Avete incontrato anche voi, all’uscita di una metropolitana milanese, un collega che sotto l’egida dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia distribuiva materiale informativo sulla professione, insieme a qualche gadget, e faceva selfie con tanto di hashtag “#oraciconosci”?
Io, fortunatamente, no.
Ma diversi colleghi ci hanno scritto per segnalarci la questione e chiedere spiegazioni (in calce pubblichiamo una delle mail).
L’Ordine degli Psicologi della Lombardia sembra muoversi a grandi balzi verso una deriva assai giovanilistica e pop della professione, come ormai da tempo ci ha abituato il nostro vicepresidente.
Eppure, dovrebbe esserci a mio parere una differenza sostanziale tra come ciascuno di noi decide di promuovere individualmente la propria idea di psicologo e l’immagine della categoria tutta che può proporre un’istituzione come l’Ordine. Che, lo ricordo, rappresenta tutti, indistintamente, che siano votanti o meno, che abbiano alle spalle anni di professione oppure pochi mesi, che si occupino di uno o dell’altro tema (parliamo di quasi 20mila colleghi solo in Lombardia).
Io, per esempio, e molti di coloro che ci stanno chiamando e scrivendo, a questa idea della psicologia da selfie non ci stiamo!
Il progetto, in sé, è stato sostenuto dall’intero Consiglio, anche da noi di AltraPsicologia; nato sulla falsariga dei box informativi che già si utilizzavano, questa volta si sarebbe arricchito di un elemento che da principio è parso abbastanza indolore, moderno: e chi non vuole essere social e visual oggi, al tempo di Facebook, Twitter e Instagram?
Forza, tutti moderni, a diffondere un’idea comprensibile e giovane della professione!
Eh già. E’ stata quindi coinvolta un’associazione privata di colleghi: esiste da circa 6 anni, e le sue credenziali sono state snocciolate in termini di numero di likes su Facebook e followers su Twitter: siamo nell’ordine di 3mila nel primo caso e di 1500 nel secondo… francamente nulla per cui strapparsi i capelli. L’associazione (anzi: “il gruppo”) ha stilato un “progetto social/visual #iopsicologo“, con la finalità di realizzare
una campagna promozionale mediatica sui primari social network, facendo ampio utilizzo di immagini e video e usufruendo della collaudata rete social di [ndr: censored].
con gli obiettivi specifici di
“diffondere cultura psicologica ai fruitori di social networks”,
“riconcettualizzare la figura dello psicologo”,
“ridurre la stigmatizzazione della figura dello psicologo”
[ndr: i virgolettati sono tratti testualmente dal progetto originale].
Il tutto immaginato, gestito e supportato da una rete di psicologi che avrebbero utilizzato (uso il condizionale, perché una rendicontazione finale del progetto non l’ho ancora vista) i propri canali per supportare tutte le attività previste. Nel merito di quest’ultima cosa, come opposizione abbiamo ampiamente reclamato in Consiglio: l’ennesima situazione in cui l’ente rappresentante di tutti affida un progetto a uno solo – collega -, per di più mettendolo in concorrenza con altri. Non siamo a mettere in dubbio, infatti, le buone intenzioni e la professionalità di chi ha realizzato questo lavoro, ma il come l’ente Ordine l’abbia coinvolto, e con quali garanzie nei confronti della comunità intera.
Risultato: una campagna che sui social non ho visto affatto (meno di venti foto sulla pagina ufficiale OPL) e – cosa secondo me ben più grave – colleghi che insieme a materiale informativo utile, istituzionale e serio, sono andati a caccia di selfie.
Vorrei proprio sapere quanti colleghi gradiscano essere identificati con questa immagine.
Quanti passanti abbiano pensato che sarà più facile, eventualmente un giorno, andare dallo psicologo, perché in fondo non è una figura così spaventevole.
E invece a quanti di noi è capitato di lavorare sul riduzionismo difensivo di chi da noi sostiene di venire a “fare due chiacchiere”, anche perché in fondo non siamo diversi da altri? Come i preti. O i buoni amici.
Avete mai visto un avvocato, un medico, un ingegnere fare una cosa simile?
E ancora, i selfie di solito non si fanno tra amici?
