterebbe di uno sgarbo istituzionale di non poco conto, se fosse vero. Ma non credo proprio che l’Università di Padova intenda metterla in questi termini.
Paradosso per paradosso, accettare il tutoraggio dei non-psicologi significherebbe aprirebbe la strada a sviluppi imprevedibilmente comici: se lo facciamo con l’Università, perché non farlo con la Chiesa cattolica, dato che ci sono ottimi preti non-psicologi esperti dell’animo umani che potrebbero fare da tutor? e perché non aprire ai tutor counsellor?
A voler essere pignoli, pure le norme remano contro: intanto, sembrerebbe non sia l’Ordine Regionale a poter stabilire i capisaldi del tirocinio, ma il Consiglio Nazionale degli ordini. Sembra una sottigliezza, ma significherebbe che due importanti enti come l’Università e l’Ordine Veneto andrebbero a stipulare una convenzione viziata all’origine da una carenza di legittimazione su alcuni aspetti.
Ci vogliamo davvero assumere il rischio di mettere in dubbio la validità della convenzione, e quindi dei tirocini che ne scaturirebbero?
I sostenitori dei tutor non-psicologi hanno però argomentato che l’Università si trova a far fronte ad un grande numero di richieste di tirocinio, che non riesce a soddisfare a causa dei suoi pochi tutor psicologi. Creare una deroga ai requisiti – permettendo ai non psicologi di fare da tutor – potrebbe lenire il problema. Ma pure questo argomento non mi pare sufficiente a giustificare un tutoraggio svolto da non-psicologi.
Riflettiamoci un attimo: il problema dei posti limitati per il tirocinio c’è sempre stato, ma è pur vero che si continuano a sfornare migliaia di laureati in Psicologia all’anno, senza alcuna pianificazione: in larga parte saranno futuri disoccupati. Ma non è perpetuando un rapporto con l’Università attraverso una corsia facilitata per aumentare la capienza di tirocini – con l’artifizio dei tutor non-psicologi – che si emanciperebbero le nuove leve della professione.
Siamo psicologi, e un minimo di lettura dei fenomeni dovremmo farla: se davvero esiste il problema di una massa di studenti appena laureati che chiede ai docenti e ricercatori di fermarsi all’Università per l’anno di tirocinio, invece che rivolgersi all’esterno verso il mondo del lavoro e le oltre 900 sedi di tirocinio in Veneto, forse la soluzione non è di agevolarli nel mantenere questo legame ma di sostenerli nel passaggio alla nuova fase di vita che devono affrontare, fuori dalla ‘scuola’.
Il tirocinio è un periodo difficile per tutti. Per molti si tratta della prima esperienza con ruolo e in contesto professionale, con tutti i problemi e le opportunità del caso. Problemi che è anche utile affrontare. Opportunità che – ritengo – solo uno psicologo possa dare, se non altro perché è a quella professione che il tirocinante deve formarsi.
Siamo alle “solite” l’accademia non si rassegna ad essere appunto Accadema e pretende di sostitirsi alla professionalità che è altro rispetto alla ricerca, alla didattica universitaria, non le declina la Psicologia nel concreto come facciamo noi sul territorio, nelle scuole, nelle aziende, ovunque ci sia la psicologia applicata. Quindi chiedo all’Ordine di non diventare un subordine dell’Accademia, di tutelare la professione evitando i paradossi e i favori a chi ci mostra di non avere a cuore la nostra professionalità e quella dei futuri colleghi. Non abitiamo il paradosso e tuteliamo utenti e professione, prepariamo i giovani laureati alle sfide e alla complessità che il mondo del lavoro pretende.
Gent. dr. Federico, ho quasi sempre letto con interesse e attenzione le varie mail che ci invia; alcune volte mi sono trovato d’accordo altre volte meno, ma cerco di favorire in me le differenze piuttosto che l’omogeneità culturale. Rispetto alla mail di cui sopra, in qualità di Gestore di 2 Scuole di specializzazione in psicoterapia interazionista (www.psicoterapiainterazionista.it — http://www.psicoterapiacognitiva) la informo che condivido la sua preoccupazione; inoltre, la informo che ciò accade spesso anche per quanto riguarda i “tirocini in attività pratica di psicoterapia” che si svolgono nel quadriennio di specializzazione: capita spesso che nei Servizi dove si svolge lo stesso non siano presenti Psicologi specializzati in psicoterapia o manchi proprio lo Psicologo (es. alcuni reparti ospedalieri, …). Ritengo comunque importante per lo sviluppo della professione anche superando il senso comune che la vede svolta spesso in luoghi culturalmente stereotipati, che il tirocinio venga svolto in servizi innovativi.
Rimango in attesa di un suo cortese riscontro.
Buona estate.
dr. Radames Biondo
347/8879031
Condivido la preoccupazione e l’analisi critica.
Vorrei aggiungere una mia rflessione generale e sottolineare il significato che il tirocinio dovrebbe avere nell’ambito della formazione del futuro professionista: il tirocinio si configura per sua natura come un’esperienza formativa a prevalente carattere pratico-esperienziale. Al momento del tirocinio le fondamenta della dimensione più prettamente teorica (ovviamente semplifico, consapevole che le due dimensioni si intrecciano sinergicamente) dovrebbero già essere state poste dagli enti formativi di competenza. In questo caso sì,ha una sua funzione e senso la relazione con le Università, ambito della ricerca e della formazione di base.
Ma quando si tratta di “insegnare il mestiere”, cioè accompagnare il tirocinante all’interno delle dinamiche del lavoro, insegnando non solo un “sapere” ma anche un “saper fare” e un “saper essere” nella relazione con l’utente/cliente/paziente…..beh, allora è NECESSARIO E INELUDIBILE che il tutor sia una persona con esperienza in questo ambito. Un ricercatore mi può insegnare a fare ricerca, ma se in vita sua non ha mai fatto, per esempio, un colloquio clinico, come può insegnarmelo?
Cordiali saluti
Daniela Camilla Riggio