Chi non ha mai ascoltato il famoso discorso di Martin Luther King? A Washington, in occasione della grandiosa ‘marcia per il lavoro e la libertà’ che portò in piazza 250.000 americani di tutte le etnie contro la segregazione razziale, King pronunciò un discorso che ripeteva: ‘I have a dream’. Più volte, con forza e convinzione: ‘I have a dream’.
Era un sogno nitido, concreto, tangibile e necessario. Un sogno che aveva portato migliaia di persone a partecipare nelle piazze, nelle strade, nei boicottaggi dei mezzi pubblici che segregavano la gente in base al colore della pelle. Il movimento per i diritti civili aveva portato la gente ad alzare la testa, per sentirsi parte di un disegno e di una visione più grandi.
Ecco, di questa partecipazione e del senso di appartenenza ad una grande comunità unita da un sogno, noi Psicologi abbiamo bisogno oggi.
La nostra comunità professionale soffre di isolamento: ce lo dicono i colleghi e le colleghe che ogni giorno incontriamo, che ci scrivono, che commentano sul web ma ce lo dice anche la difficoltà che la professione trova ad affermarsi nel rapporto con la società allargata, con i mezzi di comunicazione, con i decisori politici ed amministrativi del nostro paese.
Il mancato raggiungimento del quorum elettorale in due grandi regioni nelle ultime elezioni per gli Ordini è forse il segnale di un senso di solitudine, di estraniamento, di isolamento che non hanno trovato modo di emendarsi nella partecipazione attiva, nell’appartenenza ad una comunità professionale che trascenda l’individualità.
Gli Psicologi, come i cittadini, sono stanchi di sentirsi strattonati e chiamati in causa solo come portatori di voto nei mercanteggiamenti elettorali: sentono fortissima l’esigenza di qualcosa di ulteriore rispetto alle pressioni da campagna elettorale.
Gli psicologi hanno bisogno di risposte – ideali e concrete – a domande restate inevase per troppo tempo.
Noi riteniamo che queste risposte si possano trovare solo nell’attivazione di un’identità professionale condivisa, di quella PARTECIPAZIONE attiva alla vita della comunità e delle istituzioni professionali che da sempre è uno dei pilastri dell’azione di AltraPsicologia.
L’azione dei gruppi regionali di AP si è concretamente orientata in questo senso, per esempio con i progetti centrati sull’attivazione dei Comitati d’Area; le riflessioni sull’inclusività richiesta ad un Ordine che voglia legittimarsi nella società; la capacità di sviluppare interazioni costruttive con tutti gli iscritti.
Queste intuizioni di AP, che il nostro compianto Giuseppe Tessera ha forse più di chiunque altro sostenuto, sono oggi i capisaldi cui agganciare la rifondazione dell’Ordine degli Psicologi e di tutte le istituzioni della professione.
Gli Psicologi hanno ancora un sogno. Un sogno che va interpretato con quella partecipazione costruttiva che non si esaurisce nel voto ma che può essere concretizzato nella realizzazione condivisa di una vera community degli Psicologi.
Per questo AltraPsicologia rilancia la sua proposta di apertura delle istituzioni professionali a tutti i colleghi: con le iniziative forti di informazione e trasparenza ma anche con l’attivazione di percorsi condivisi di ideazione e realizzazione della professione di domani.
È questo l’unico cammino che può dare senso agli Ordini professionali in questa epoca. Un’istituzione ha senso solo in relazione alla sua utilità sociale e alla sua capacità di attivare appartenenza e partecipazione, altrimenti si estingue: ci pensa la storia. Il nostro futuro è andare oltre tutti i limiti che ancora impediscono agli Psicologi di sentirsi parte di una comunità, di ritrovarsi nelle radici comuni, di scoprire l’appartenenza ad una realtà più grande dei riferimenti di scuola a cui si può chiedere e dare secondo le proprie possibilità.
Non ci illudiamo che sia facile: ci vorrà ancora molto impegno perché gli Ordini e l’ENPAP diventino il volano per sanare la condizione marginalità sociale e culturale che mette in ginocchio, anche lavorativamente, più di metà degli Psicologi italiani e li inchioda a redditi troppo bassi per vivere, ma non può essere l’impegno solo di un piccolo gruppo.