Evidentemente per qualcuno – ma fortunatamente non per tutti – il mio è un pensiero da paleozoico.
Tuttavia per me rappresenta l’essenza del ruolo dell’istituzione, che non può appiattirsi a inseguire ignari passanti per farsi la foto rituale insieme, come se questo cementasse una nuova comprensione e rinnovate sinergie, come se bastasse per diffondere la cultura e la prassi del nostro mestiere.
E se invece ci facessimo – almeno per alcuni – la figura dei cialtroni? E’ così impossibile che qualcuno pensi che gente così non sia seria, non abbastanza credibile, autorevole? In fondo, per una buona parte, quando si va dallo psicologo gli si affida il bene più prezioso, la propria salute. Per farsi conoscere e avvicinare dalla persona comune con l’ambizione di creare un rapporto di fiducia ci si dovrebbe porre forse il problema di utilizzare un linguaggio sì moderno ma più rispettoso. Anzitutto di noi stessi.
Ed ecco qui la mail di una delle colleghe che ci ha contattati.
Gentili di APLombardia, sono Xyz, psicologa e psicoterapeuta.
Molto brevemente ad inizio estate sulla mailing list dell’Ordine circolava il progetto Psicologi di Quartiere e leggendo la presentazione sembrava essere un progetto di tutto rispetto atto alla sensibilizzazione di una cultura psicologica e soprattutto a fornire indicazioni circa i servizi presenti nelle varie zone di Milano. Per aderirvi occorreva inviare il proprio curriculum vitae e preferenza di zona per partecipare alla selezione, seguitamente l’Ordine avrebbe poi convocato i candidati scelti per presentare il da farsi.
In luglio ricevo la comunicazione di interessamento al mio curriculum rispetto alla zona e di presentarmi in una data specifica presso la sede dell’Ordine per il briefing formativo. Di fatto il compito richiestoci era quello di svolgere noi personalmente attività di promoter rispetto ad una cultura psicologica senza fare riferimento alle nostre attività private offerte nel quartiere indicato; a questo si aggiunge un aspetto “social”, ovvero fare dei selfie con le persone fermate da poi mettere in rete con l’hashtag che personalmente non ricordo (la mia attenzione aveva già dato campo libero ad una profonda rabbia), in modo da permettere ai singoli passanti di ritrovarsi in rete.
Le perplessità a mio avviso non si contano: a partire da un progetto che sembrava possedere criteri differenti, ci si è trovati a fare i conti con una proposta degradante per il singolo professionista allo stand fuori dalle metropolitane che ferma i passanti.
Il primo punto è: in una società dove da sempre la figura dello psicologo assume le forme ed interpretazioni più svariate (dalla sibilla cumana al fattucchiere) come può l’Ordine in quanto rappresentante di tutti noi professionisti proporci una cosa del genere?
Tutti ci troviamo a pagare ogni anno una tassa di iscrizione e rinnovo e mi domando perché questi fondi non vengano impiegati in opere di vera, reale sensibilizzazione, non solo del singolo cittadino, ma di tutti quei servizi presenti sul territorio. Non parlo solo di comuni e consultori, che a mio parere sono oberati di lavoro, hanno tempi lunghissimi etc, ma di tante altre attività esistenti. Come mai l’Ordine non promuove la creazione di una rete in un certo senso aggiornata? Come mai l’Ordine non promuove la creazione specie specifica di progetti reali ed aderenti a domande incalzanti e perde invece tempo con iniziative di questo tipo? La zona da me indicata ad esempio ha un altissimo tasso di stranieri non integrati, delle età più svariate. Io personalmente sono anni che sto cercando di promuovere un progetto di integrazione genitori/figli stranieri. Come anche l’assente forma di supporto per mamme in gravidanza o nel post parto (se non i corsi ospedalieri ben poco efficaci, mi permetto di dire che in Francia la cultura psicologica rispetto alla gravidanza ha promosso un abbattimento della depressione post parto).
In secondo luogo la credibilità della professione dove va a finire?
Vi ringrazio per l’ascolto e vi porgo i miei più cari saluti. Resto a disposizione per qualsiasi informazione o chiarimento