Si dice: due fatti sono una coincidenza, tre sono una prova.
Io ora vi racconto tre fatti accaduti negli ultimi mesi nelle istituzioni degli psicologi.
Poi i lettori si facciano la loro personale idea di cosa provano questi accadimenti.
Fatto 1: L’Ordine degli Psicologi della Sicilia chiede un risarcimento danni di 200mila euro a una sua iscritta per diffamazione.
La sua colpa? Aver raccontato in un articolo di 20 righe l’esito di una delle udienze in tribunale in merito ai presunti brogli sulle elezioni ordinistiche in Sicilia.
Insieme a lei sono citati in giudizio due giornali e l’associazione AltraPsicologia.
Fatto 2: L’Ordine degli Psicologi dell’Abruzzo approva un nuovo regolamento interno secondo cui:
- I consiglieri non possono dire pubblicamente di essere consiglieri, carica pubblica, se non preventivamente autorizzati dal Presidente. (Resta da sapere cosa dovrà mai fare il consigliere di fronte a domanda diretta «Scusa, ma tu sei consigliere?» ).
- Il consigliere si astiene dal fare critiche al consiglio dell’Ordine. Pena convocazione in commissione disciplinare (in barba al principio costituzionale di libertà di espressione).
Fatto 3: Durante un consiglio dell’Ordine Psicologi della Toscana dove ci sono alcuni uditori ad assistere, i consiglieri si rivolgono direttamente a questi, che non hanno diritto di replica.
Chiariscono loro che se non cambieranno i toni dei report con cui raccontano le sedute consiliari, potrebbero trovarsi convocati in commissione deontologica per violazione di un fantomatico “principio di colleganza”.
Aggiungo un quarto fatto, recentissimo: è un caffè offerto a Nicola Piccinini, Presidente dell’Ordine del Lazio che però, sua fortuna, non gli farà fare la fine di Michele Sindona (morto per un caffè avvelenato).
Secondo alcuni l’umorismo si spreca in questo invito al povero Nicola, che chiedeva lumi su come saranno gestiti i soldi degli psicologi una volta che il CNOP avrà messo in piedi il carrozzone della Fondazione.
Sembra quasi quasi che per molti Presidenti e Consiglieri gli psicologi esistano solo in campagna elettorale, quando è tutto un profluvio di email, richieste di partecipare a eventi appetitosi, telefonate e promesse.
Poi ci domandiamo come mai gli psicologi preferiscono starsene ognuno a coltivare il suo orticello: se a monte le relazioni e la dialettica sono gestiti così, a valle, nella quotidianità, che ci possiamo aspettare?
Ma l’andazzo dovevamo capirlo già anni fa: allo scoppio dello scandalo di Via della Stamperia, il problema di molti presidenti degli Ordini non era avere a capo di un ente di previdenza da milioni di euro un Presidente sospettato (e poi accusato) di truffa.
Erano quegli articolacci che si continuavano a mandare in giro chiedendo di avere chiarezza su un fatto che al momento vede due procedimenti giudiziari in atto.
Perché il problema non è chi usa i soldi in modo discutibile,
il problema non è farsi imputare per truffa aggravata con i soldi degli psicologi.
IL PROBLEMA SONO I TONI DI CHI INFORMA.
Ancora oggi si chiede a Gaetana, Nicola ed altri che pongono legittime domande, di avere sobrietà in difesa del buon nome della categoria.
Si chiede loro di stare in silenzio, urlandogli in faccia che pagheranno 200mila euro o verranno portati in deontologica.
Sobrietà e buon nome…
Che non andrebbero difesi né con gli avvocati, né con le petizioni, né con le manifestazioni in piazza.
Il buon nome e la sobrietà si iniziano a difendere attraverso l’utilizzo di un oggettino semplice e presente nelle nostre case e nei nostri studi.
Lo psicologo la usa già quotidianamente, sarebbe sufficiente la usasse anche per recarsi al seggio e andare a votare, con consapevolezza.
Quella che può costruirsi grazie a chi quotidianamente lo informa su quello che succede all’interno del governo della professione.
Ada, da una parte mi trovi concorde con quanto scrivi, ma da una parte no.
Esiste l’articolo 36 del Codice Deontologico che recita:
Articolo 36
Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale.
Da una parte il lavoro di Altrapsicologia è encomiabile, ma diventa discutibile nel momento in cui si ottiene visibilità e si usano i social aperti a tutti. Diverso sarebbe se questo lavoro fosse fatto in social per psicologi.
Insomma, i panni sporchi si lavano in famiglia…