E’ l’ora della PARTECIPAZIONE, da costruire e salvaguardare: nessuno può mancare.
l’Italia è un paese dove per cultura nazionale nessuno partecipa a niente. Mi spiegate come fate a costruire cultura partecipativa? Servono generazioni. E’ una questiona antropologica. E’ tutto destinato a fallire senza alcune mosse istituzionali radicali:
– numero chiuso all’università, 1000 /laureati anno al massimo in tutta italia
– chiusura CdL in sedi universitarie periferiche
– portare il CdL a essere quinquennale e a far studiare davvero, dev’essere duro come il CdL in Fisica, non una passeggiata come scienze della comunciazione. Curiamo le persone, non cazzeggiamo.
– gli enti erogatori di tirocini devono essere certificati e di provata qualità, non stamberghe gestite da folli burocrati
– riformare l’Ordine, basta burocratismo idiota e passacarte inconcludente, legare gli emolumenti ai risultati sennò a casa
– diventare psicologi deve essere un percorso durissimo destinato ai pochi che ce la fanno e saranno ben remunerati e capaci, non una piazza piena di spritz pullulante di gnocche che si vantano di leggere Freud
allora le cose cambieranno davvero. Per tutti e in meglio.
I toni sprezzanti e soprattutto sessisti me li sarei risparmiati, davvero. Idee che hanno un fondamento, trasmesse con questo spirito, finiscono per essere cestinate.
Davvero complimenti per l’ultima frase riguardante spritz e gnocche. Vanifica quel poco di sensato che poteva esserci nelle righe sopra.
Lo ammetto, non vi ho votato alle elezioni regionali, ma sono pronta a partecipare e a date il
Contributo che nel mio piccolo posso dare per la comunità professionale.
Teneteci informati ed attivi
Nelle attuali rappresentanze di politica professionale non ravviso elementi seri di riforma della professione, ma solo una miscela di varie tendenze discutibili: l’appiattimento della professionalità alla società dei consumi e di massa, l’esposizione mediatica come ricerca del potere, la connivenza con il mondo clientelare dell’università e delle aziende sanitarie, la cancellazione del valore della formazione individuale… Per questi motivi non vedo perché dare un voto a chi non rappresenta che tali istanze.
Cara Dada, mi dispiace che la pensi così. Io credo che le cose stiano in maniera un po’ diversa. Forse tra le altre difficoltà della professione possiamo metterci una certa disposizione alla generalizzazione fuori luogo.
mah, i fatti sono lì a dirlo, se poi vogliamo negarli, forse il diniego è peggio di una generalizzazione che è frutto di molti anni di professione, no?
Allora potresti essere più precisa, nelle osservazioni? Personalmente non mi riconosco e non riconosco AltraPsicologia nella descrizione che dai delle “attuali rappresentanze di politica professionale”.
Condivido il vostro pensiero e, nel mio piccolo, cerco di coinvolgere più colleghi possibili a (ri?) prendere contatto con le istituzioni che ci rappresentano, ma se il rapporto tra energie profuse è 100 ed i risultati sono 1 (come a me sembra) la fatica è veramente tanta. Meno male che per 30 anni ho lavorato con i tossicodipendenti e mi sono allenato al rapporto 100 a 1…
Coraggio. Io tengo duro. Un saluto dalla piovosa Liguria.
Teniamo duro anche noi, grazie per il costante sostegno!
Grazie ad A.P. per l’importante impegno.
Dobbiamo dare più scientificità alla nostra professione a partire dalla formazione universitaria, altrimenti siamo considerati dei preti laici e non professionisti della psiche. Gli ordini devono riformarsi e avere più carattere anziché essere adagiati alla politica statale: non è forse vero che la maggior parte di quelli che rivestono le cariche negli ordini provengono dal settore pubblico e che con le istituzioni dormono e con il privato non sanno interloquire?
Maria Teresa perdonami, ma non sono sessisti, sono la realtà.
Studiavo a padova come molti qui a fine anni 90 e in aule da 300 persone eravamo si e no 15 maschietti…c’ho vissuto anni con le psicologhe, mie compagne, in formazione. So di cosa parlo.
Davano il meglio di sè allo spritz, ogni esame era una “faticaccia”, sempre tirate neanche fossero allo IULM, e di quei ragionamenti paralogici da ricovero.
Io ero un sempliciotto, di provincia, studiavo tutto il giorno, e in 3 anni e mezzo ho finito gli esami a pd.
Io non voglio offendere nessuno sia chiaro, ma psicologia a padova è una facoltà troppo starnazzante per sperare di essere uno zoccolo duro di una professione di qualità.
3/4 di chi si laurea, e son tutte femmine, possono al massimo aspirare a far le commesse, ed è anche tanto se le prendono. Infatti non le prendono.
E non è che se fai la scuola di psicoterapia migliora la situazione, ma peggiora.
