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Già. Una cosa che non sapeva nessuno: gli psicologi sono troppi. Ci voleva il coraggio di Mario Sellini per rivelarlo. Lo ha fatto con un appello pubblicato su Quotidiano Sanità (ARTICOLO). Intimando che ora AUPI cercherà i responsabili, che ne dovranno rispondere.

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Si è subito fatta strada l’ipotesi dell’abbattimento controllato, come avviene ordinariamente per cinghiali, caprioli e nutrie nei periodi di sovrappopolamento. Ipotesi scartata per le solite considerazioni buoniste sul valore della vita umana e dell’appartenenza ad una comunità professionale in cui non può vigere il mors tua vita mea.

Poi, in un crescendo, la comunità professionale ha reagito con voce sempre più decisa, con dei veri e propri controappelli. Prima Rolando Ciofi del Mopi, che in un ARTICOLO fa notare che il mito della pianificazione della carriera – dalla laurea al lavoro – appartiene al’900. Poi Dominella Quagliata di PLP, che restituisce profondità alla riflessione su due filoni, la logica dell’ampliamento degli ambiti di intervento e quella del gioco di squadra nella professione (ARTICOLO).

Perfino l’Ordine Veneto, solitamente molto cauto, allarga la prospettiva almeno all’ottica binaria:

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Infine, Nicola Piccinini, presidente dell’Ordine Lazio, scrive a Quotidiano Sanità (LETTERA PUBBLICATA). Una lettera densa di spunti. Che amplia di molto il punto di vista sulla situazione degli psicologi e delle professioni. Che ci ricorda chi è Mario Sellini:

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Specialmente, aggiungo io, non può pensare di spegnere l’interruttore e risolvere tutto così. Perché ci sono 100.000 colleghi già laureati. Siamo tutti d’accordo che va fatto un ragionamento sulle decine di sedi universitarie di psicologia nate come funghi negli ultimi 15 anni. Ma negli ultimi 15 anni chi c’era al timone del CNOP? e del sindacato?

Io mi limito timidamente a considerare tre cose, giusto per alimentare il dibattito:

(1) La prima è che la domanda è elastica. La domanda di servizi non fa eccezione. Fra i megatrend dei prossimi decenni, alcuni incideranno sulla nostra professione: aumento della richiesta di sanità, invecchiamento della popolazione, aumento dei flussi migratori.

(2) La seconda è che il fatturato della psicologia libero professionale in Italia cresce ancora: ce lo dicono i dati ENPAP. Che sono tutti da interpretare e vanno confrontati con i redditi, ma oggettivamente ci parlano di un aumento della vendita di psicologia.

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(3) La terza è che non siamo più negli anni ’50, quando una laurea corrispondeva ad una professione. Fare Legge significava fare l’avvocato, fare medicina significava fare il medico, e fare ingegneria significava fare l’ingegnere. Oggi, la formazione universitaria impatta sulla carriera in modo più indiretto, il mercato è fluido, i cambiamenti rapidi. Non esiste una sola professione di psicologo, come non esiste una sola professione di ingegnere. Esistono invece tanti e diversi professionisti che occupano nicchie di mercato a geometria variabile.

Tutto questo apre a politiche della professione che necessariamente devono essere esplorative, evolutive, persino visionarie. Tutto l’opposto che prendere la calcolatrice e fare le divisioni da seconda elementare.

Resta comunque aperta l’ipotesi iniziale: l’abbattimento controllato di laureati in psicologia è una soluzione certamente meccanicistica, ma non priva di eleganza.

Chi vorreste iniziare a buttare giù dalla torre?