L’articolo 21 è da sempre un caposaldo.
Non si tratta semplicemente di ciò che sembra, cioè un articolo che prescrive agli psicologi di non insegnare strumenti e tecniche proprie della professione psicologica ai non psicologi.
E’ molto di più.
Quell’articolo 21 sancisce e protegge la cosiddetta “riserva di legge”, ovvero quel “quid” che può fare solo lo psicologo, e che solo a lui può essere insegnato nell’ambito di una formazione stabilita dallo Stato.
Si tratta di una questione ontologica: esiste lo psicologo come professionista – o no?
E questo stabilisce un limite alle iniziative a scopo di lucro in cui si possono insegnare strumenti psicologici a chiunque, illudendo chi di fatto per legge non può, di potersi mettere a fare il “piccolo psicologo”, galleggiando abilmente ai limiti della legalità nella speranza di non trovarsi mai di fronte all’autorità giudiziaria.
L’attuale articolo 21 del codice deontologico risale al 2013, ed è frutto del lavoro di una commissione presieduta da chi oggi firma questo articolo.
Si può sostenere tranquillamente che la proposta di revisione del codice ci riporta indietro a prima di quel momento. Vediamo perché.
Versione attuale art. 21 | Proposta di revisione CNOP 2023 |
L’insegnamento dell’uso di strumenti e tecniche conoscitive e di intervento riservati alla professione di psicologo a persone estranee alla professione stessa costituisce violazione deontologica grave. | La psicologa e lo psicologo anche attraverso l’insegnamento, in ogni ambito e ad ogni livello, promuovono conoscenze psicologiche, condividono e diffondono cultura psicologica. Tuttavia costituisce grave violazione deontologica l’insegnamento a persone estranee alla professione psicologica dell’uso di metodi, tecniche e di strumenti conoscitivi e di intervento propri della professione stessa. |
Costituisce aggravante avallare con la propria opera professionale attività ingannevoli o abusive concorrendo all’attribuzione di qualifiche, attestati o inducendo a ritenersi autorizzati all’esercizio di attività caratteristiche dello psicologo. | Costituisce aggravante il caso in cui l’insegnamento dei metodi, delle tecniche e degli strumenti specifici della professione psicologica abbia come obiettivo quello di precostituire possibili esercizi abusivi della professione. |
Sono specifici della professione di psicologo tutti gli strumenti e le tecniche conoscitive e di intervento relative a processi psichici (relazionali, emotivi, cognitivi, comportamentali) basati sull’applicazione di principi, conoscenze, modelli o costrutti psicologici. | Nella nuova proposta scompare la definizione. |
È fatto salvo l’insegnamento di tali strumenti e tecniche agli studenti dei corsi di studio universitari in psicologia e ai tirocinanti. È altresì fatto salvo l’insegnamento di conoscenze psicologiche. | Nella nuova proposta scompare la clausola esimente per gli studenti. L’esimente per le sole conoscenze teoriche (garantita dalla Costituzione) è ripresa in premessa. |
Balza all’occhio una differenza.
La nuova proposta non aggiunge, ma toglie, stralcia delle parti. E introduce un’aggravante solo per quelle scuole che decidono, chissà poi per quale esiziale ingenuità, di presentarsi come formatrici di abusivi.
E’ chiarissimo che così riscritta la norma non è più in grado di intercettare nulla.
Si dirà che ogni scarrafone è bello a mamma sua, e infatti io vorrei usare una sola parola per definire la nuova versione dell’articolo 21: uno scempio.
Il “21” della prima versione è basato soprattutto sugli elementi di giurisprudenza che si sono accumulati negli anni di difesa della professione. Giurisprudenza che chiaramente chi ha revisionato ritiene superflua, tanto da avere eliminato proprio quelle parole che provengono dalla sentenza Zonta, dalla Zerbetto, ovvero dalla sensibilità dei giudici nell’esprimersi su questo tema.
Mi domando quale sarà l’istituto di formazione che ci verrà a raccontare che il suo obiettivo è di “precostituire possibili esercizi abusivi della professione” ovvero che sta formando psicologi abusivi. Sarebbe come se un ladro di appartamenti, accingendosi al furto, mettesse fuori prima un cartello per scusarsi con i condomini del rumore, magari chiedendo l’uso del suolo pubblico per parcheggiare il furgone su cui caricare la refurtiva.
La realtà è diversa.
Gli psicologi che lucrano sulla svendita della professione sono certamente una minoranza, tuttavia, questo lo dico ai membri autorevoli del nostro Consiglio Nazionale, non sono necessariamente degli idioti.