Son andate bene quelle che si sono sposate con un ingegnere, a patto che oggi non perda il lavoro pure lui.
Quello che voglio dire è che il titolo di studio, o i titoli, non bastano perchè non son mai bastati nella vita: servono capacità reali, strategia, sacrificio, selezione, e moltissimi non ce la fanno, come è ovvio.
Prendersi una laurea in psicologia ormai rasenta il banale, e chi dice il contrario è al limite del ritardo mentale, ve lo assicuro. E con una laurea banale, con un accesso aperto a tutti, come si può avere qualità? Mai visto nella storia del pianeta. Non che il numero chiuso lo garantisca, ma aiuta molto.
Svecchiamo e alziamo l’asticella di tutto, chi non ce la fa, commessa. Giustamente.
Saluti e grazie.
Qui serve la lente d’ingrandimento! Il fatto che le studentesse di psicologia, in proporzione, siano più gnocche di quelle di medicina, ad esempio, non significa che siano meno intelligenti o poco pragmatiche da a malapena riuscire a fare le commesse. Perché, le farmaciste non fanno le commesse, per pochi soldi? E le architette o le biologhe che fanno? E tutte le altre dottoresse, forse non sono commesse anche loro? Di chi è la visione sessista della commessa? Tutti, in un modo o nell’altro, vendiamo un prodotto! Peccato, che la differenza fra un prodotto e l’altro non la fa solo il bisogno ma, soprattutto, la sua immediata fruibilità: in poche parole, il rapporto costo-beneficio, una banalissima logica di mercato! E adesso, proviamo a fare un po’ di conti: quanto vale uno psicologo sulla Piazza Affari? Tutt’altro che banale! Lo diceva Augustus De Morgan “non è il ragionamento a mettere in moto l’invenzione matematica, bensì l’immaginazione”. A quanto pare, anche gli psicologi ne hanno moltissima, visto che i numeri continuano a crescere!
buongiorno Mariapia
mi scuso ma ho parlato più per sentenze che per argomenti, quindi è facile che io venga frainteso
io mi riferivo, in maniera empirica, ad una questione di percentuali.
dalla mia esperienza pluriennale di frequentazione di futuri psicologi, ma anche di persone di altre facoltà, mi sento di dire questo:
la percentuali di studenti (che poi sono studentesse) che frequenta psicologia senza avere i requisiti minimi di cognizione, maturità e buon senso è di gran lunga maggiore rispetto alla percentuale di chi frequenta altri corsi di laurea.
in numeri: su 100 che frequentano psicologia, direi 80 non sanno scrivere in italiano corretto. Neanche dopo laureate. Su 100, 50 prendono la laurea con stile spritz, studiando quando capita. Su 100, 70 leggono solo i libri prescritti per l’esame ( e anche anche) sia mai che mi venga davvero la passione dello studio, che mi trasformi in studiosa.
E poi, con tale andazzo, tutte però a reclamare una volta laureate (e abilitate!) di essere professioniste, di essersi sbattute, di avere DIRITTO a tutto quanto.
Guardate bene che vita fanno le studentesse di medicina, di CTF, di scienze, di giurisprudenza, e confrontatele con la vita universitaria della psicologa media….poi ne riparliamo.
Conclusioni? Tale università, tale professione. Se si era poco prima, si sarà poco poi.
E mia idea, da psicologo abilitato, che sia TROPPO facile al giorno d’oggi diventare psicologi, e questo abbassa drasticamente le possibilità di sviluppo dell’intera categoria.
Anche le scuole di psicoterapia…basta pagare, e si è dentro…..un colloquietto e via, certo poi qualcosa si fa, ma neancte a che vedere col training degli psichiatri in ospedale…professione con cui poi bisogna confrontarsi.
Serve qualità, in un mondo competitivo prevale il migliore perchè le risorse sono scarse. Nulla si improvvisa, e la laurea + abilitaz è solo l’inizio di un lungo cammino.
Saluti e grazie dello spazio.
Ho 60 ,36 di anzianità,lavoro nella sanità pubblica;laureata nel 1975,a 21e mezzo.Seguo tantissimi specializzandi di oltre 35 anni che non trovano ancora lavoro.Mi dispiace tanto vedere un laureato che fa il cameriere al bar o serve in pizzeria .Bravo ma frustrato!Perchè lo Stato ci ha bloccato le pensioni?? Siamo in molti bloccati ancora al lavoro ,pur avendo i requisiti per cessare ,Vogliamo dare dare il nostro posto ai giovani.Ma quale aumento del reddito della Psicologia!La gente non ha soldi e cerca se trova posto,il servizio pubblico-gratis!!!