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Ho recentemente ricevuto una convocazione, da parte del Consiglio Nazionale, per partecipare all’assemblea delle commissioni disciplinari degli Ordini Regionali e Provinciali, al fine di discutere di una revisione stilistica e contenutistica di alcuni articoli del nostro Codice Deontologico.

Mi dico: bene, dopo quasi due anni di consiliatura finalmente si parla di deontologia.

La prima domanda che mi pone la segreteria del mio Ordine è: a chi inoltro l’invito?

Una domanda che può sembrare superflua, c’è scritto: alle commissioni disciplinari degli Ordini!

Eppure no, non è superflua. Chi sono le commissioni disciplinari negli Ordini?

Sono aggregati multiformi, di variegata composizione. In alcuni Ordini non esistono neppure (mai state convocate in due anni), e quindi? Verranno esclusi dal processo?

Il caso Abruzzo è esemplare: negli atti preliminari al commissariamento è emerso che la commissione deontologia non sarebbe mai stata convocata.

Nota di colore, fino a poche settimane fa la la Commissione Deontologia del CNOP – proprio quella che ora vorrebbe proporre revisioni del Codice – era coordinata proprio dal presidente dell’Ordine Abruzzo Giuseppe Bontempo.

Cioè: colui che presiedeva la Commissione Deontologia nazionale, nel proprio Ordine non convocava mai la Commissione disciplinare. E pare – dalle dichiarazioni dei consiglieri  dell’Ordine Abruzzo – che addirittura le segnalazioni non fossero gestite.

Ancora: alcuni Ordini prevedono commissioni deontologia composte da figure esterne (psicologi e giuristi). Mi chiedo se un avvocato, un giudice in pensione, uno psicologo che fa parte della commissione deontologia ma non è consigliere abbiano [più] titolo ad intervenire nella revisione del Codice deontologico di qualunque psicologo a cui il CD è destinato, o dei consiglieri degli Ordini che hanno la responsabilità delle decisioni disciplinari?

Per dire: nemmeno i Presidenti degli Ordini sono stati invitati.

Ma proviamo a passare oltre al fatto che un manipolo di Consiglieri scelti sostanzialmente a random abbia diritto più di altri a dire la propria in merito al nostro Codice Deontologico.

Vediamo la sostanza della prima bozza di proposta di revisione.

Concordiamo tutti che una revisione sia necessaria: la società è cambiata, la professione pure. Nel frattempo sono stati svolti centinaia (o migliaia? Chissà, nessuno raccoglie i dati) di procedimenti disciplinari. Sono emersi tanti vuoti da colmare, situazioni da intepretare, sanzioni da quantificare. Tutto nelle mani e nella discrezionalità di 15 colleghe/i che in quel momento storico, per elezione politica, stanno svolgendo il ruolo di Consiglieri dell’Ordine.

Di fronte a questa complessità cosa propone la Commissione deontologia del CNOP?

Osservo la bozza di revisione. Sostanzialmente si aggiunge alla parola ‘psicologo’ (al maschile) il corrispettivo femminile ‘psicologa’. Si accordano di conseguenza i verbi. Si sostituisce ‘il cliente’ con ‘la persona’ (di fatto annacquando i precetti). Si sposta qualche blocco, lasciando peraltro frasi monche. Quasi nulla più.

Due anni  di lavori e l’unica azione che è stata partorita sul Codice Deontologico è un gender washing? Ci teniamo all’inclusività certo. Ma non ci basta.

Quando affronteremo il fatto che ogni ordine regionale ha un suo regolamento disciplinare diverso dagli altri? Per la cronaca, quello del Veneto è forse il più vecchio, del 2005. Si era deciso – correttamente – di aspettare un allineamento nazionale. Lo vedremo in questa consiliatura? Credo di no.

E poi, il problema dei consiglieri albo B che in alcune regioni partecipano ai procedimenti disciplinari dei colleghi albo A, e in altre no.

E la quasi impossibilità di aiutare gli adolescenti quando manca il consenso ex articolo 31 di uno dei genitori.

E la difficoltà di definire le misure disciplinari da adottare per la comunicazione sui social, in cui il confine fra identità privata e identità professionale è estremamente sfumata.

E la difficoltà di gestire procedimenti a carico di componenti i consigli degli ordini.

Sono solo alcuni dei temi IMPORTANTI da affontare.

Sono temi tecnici, a cavallo fra etica, diritto, professione, legge. È evidente che la revisione del Codice Deontologico richiederà un lungo, tecnico e partecipato lavoro istruttorio e poi un referendum tra tutti gli iscritti.

È essenziale cominciare con il piede giusto e per il momento abbiamo invece iniziato male.

Mi preme riportare un passaggio di Catello Parmentola, uno degli estensori del Codice, nel suo Costruire, raccontare, connettere:

“I Consigli nazionali che si sono succeduti nel tempo hanno avuto una sensibilità politico-istituzionale sempre più remota nei confronti della Deontologia, hanno composto gli Osservatori in modo sempre più improbabile, hanno assegnato mandati sempre più ‘striminziti’ ed impropri. (…) La composizione era sempre più scriteriata, con il subentro di colleghi sempre più casuali, improbabili e del tutto privi di esperienza, e la contestuale esclusione degli esperti ‘fondativi’, la cui competenza in materia è riconosciuta a livello internazionale. D’altronde manco era più il caso di ‘disturbare’ gli esperti, dato che l’idea del Consiglio era quella di assegnare all’Osservatorio mandati molto spiccioli (…) e sempre più impropri, ma questo non può sorprendere, dato che il Consiglio nazionale non ha alcuna competenza tecnico-deontologica. Proprio per questo, l’art. 41 del Codice Deontologico prevede che sia L’Osservatorio a ‘formulare eventuali proposte della Commissione al Consiglio Nazionale dell’Ordine, anche ai fini della revisione periodica del Codice Deontologico’ e non viceversa. Dunque il Consiglio si è mosso negli ultimi anni in totale difformità normativa, nell’ignoranza o nello spregio di quanto sancisce il Codice. La revisione del Codice deve attenersi alle modalità previste dalla Legge 56/89. In base all’Art. 41 del C. D. è istituito presso la Commissione Deontologia del CNOP l’Osservatorio Permanente sul Codice Deontologico: essendo permanente, il Consiglio nazionale è competente solo per la sua composizione, ma non può intervenire sulla permanenza dell’istituzione, non avendo fra l’altro neanche la competenza tecnica per valutare quando un impatto deontologico richiederebbe i lavori revisionali dell’Osservatorio”.

Sarebbe saggio chiedersi se il paradosso dell’inesistenza dell’Osservatorio deputato dal Codice stesso alla sua revisione sia stato almeno pensato.

Se questo modo di procedere casuale, su una bozza di revisione pensata non si sa dove, come e da chi, non sia esso stesso il prodromo di un totale fallimento o, alla meglio, di un risultato scadente.

Dove si vuole andare con queste convocazioni bizzarre e questi lavoretti stilistici?

Altrapsicologia – e credo tutta la comunità professionale – è pronta a fare la sua parte nel contribuire ad un reale, necessario e condiviso lavoro di revisione del Codice.

Ma non a costo di sacrificare serietà del processo e qualità del risultato.