Non è rara la prassi di affiancare a una scuola di psicoterapia una seconda istituzione, magari con un nome diverso ma con più o meno gli stessi docenti e un programma molto simile.
In Lombardia, su una sessantina di scuole di psicoterapia operative, quelle che lo fanno sono nove.
L’Ordine le conosce tutte.
E a proposito di Ordini, il senso profondo di ogni istituzione dovrebbe essere porre un limite al godimento individuale: un limite alla possibilità di lucrare, ad esempio, sulla svendita della nostra professione, danneggiando ogni singolo collega ed erodendo il senso stesso dell’abilitazione alla professione di psicologo.
Per farlo, il Codice deve essere pronto a una segnalazione che riguarda la realtà che conosciamo bene.
Ma c’è di più.
Lo dico per gli ottimisti membri del CNOP che pensano ci sarà chi dichiarerà su carta bollata l’intenzione di formare abusivi.
Al contrario, da diversi anni l’abusivismo viene coperto grazie all’utilizzo puramente nominalistico di definizioni varie, più o meno inventate a tavolino, copiate da paesi stranieri ed esercitate grazie a una formazione privata (a pagamento).
Le attività limitrofe a quelle dello psicologo, che ne imitano perfettamente i contorni e i contenuti sono diversissime. Per citarne alcune, nessuna delle quali ha passato l’esame dell’UNI per accedere all’elenco delle professioni non riconosciute: counseling, pedagogia clinica, coaching, consulenza filosofica, pedagogia pratica, e chi più ne ha più ne metta.
No, le scuole che formano queste figure non vi diranno, cari colleghi, che formano abusivi: diranno che formano un qualcosa di nuovo.
Ci salverebbe la giurisprudenza, se il CNOP avesse voglia di tenerla in considerazione.
E’ dai tempi della sentenza Zonta, ovvero dall’inizio della storia del contrasto all’esercizio abusivo della professione di psicologo fino a quelle più recenti, che i giudici dicono in sentenze varie ma sempre univoche, la stessa cosa: dal punto di vista della formazione, ciò che non si deve fare è illudere delle persone di poter esercitare in concreto qualcosa che diventa molto, troppo simile a ciò che fa un professionista abilitato. Ad esempio, lo psicologo.
Ad esempio, che valore ha l’attestato che ti qualifica come filosofo pratico se non a vendere un’illusione? Cosa farà domani l’illuso? E’ davvero necessario aspettare che venga denunciato? E il suo formatore resterà nel frattempo tranquillo, a vendere le sue illusioni?
L’articolo 21 odierno dice un secco NO!
Che cosa può significare insegnare le tecniche del colloquio, o l’utilizzo di un test a un soggetto che non è abilitato all’esercizio di professione psicologica e poi mettergli in mano una carta che gli attribuisce un “nome nuovo”, ad esempio “counselor”? I tribunali hanno sanzionato chi faceva questa operazione e ha introdotto il concetto di “orientamento teleologico”, che configura il reato in base alla finalità dell’atto formativo. Illudere un disoccupato con la terza media di poter fare un colloquio di cura, ad esempio.
Ecco il vuoto, ecco il nulla, ecco il punto che non è più trattato.
Oggi il nostro Consiglio Nazionale sta tornando indietro di 15 anni, riportandoci ad un contesto in cui l’articolo 21 viene di fatto vanificato nella sua funzione.
Esiste tuttavia una minoranza di colleghi che per tirare a campare, con un lauto guadagno è disposta a vendere gli strumenti della professione, a illudere qualche libero cittadino di poter mettere a frutto la propria sensibilità e propensione all’ascolto degli esseri umani facendone una professione.
Ci si aspetta che l’Ordine Psicologi dica a questi soggetti qualcosa di chiarissimo: NO!
L’articolo 21 serve a questo.
Voglio invitare tutti i colleghi a riflettere molto sul nuovo articolo 21 e a votare in modo contrario alla sua revisione.
Questa non è la parola di chi vede lo scempio fatto su un lavoro di riflessione durato molto tempo, ma è piuttosto il pensiero di chi ascolta giovani colleghi sconcertati dall’esistenza di siti internet in cui ancora oggi c’è chi afferma di poter esercitare abusivamente qualsiasi cosa, e colleghi disposti a insegnarlo, senza fare i conti, ancor di più oggi, proprio con nessuno.
Il “21” non si tocca.
La psicologia non può essere svenduta