Di seguito pubblichiamo le riflessioni di Valeria La Via in risposta alla “Lettera aperta di una psicologa delusa”.
“..Le racconterei le storie di altri colleghi che hanno fatto chi il capostazione e chi l’operatore di call center ma che ora sono docenti universitari..”
Cara Cristina, questa collega, che ha preso una laurea con lode, che ha scritto una lettera ben strutturata e, a parte qualche apostrofo mancante, corretta (e la capacità di scrivere, che è capacità di pensare, è una dote sempre più rara), merita una risposta e possibilmente un incontro. Io vorrei sapere qual era il suo orientamento, che cosa le sarebbe piaciuto fare, in quale ambito le piacerebbe lavorare.
Forse le racconterei che anch’io, durante gli anni della formazione, venivo pagata esattamente come la colf per fare traduzioni ed editing;
lo accettavo perché riguardavano libri di psicoanalisi e potevo congiungere il mio desiderio di leggerli con l’utilità di apprendere un lavoro che poi avrei fatto a lungo per sostenere i difficili inizi della professione. E le racconterei le storie di altri colleghi che hanno fatto chi il capostazione e chi l’operatore di call center e ora sono docenti universitari. Ma soprattutto, di questi tempi, dovremmo dirle che il professionista vive di contatti, e che proprio dai contatti viene il lavoro. Che uno dei motivi più rilevanti del non tirarsi fuori dalla comunità professionale è proprio questo, perché già il fatto di essere insieme ad altri fa venire in mente delle idee e favorisce uno scambio di informazioni che aiutano a trovare un punto di partenza, perché di questo si tratta, a condizione che uno lo usi bene e lavori benissimo. È vero: l’Ordine non ha come compito primario questo, perché un Ordine professionale trae sostanzialmente la propria ragion d’essere dall’interesse comune al corretto esercizio della professione; tuttavia il nostro Consiglio si è molto adoperato per favorire gli incontri tra colleghi, affinché, con un corretto uso dell’istituzione, essi potessero avere qualche occasione in più per trovare il loro punto di partenza. Certo, l’Ordine non è in grado né può risolvere i problemi di lavoro dei colleghi come se fosse un sindacato o un’agenzia di collocamento, ma può costruire condizioni favorevoli, può agire indirettamente, può sostenere. Gli psicologi sono abituati a questo metodo: uno psicologo affianca, potenzia risorse, non è l’artefice diretto di un cambiamento di cui non può nemmeno fornire garanzie a priori.
Eppure quante volte il semplice fatto di sentirsi sostenuti, da qualcuno o da un gruppo, è la via regia alla soluzione pratica di un problema!
Se non lo sanno gli psicologi, chi altri lo dovrebbe sapere? E lo sa anche questa brava collega, se ha avuto voglia di scriverti: dunque parla con lei, come direbbe Almodovar.
buongiorno a tutti
ho letto la lettera della psicologa delusissima e anche questa replica.
Volevo solo dire alla giovane collega di trovare una nicchia professionale redditizia e creare un’offerta in quell’ambito che sia di qualità. I clienti e i soldi arrivano. Davvero.
Alla replica vorrei dire che Lei gentile collega esperta è del 1950 (oggi ha 64 anni) e il mondo nel frattempo non è cambiato, ma ha fatto upside down dal punto di vista di tutte le variabili umane rilevanti per la vita su questo pianeta.
Se ne renda conto. La psicoanalisi per fortuna sta sparendo, nessuno ne ha mai avuto bisogno in realtà. E con lei voi supponenti mantenuti fino a 40 anni che adesso pontificano sulle carriere dei giovani.
I vostri consigli, come la vostra esperienza, è sempre più inutile perché il contesto è cambiato in maniera radicale e i vostri messaggi, come dice Bateson, sono purtroppo balbuzie.
Saluti e buona vita.
Il cambiamento upside-down da questa mail non si evince. Arancia Meccanica è dell’inizio degli anni ’70 e i disturbi antisociali esistevano anche quando ero ancora al liceo. L’unico privilegio a mio favore è di avere potuto fruire di una non più esistente specializzazione in Criminologia Clinica, appunto perché ben sapevo che la psicoanalisi incontra dei limiti con certe personalità. Quanto all’essere stata mantenuta, rimando al mittente la supponenza, essendo competente sui fatti miei, biologicamente certa di non essere parente stretta dell’ anonimo Autore e socioculturalmente persuasa di non essere sua sodale. Come dappertutto, esistono anziani per bene e anziani per male, giovani per bene e giovani per male; il mondo, ahimè, non è cambiato, al massimo è un po’ cambiato il diritto. Ma il diritto esiste perché c’è chi viola le norme: sociali, giuridiche, deontologiche. Meglio farlo nell’anonimato: questo sì, è un ottimo consiglio, di cui personalmente non farò tesoro.
Le raccomandazioni, soprattutto politiche, risolvono tutto.
Quanta frustrazione nel commento di @Luca. Posso comprenderla, sono anch’io una Psicologa che fatica ad inserirsi, nonostante studi fortemente voluti e in cui credo con la stessa forza, nonostante tutto. Vacillare è facile nel panorama attuale, ma mi rammarica tanto leggere questi arroccamenti e sentir puntare il dito contro la Psicoanalisi (e chi la rappresenta) come se fosse il mostro da sconfiggere. Premetto che la mia formazione è di stampo “scientifico” (cognitivo-comportamentale), si notino le virgolette. Ma, nonostante tutto, considero ogni arroccamento del tutto disfunzionale ed erroneo. Questa battaglia intestina per dare rigore alla Psicologia, come se questo fosse il problema per cui, dopo più di un secolo dalla sua nascita, non sia ancora penetrata in tutti gli ambiti sociali in cui necessita come l’aria che respiriamo, è un errore grossolano, a mio avviso. Un errore che continua a farci sprecare energia al posto di interrogarci sui modi più efficaci per effettuare una campagna di sensibilizzazione psicologica che mini tabù e stigmi sociali che allontanano dalla richiesta di aiuto. Del resto, la mia opinione è sostenuta da copiosi studi che asseriscono, fin dal lontano 1936 (Rosenzweig – tanto per citare il precursore di questi studi) che non è il metodo il fattore che incide sull’efficacia terapeutica. Ma non mi dilungo troppo su questo punto perché andrei fuori tema. Mi è parso, tuttavia, necessario per cambiare rotta e superare la solita sterile diatriba sul metodo. Ogni metodo ha dei limiti e ogni metodo non ha valore assoluto, né è in grado di contemplare la complessità umana. Forse bisognerebbe prestare più attenzione al contesto e alla relazione, piuttosto che ai metodi, celebrando questo o quell’autore. Bisognerebbe attingere da ognuno, piuttosto, nel limite del possibile, e rimanere aperti e inclini alla dialettica dell’incontro.
Concordo con Valeria La Via, la chiave per inserirsi e cercare di far bene è fare gruppo, sradicando quest’individualismo che rappresenta l’icona dell’uomo contemporaneo, che non ci porterà da nessuna parte.