di Maria Antonietta Bongiorni
Il tema della solitudine professionale, del senso di isolamento e della mancanza di occasioni di confronto tra colleghi è un tema che ricorre in diverse categorie professionali e anche noi psicologi non ne siamo immuni. Ma allora cosa ci impedisce di uscire dalla solitudine e fare rete?
ATTO PRIMO: CONSCIO
Il dott. Psycho entra nel suo studio e legge le e-mail.
“Bene! Il collega mi invita ad un gruppo di intervisione con altri colleghi, meno male! Avrei proprio bisogno di una mano, con la sig.ra Rossi non cavo un ragno da un buco… e poi, sono mesi che non parlo con qualcuno del mio lavoro, mi sento solo.
Inoltre, non mi intendo di psicologia infantile e la Rossi mi ha chiesto un parere per la figlia, chissà…. magari mi faccio dare una mano”
ATTO SECONDO: INCONSCIO
“Aspetta un attimo, il collega non lo conosco bene, forse è meglio se porto il caso del sig. Bianchi che sto risolvendo così brillantemente, non vorrei fare la figura dell’incompetente, mi sento solo… dopotutto il mio lavoro è fatto così, meglio lavorar per conto proprio che dover riferire a qualcuno, e poi… è vero che non mi intendo di psicologia infantile, ma dopotutto sono perfettamente in grado di aiutare la figlia della sig.ra Rossi, mica ci vorrà uno così esperto!!!”
“Ohhh peccato! Proprio quella sera ho un impegno improrogabile… sarà per un’altra volta!”
Ho voluto usare questo sketch per rappresentare una realtà che credo appartenga profondamente alla nostra categoria professionale: le due anime dello psicologo che da una parte si lamenta della scarsità di condivisione coi colleghi, della mancanza di occasioni di scambio, della solitudine professionale, e dall’altro vive spesso una dimensione narcisistica e autoreferenziale che lo porta a vivere il mestiere in solitudine.
Il senso di questa mia riflessione non è quello di fare il genitore critico sottolineando o denunciando una scarsa volontà dello psicologo di fare rete, perché ritengo che la maggior parte degli psicologi ne riconoscano il valore: è nella relazione che si cresce! Lo professiamo, lo insegniamo, lo coltiviamo. Non penso a noi psicologi come a degli ipocriti a tal punto, ma allora come mai è ancora così difficile fare rete?
Io credo che spesso affrontiamo il nostro lavoro con le paure dei bambini perché sentiamo la nostra professione e la nostra professionalità non ancora sufficientemente riconosciute, valutate e difese dalle istituzioni e dalla società.
Come nei bambini le paure di cui sto parlando sono paure semplici. La paura di fare brutta figura, la paura che qualcuno sia più bravo di noi e ci porti via il lavoro, la paura che non ce ne sia abbastanza per tutti. Quando un bambino non si sente sufficientemente protetto si rifugia nel narcisismo e nell’esaltazione di sé e quindi si allontana dal confronto.
Come psicologi sappiamo che per crescere è importante affrontare le paure all’interno della relazione e quindi anche noi non possiamo lasciarci dominare dalle stesse e pensare di crescere ed evolverci professionalmente eliminando il rapporto con i colleghi.
Inoltre è attraverso il legame che si crea un senso di appartenenza, che è a sua volta motore dello scambio e del mutuo aiuto in una visione circolare e dinamica.
Come la stessa storia ci insegna, un forte senso di appartenenza dà forza e coraggio all’individuo che più facilmente è portato ad agire non solo per sé ma per il bene comune.
La realtà è che se procediamo insieme, se facciamo rete non ci verrà tolto qualcosa, non ci impoveriremo, ma al contrario si creeranno nuove opportunità, anche di lavoro. Stare nel gruppo ad esempio permette di conoscere prima e meglio le informazioni che riguardano la professione.
Questa visione di gruppo e di confronto è un caposaldo di AltraPsicologia, un’associazione di psicologi da sempre presente sia con informazioni su ciò che accade nel panorama professionale, sia con attività ed iniziative (un esempio recente lo speeddate professionale) che hanno proprio l’obiettivo di informare, promuovere, tutelare e sostenere gli psicologi nella loro professione.